Bevande incluse
Letteratura italiana
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A prezzo fisso
Sequel del precedente “Tutti i giorni è così”, e forse anche meglio di quello, più maturo, rapido, e articolato, questo è un bel romanzo scorrevole, brioso, fluente e semplicemente gradevole da leggersi, adatto alla stagione come una buona bibita fresca o una leggera brezza a mitigare la canicola estiva, che inizia esattamente dove è terminato il fortunato libro anteriore a questo, a firma di Roberto Centazzo. Precisamente a Cala Marina, scopertasi sul finire degli anni ’60, anni in cui sono ambientate le storie, amena località di villeggiatura estiva. Situata nella provincia ligure, è un piccolo centro coinvolto dal bailamme allegro ed ottimistico allorché l’Italia del boom economico, e con lei l’italico popolo navigatore che si riscopre meno navigante e più bagnante, arruola il paesello perché contribuisca, insieme ad altre suggestive località misconosciute fino allora ai non residenti, ad instaurare la tradizione, pressoché obbligata, delle ferie estive in luogo di mare.
Cala Marina è il prototipo del piccolo centro della provincia italiana double face, una cittadina che si riconverte a seconda delle stagioni, conta poche migliaia di anime nei mesi più rigidi, che misteriosamente si decuplicano quando il meteo si riconduce a più miti consigli. Per qualche misterioso motivo che sfida la legge fisica dell’impenetrabilità dei corpi, un numero assai maggiore di quello normalmente residente riesce a stiparsi nello stesso territorio geografico immutato nelle dimensioni, sistemandosi in alberghi a varie, ma contenute, gradazioni stellari, e poi in pensioni, locande, seconde case, campeggi, sistemazioni di fortuna, e via dicendo per eseguire il sacro rito del riposo obbligato. Ad assistere, commentare e interagire con gli ospiti abituali o di passaggio, turisti semi stanziali oppure tipo mordi, tuffati e fuggi, attori dell’annuale revival del va e vieni della transumanza turistica, sono come d’uso i nostri eroi, interpreti fissi di ambedue i romanzi, che in un modo o nell’altro sono residenti all time in Cala Marina.
Chi direttamente senza interruzioni, chi in via riflessa, le nostre star gravitano attorno al nodo cruciale della cittadina, la stazione ferroviaria. Punto di osservazione privilegiato, lente di ingrandimento con cui esaminare nei particolari tutto quanto accade sotto gli occhi dei simpatici big ben piazzati in posizione strategica in punti nodali dell’insolito osservatorio.
E di concerto proiettare usi, costumi e trasformazioni di quanto accade sull’intero territorio nazionale. Perciò questo è un libro di più storie in una, un racconto di chi scrive per passione prima ancora che per mestiere:
“…Si, mi piace scrivere storie. Ah, le storie! Volete sapere qual è il loro segreto? Si può modificarle, abbellirle, trasformarle, ritoccarle, farle andare dove si vuole.”
Ritroviamo perciò le presenze fisse della serie che già imparammo a conoscere, i capisaldi inamovibili perché professionalmente stanziali in stazione, come il capostazione Dalmasso, che in stazione non solo ci lavora ma ci risiede anche con la famiglia, in apposito alloggio ad uso del personale in servizio, che manco a farlo apposta nei momenti liberi si eclissa clandestinamente per rilassarsi nella contemplazione di un…plastico della stazione ferroviaria, felice come un bambino alle prese con il suo balocco preferito, un trenino elettrico.
Segue il giornalaio Silvano, una delle poche persone al mondo fortunate perché rientra nel novero di quanti hanno pienamente fatto coincidere il sogno della propria esistenza umana e professionale, nel caso specifico quello di poter leggere impunemente, appena freschi di stampa, tutta la fumettistica esistente, senza che nessuno trovi da ridire, anzi lo pagano pure, distogliendolo però colpevolmente dalle sue letture, ma va bene lo stesso, per le proprie passioni si sopporta con pazienza questo e altro.
L’elemento femminile per eccellenza della serie è dato dalla bella barista Ludovica, giovane, gentile, empatica, che dietro un aspetto pratico, sorridente, delizioso e disponibile cela mirabilmente la sua angoscia per le condizioni della sorella disabile.
Ancora, appena fuori della cittadella con binari, nel posteggio apposito, staziona il tassista Bartolomeo, molto più ferrato in enigmistica che nelle sue abilità di guidatore.
Gironzola in giro, mimetizzandosi con luoghi e ambienti meglio di un camaleonte, il “muto” Adelmo, addetto alle pulizie mite, silenzioso, che tutto nota e a cui nulla sfugge, il terzo occhio vigilante su cittadine e stazione.
È di passaggio in stazione il professor Martinelli, normalmente professore di matematica al liceo durante l’anno scolastico, che ai primi caldi si trasmuta in un prestidigitatore dilettante, amatissimo e richiestissimo specie dai bambini in vacanza, perché abilissimo non con le carte, ma con elementi a lui più congeniali, i numeri, con cui strabilia gli improvvisati spettatori.
