Assassinio a Villa Borghese
Letteratura italiana
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Touring club
Sono un grande ammiratore di Walter Veltroni: del politico, dell’uomo, del regista e dello scrittore.
Tra l’altro, ho avuto modo di conoscerlo personalmente, di incontrarlo in varie occasioni, in vesti e funzioni differenti: sempre però, in tutte le circostanze, ho avuto modo di costatare di persona che mantiene intatte, ovunque e sotto ogni funzione, le sue caratteristiche di persona intelligente, tranquilla, tollerante.
Un uomo di pace e di concordia, cresciuto con certi valori ben precisi, e a quelli è sempre rimasto fedele, un uomo coerente come pochi, veramente una brava persona, un gentiluomo, educato, rispettoso dell’altro, mai prevaricante, una persona perbene.
Come soggetto politico, ho apprezzato i suoi modi semplici, cordiali, pragmatici, alla continua ricerca di condivisione, di ciò che unisce e non di quanto divide, mirato al bene comune.
Umanamente parlando, possiede con evidenza una notevole sensibilità, un’empatia istintiva per il prossimo, perciò sa instaurare rapidamente un civile dialogo con chiunque.
È persona portata alla riflessione, un intellettuale con poliedrici interessi, ama da sempre, spassionatamente, il cinema, si è cimentato con fortuna con quanto sa fare meglio, i documentari, ritratti di cose, persone e realtà sociali visti in presa diretta, e di cui ha curato magistralmente la regia. Mi hanno enormemente colpito i suoi lavori come “I bambini sanno”, “Gli occhi cambiano”, “Indizi di felicità”, “Tutto davanti a questi occhi”.
Veri e proprie testimonianze della realtà sociale e umana del nostro Paese, con riguardo per quelli che si mostrano senza riserve più spontanei e genuini davanti alla macchina da presa.
Veltroni fa parlare visibilmente, senza artifizi, i fatti sociali, quelli che in ogni luogo d’Italia si succedono sempre uguali, anche se appaiono tutti diversi.
Non solo, l’occhio della telecamera segue i diretti, reali protagonisti del costume italiano, e senza costrizione neanche occulta, li fa parlare a ruota libera, così che essi rivelano spontaneamente se stessi, come sono cambiati e cosa sono diventate le persone e le tradizioni nel nostro paese.
Documentando gioie, dolori, problemi, sacrifici, allegria, pianti sorrisi, da una parte all’altra del Paese. Con una incursione anche nel tragico, riportando per esempio la diretta testimonianza di un sopravissuto ai campi di concentramento.
Non ultimo, Walter Veltroni è anche scrittore.
Ha una curiosità intellettuale, e un debole per la Storia, convinto che le azioni degli uomini determinano i fatti storici, e questi a loro volta innescano altre azioni, talora conflittuali, tal altra uguali e contrari, a volte tragici, altri lieti, costituendo il cerchio della vita, quel gran libro dell’esistenza da cui ha tratto spunti. Ha scritto libri per raccontare fatti che lo hanno colpito, ne ha fatto romanzi, secondo il suo estro artistico: ho apprezzato così alcuni piccoli gioielli frutto della sua penna, come “Noi!, “L’inizio del buio”, “Ciao”, “Quando”, ho seguito con interesse e partecipazione anche quel saggio intenso e delicato che è “Odiare l’odio”.
Perciò, potevo mai non leggere la sua incursione in un genere tanto gettonato quanto il giallo?
Perché il suo: “Assassinio a Villa Borghese” questo è, un giallo, un intrigo, un thriller che racconta di misteriosi omicidi e di poliziotti che indagano infaticabili con acume e intelligenza per risolvere il mistero e assicurare alla giustizia l’assassino.
Un classico, quindi, e niente di strano, l’autore si è adeguato ai tempi, basta pensare alla fortuna che arride negli ultimi anni al genere e ai suoi autori che vanno per la maggiore, Camilleri, De Giovanni, Manzini, Malvaldi, anche ex magistrati come Carofiglio, finanche un fine intellettuale come Umberto Eco scelse il genere per il suo esordio nella narrativa con “Il nome della Rosa” .
Walter Veltroni immagina in questo libro la costituzione di un commissariato di polizia all’interno del più grande parco pubblico della città, il polmone verde di Roma, il Central park italiano, Villa Borghese. Un parco immenso nel centro di Roma, più grande di Città del Vaticano e di poco più piccolo del principato di Monaco. Ci sono musei, teatri, la Casa del Cinema, ludoteche, chiese, migliaia di piante, corsi d’acqua e le svariate specie animali ospitate al Bio-Parco.
Trattandosi di un posto di polizia tranquillo, anche monotono, dove il massimo che può accadere è un bambino che, intento ai suoi giochi, finisce per sperdersi, non è molto ambito, per cui a esso è destinato una mal assortita combriccola di poliziotti in disgrazia, se non proprio inetti, elementi raccogliticci dei vari distretti di polizia della Capitale.
In un certo senso le riserve, per non dire gli scarti, quelli che nessuno vuole in organico nella propria squadra o commissariato, destinati quindi a vivacchiare, possibilmente senza fare danni, sono letteralmente un eterogeneo gruppo di soggetti “sfigati”. A guidarli è chiamato Giovanni Buonvino, ispettore superiore che, quindici anni prima, è stato condannato alle retrovie da un bruciante errore. Pochi giorni dopo l’inaugurazione del commissariato, però, manco a farlo apposta, accade un fatto inaudito, si trova un cadavere, per di più anche orrendamente straziato.
Ne seguirà, con alterne vicissitudini, un’indagine che riabiliterà il commissario, il commissariato e la sua squadra restituendo a tutti loro onore e prestigio, venendo a capo del macabro mistero.
La costituzione originaria di tale malridotto posto di polizia richiama subito alla mente analoga organizzazione di forze con cui sono stati creati i “Bastardi di Pizzofalcone”, l’abile squadra investigativa di Napoli creata da Maurizio de Giovanni.
Solo che, ci spiace dirlo, Walter Veltroni non è De Giovanni, direi di più, non è un autore di gialli.
Credo che Veltroni si sia cimentato nel genere quasi per sbaglio, non è cosa sua, francamente.
La storia, e il mistero attorno a cui dovrebbe ruotare, è bislacca, non sta in piedi, manca di sostanza, anche i personaggi sono appena tracciati, poco delineati nelle loro caratteristiche, pur avendo più di un particolare che si presta allo scopo.
Intendiamoci Veltroni è una buona penna. È la storia, non chi la racconta.
Non è nelle sue corde; può essere anche una lettura distensiva, anche divertente, e istruttiva per chi non conosce Roma, e tutti i gioielli contenuti a villa Borghese.
Diciamo che Veltroni ci ha messo tutto il suo amore per la sua città, descrivendo uno scorcio tra i più belli della Capitale, e infatti ci parla, e li descrive mirabilmente, di posti come la Casina Veladier, il Parco dei Daini, la Casina delle Rose, la Casa del Cinema, i luoghi dove Ettore Scola girò il suo capolavoro “C’eravamo tanto amati”, con il famoso ristorante mezza porzione, la Casina dell'Orologio, la Meridiana, il Giardino del Lago, insomma ci fa fare un giro turistico meglio di una guida del touring, ci parla dei suoi miti ed eroi come Dario Argento, Dalla, De Andrè, Nick Novecento…ecco, questo sì.
Ma come giallo, questo libro non funziona. Non è cosa sua, non va bene per Walter Veltroni, non è nelle sue corde, e capacità, che pure sono notevoli. Come dire…a ciascuno il suo.