Assassinio a Pedra Manna
Letteratura italiana
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Il tenente e il bronzetto
Il tenente Roversi, ormai saldamente di stanza presso il comando dei carabinieri di Sassari, è chiamato a indagare sulla scomparsa di un manovale, tal Gavino Cocco, Baingio per gli amici, il quale stava lavorando nella tenuta dell’amico Don Luigi Gualandi alla riparazione delle condotte fognarie e che da tre giorni non dà notizie di sé. Pochi giorni dopo, però, spunterà pure un cadavere, quello del dott. Giovanni Masala, giovane archeologo impiegato alla Soprintendenza provinciale. Il cadavere è stato ritrovato, sfigurato da una fucilata al volto, all’interno di una domus de janas, un pozzo sacro nuragico ai cui scavi la vittima aveva partecipato nei mesi precedenti. Le indagini presto riveleranno che i due fatti dovrebbero essere collegati e connessi pure alla scoperta di un piccolo bronzetto antico raffigurante un capo tribù (che Baingio potrebbe aver scoperto a Villa Flora, la residenza di Gualandi) ora misteriosamente scomparso.
Roversi, mentre si ingegna a risolvere l’inchiesta, che i suoi capi vorrebbero chiudere forse un po’ troppo frettolosamente, deve pure trovare la soluzione a un problema personale che rischia di mandargli a monte il matrimonio con Cristina. Poi, pare che ci siano pure complicazioni strane al Caffè dei Portici, sede ufficiale della greffa della cionfra: la nuova barista sembra andata in confusione per ignoti grattacapi che non la fanno concentrare sul lavoro.
Nuova avventura del carabiniere bolognese trapiantato in Sardegna e nuova occasione per l’A. di decantare le bellezze della sua terra, questa volta dedicandosi ai misteri dell’antica civiltà nuragica che diede lustro all’isola nel suo remoto passato. La storia, complessivamente, è graziosa e piacevole da leggere, ma ormai si comincia a percepire che il filone dedicato alla nostalgica rimembranza dei primi anni ’60 comincia a mostrare la corda.
La narrazione, dal lato rievocativo del periodo, ha poco da aggiungere a quanto già scritto negli altri romanzi. Anche i personaggi principali sono stati ben delineati in passato e poco ci resta da scoprire su di loro. Piuttosto si prova un certo disagio a notare come siano sì carini e simpatici, ma forse tutti troppo garbatamente convenzionali, privi di spigolosità o contraddittorietà, troppo animati da buoni sentimenti, in pratica che sembrino un po’ artefatti e poco realistici. Questa Sassari vintage, poi, assomiglia a una Arcadia utopistica, dove, se mancasse l’assassino di turno, tutto filerebbe d’amore e d’accordo.
Lo stile, sempre corretto e diligente, pare soprattutto concentrato a descrivere, con una scrupolosità forse degna di miglior causa, luoghi e toponomastica, piuttosto che eventi e personalità.
L’unica ragion d’essere del racconto, perciò, rimane il solo enigma poliziesco, anzi i tre filoni di indagine, quello principale, col morto, e quelli secondari che, come di consuetudine, si intrecciano col primo a dare qualche tocco di simpatica ironia alla storia. Però, sono tutti piuttosto semplici e lineari: nessun rovello per il lettore che fa presto a indovinarne gli esiti. Perciò pochissima è la suspense.
Insomma, nel complesso si tratta di un librino gradevole e distensivo, ma che ha meno smalto di quelli che l’hanno preceduto, i quali avevano dalla loro pure il vantaggio della novità. In pratica si tratta di una lettura da ombrellone, ottima per svagare la testa dai pensieri quotidiani, ma che offre poco di più.
Forse non sarebbe male che l’A., a cui non possono essere negati il talento per la narrazione lieve e scorrevole e la garbata ironia, si ingegnasse a cercare nuovi filoni narrativi.