Bambine
Letteratura italiana
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Chiara, Carlo e il serial killer
Tra i romanzi di Eraldo Baldini "Bambine" è a torto uno tra i meno considerati, solitamente poco citato tra le migliori opere dello scrittore romagnolo.
Malgrado la brevità è invece uno scritto meritevole, efficace nell'utilizzare l'assunto di matrice thriller per parlare di altro.
Per una volta inoltre non è la natura ad essere al centro delle vicende, a fare da cornice c'è l' ambientazione urbana di una Ravenna inedita, molto cupa e sfregiata dagli orrori edilizi, descritta rimarcandone i punti meno affascinanti al fine di costruire una soffocante cappa adatta ai temi trattati.
Del resto Baldini narra di un serial killer di bambine, del brancolare nel buio delle autoorità, di un mistero che rende la rassicurante provincia come un luogo in cui i demoni più spaventosi prendono vita evocati da un sulfureo sabba a base di sangue innocente.
Ma non è l'indagine a riempire maggiormente le pagine, l'attenzione verte sull' amicizia tra un giornalista e la figlia del suo migliore amico, questi scomparso tempo prime durante una battuta di pesca. Il rapporto tra i due è tratteggiato con delicatezza rara, vengono splendidamente colte le sfumature di un rapporto puro ed atipico tra un adulto e un bimba.
L'affetto per Chiara, la bambina, non può però depurare totalmente il cuore affranto di Carlo, afflitto da un imponente carico di frustrazioni da quando, ragazzino di belle speranze, si è ritrovato giovane uomo in una vita che gli ha concesso misere soddisfazioni.
"Bambine" risulta romanzo pregno, con argomenti sviscerati solo in apparenza alla chetichella. L' impatto emotivo che ne consegue è notevole, avvolto da un turbinare drammatico in cui le paure non rendono più vulnerabili i protagonisti, uniti da un rapporto che è come un'arma invisibile attraverso la quale combattere quell'indicibile orrore di cui sono prima atterriti spettatori e poi interpreti forzati.
A chi ritiene Baldini un semplice scrittore popolare di horror consiglio la lettura di questo romanzo, dove il suo sguardo abbraccia un orizzonte molto più ampio e profondo di quello in cui si confinano -per indolenza o incapacità- la maggior parte degli scrittori di "genere".