Su tutti, vigila la Legge, impersonata dal maresciallo Norberto, l’eroe del posto, uomo poderoso, serio, un po' trionfo e vanesio, però con una dote che lo rende meritevole di una medaglia al valore: è onestissimo. Che per l’Italia, oggi come allora, è una dote più unica che rara.
Il punto di forza di Roberto Centazzo in questi due libri è stato quello di offrirci una visuale, una prospettiva ampia e privilegiata che ci permette di spaziare su pregi e difetti, vizi e virtù dell’italica gente, ieri come oggi uguale a sé stessa, forse più matura e ammodernatosi ai nostri giorni.
Dopo tutto il tempo passa per tutti, e bene o male forse non ci rende migliori, ma certamente ad una qualche maturazione ci indirizza.
L’autore ci fa vedere cos’era, e cosa è tuttora, la provincia del nostro Paese; perché fatti i dovuti distinguo, i valori nazionali, i difetti tipici ed inguaribili, lo spirito della nostra gente è inciso nella pietra del nostro bagaglio genetico, siamo quello che siamo, sempre gli stessi, diversi e contraddittori, maschilisti gelosi, violenti e possessivi nei confronti delle nostre donne, e però capaci di virare con intelligenza, riprenderci la nostra umanità e relativa libertà di scegliere, di essere protagonisti della nostra esistenza, superando i legacci ipocriti della morale perbenista imperante.
Mostrarci, meglio ancora divenire perciò liberi e liberali, all’avanguardia nelle conquiste civili. Sappiamo essere bigotti e intransigenti, intolleranti contro i diversi, costretti a nascondersi ieri come oggi in una parvenza fittizia e teatrale di presunta, e pretesa, normalità; e però siamo ugualmente in grado di riconsiderare cose e tradizioni che non hanno più motivo di essere, semmai le hanno avute in precedenza, e riplasmarle, discuterle, smussarle nel grossolano, evitare un giudizio ed uno scarto totale e sceglierne invece con cura, costanza, pazienza i lati meritevoli di cura e conservazione, che coincidono sempre con i valori del comune sentire, della compartecipazione, della sodale convivenza, valori che guarda caso vivono custoditi sempre e soltanto in seno alle nostre donne, così come un tempo veniva fatto con il sacro fuoco dalle vestali. Sappiamo evolverci, e in meglio.
Siamo finanche capaci di essere corrotti e corruttori ad ogni livello della scala sociale, dai più infimi ai più alti, finanche se allocati nelle istituzioni integerrime, come ugualmente siamo in grado di riscattarci grazie al solido acume, all’umanità esuberante ed eccessiva, talora presuntuosa e vanesia di un burbero poliziotto di paese, però testardo, cocciuto, orgoglioso, mai privo di ingegno, coraggio ed inventiva. Prendiamo la vita come viene, senza tanti fronzoli:
“…Spesso le cose accadono senza alcun motivo. Soltanto perché devono accadere.”
Roberto Centazzo elogia, e ci elogia, decantando le nostre italiche virtù, risalta la nostra onesta, semplice e genuina capacità, insita nei più insoliti e misconosciuti, di possedere valori che ieri come oggi sussistono ben radicati, forti, diversi e sempre uguali, semplici ed alla buona, ci descrive con occhio critico, ci fa sorridere, e ci esalta, per quello che siamo, ci fa vedere in uno specchio.
Ognuno trova in chi o in cosa riconoscersi in Cala Marina e nei suoi abitanti, lo scrittore piace, incensa i suoi eroi per quello che sono, semplici e genuini, ruspanti, umili, doviziosi, intelligenti e acuti, descrive noi stessi in fin dei conti, la nostra italianità, i valori forti e radicati nel tempo e nell’animo dei nostri connazionali, che hanno un pregio unico al mondo, lo ripeto, sanno prendere l’esistenza così come viene. Perché è la vita, e tanto basta:
“…la vita è un regalo e come tale va vissuta, senza perdersi in calcoli meschini, senza tormenti, senza recriminazioni e, soprattutto, senza rimpianti, e senza rimorsi. Non devi far altro che prenderla così com’è, come un menù a prezzo fisso, l’intera offerta, il buono ed il meno buono, il giusto e lo sbagliato, tutto il pacchetto, insomma, primo, secondo, contorno e dessert, bevande incluse.”
Siamo di bocca buona, sappiamo ingoiare senza tante storie bocconi amari, se capitano, come pure reagire con passione e con vigore, quando serve, accettiamo tutto in blocco, pranzi luculliani come pasti frugali, ci dissetiamo con acqua di fonte o champagne di marca, facciamo fronte alla spesa di un conto esorbitante o a prezzo fisso, sappiamo come pochi al mondo gestire alla meglio la nostra esistenza semplicemente con tutto quanto passa il convento, bevande incluse.