Anime di vetro
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
La Luce attira e la fiamma brucia
Un altro capitolo della saga dedicata al Commissario Ricciardi, famoso per le sue visioni di anime dei defunti...
In quest'opera De Giovanni ci riporta davvero dei personaggi, in primis il protagonista Ricciardi, tratteggiati in modo estremamente intimistico, Ricciardi in questa avventura non ha poi così tante intuizioni anche perchè è poco aiutato dalle sue scarse visioni ed anche perchè i suoi pensieri sono affollati di tormenti dovuti alla perdita della tata Rosa nonché dal cuore, in balia come una falena attirata dalla luce di una candela, più si avvicina e più è alto il rischio di rimaner bruciata, sbattuto dalla bellissima Livia, dalla sognatrice Enrica ma questa volta anche dalla misteriosa Bianca.
Una trama che vede ormai tutto scritto e deciso, un omicidio, un presunto assassino reo confesso e tanti tantissimi inganni che avvolgerano come nelle spire di un serpente un Ricciardi anomalo. Il condimento dell'opera è competato dal Brigadiere Maione, fedele collaboratore del protagonista, il quale però in questo libro ha un ruolo un po' marginale.
Caratteristica di non poco conto èla sempre più incombente presenza di un avanzare inarrestabile del fascismo con tutte le sue leggi e con tutto il suo apparato di polizia segreta e dittatoriale.
Una delle pagine forse più apprezzabili di De Giovanni, dopo le ultime storie un po' sotto tono, un ottimo rilancio anche se manca sempre qualcosina per la perfezione...mi spiace questo senso di continua decadenza nel corso della trama.
Bella la cartilina invecchiata rappresentata dal racconto parallello di una storia in cui sono protagonisti due musicisti, uno giovane e rampante ed uno anziano che seppur con delle mani quasi paralitiche quando impugna lo strumento si trasforma nel genio musicale più insospettabile.
Promosso De Giovanni con la speranza che la cosa sia da ulteriore stimolo.
Buona lettura a tutti.
Il Syd
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Opinioni inserite: 6
Un'umanità silenziosa
I libri di quest’autore trasudano di un’umanità vera, che viene ritratta attraverso i volti, le storie, i legami familiari, quelli di amicizia, quelli lavorativi. In queste pagine si vedono amori, si vivono dolori, si stringono patti. Il personaggio del commissario Ricciardi è, come sempre, ritratto come attorcigliato in una malinconia di fondo che è uno dei suoi tratti distintivi. Combattuto fra Enrica, che è una donna che non ruba gli occhi, ma il cuore, e Lidia, che invece è la donna più bella della città, ha paura di entrambe e le allontana, per poi cercarle, per poi riavvicinarsi, per poi alzare muri. Il caso poliziesco non è forse il più riuscito della serie. Prende invece sempre più corpo tutto il gruppo dei personaggi minori, che sovrasta non solo la singola indagine ma mi sento di dire anche il personaggio principale. I suoi sono romanzi corali. Belli come ce ne sono pochi, perché ogni personaggio minore ha il suo spazio, evolve e si intreccia agli altri. In un disegno che è una creazione di gruppo perfetta.
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A che serve tutto questo mare?
La morte della cara Rosa ha sconvolto il commissario Ricciardi, anche se non è l'unico motivo di tumulto per il suo cuore. In più è anche un periodo di calma piatta sul lavoro, il brigadiere Maione teme che il commissario possa finire in una brutta spirale. Ecco quindi che un giorno si presenta una contessa che chiede al commissario di indagare su un omicidio che vede coinvolto il marito, il quale si è dichiarato colpevole confessando, ma lei è assolutamente certa della sua innocenza e vuole capire perché abbia agito in questo modo. Inizia quindi un'indagine ufficiosa da parte di Ricciardi, molto ardua perché il caso è già stato chiuso data la confessione dell'uomo, e nessun altro dei coinvolti e dei familiari sembra volerne sapere di più. Nascondono qualcosa?
Senza saperlo Ricciardi è a sua insaputa oggetto di un'indagine da parte degli alti ranghi del partito fascista e la cosa gli piomberà tra capo e collo.
Un bel romanzo sempre intriso di malinconia ma anche della forza dell'amore e della speranza.
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L'anima di vetro di Ricciardi
Il commissario Ricciardi, il poliziotto che vede i morti, sta attraversando il peggior momento della sua vita: la morte della tata Rosa l’ha sconvolto e reso consapevole della sua solitudine e dell’isolamento in cui egli stesso si è rinchiuso. Poiché nessun caso importante lo sta impegnando, la sua mente vaga inquieta ed è più scontroso che mai. Ha anche scoperto che Enrica pare aver trovato uno spasimante tedesco e, quindi, anche il suo disperato (ma consolatorio) amore a distanza per lei parrebbe destinato al fallimento.
Per questa ragione accetta di seguire, pur senza molta convinzione, una questione affidata ad alcuni colleghi e, apparentemente, già definita con l’arresto del presunto assassino. A pregarlo di riaprire le indagini sull'uccisione dell'avv. Piro, spregiudicato strozzino, è la bellissima Bianca, moglie del conte di Roccaspina che si è spontaneamente dichiarato colpevole dell’omicidio. Bianca non crede a questa versione e, pur non amando più il marito che ha scialacquato al gioco il patrimonio di entrambi, vuole scoprire la verità.
Questa indagine non autorizzata potrebbe causare gravissimi problemi a Ricciardi ed i guai potrebbero moltiplicarsi anche a causa di Livia. Dopo l’ennesimo sfrontato tentativo della donna di conquistare il suo cuore, il Commissario, con la giustificazione di volerla proteggerla da se stesso, l’ha allontanata rudemente e definitivamente. La bellissima soprano, ferita nell'orgoglio, medita vendetta ed ha incaricato Falco, l’agente dell’OVRA, di incastrare Ricciardi.
Leggere De Giovanni è sempre un piacere sublime. L’Autore napoletano, prendendo a mera scusa le trame poliziesche che intesse, fa alta letteratura sviscerando con acutezza e profondità i complessi sentimenti umani mentre, contemporaneamente, dipinge splendidi acquarelli di quella Napoli anni ’30 che ormai non esiste più nemmeno nei ricordi dei suoi odierni abitanti.
Proprio per l’alto livello delle opere di De Giovanni, viene spontaneo soffermarsi sui possibili difetti del romanzo piuttosto che continuare a decantarne gli indubbi meriti.
Partendo, quindi, con l’intenzione di “fare le pulci” al libro, va osservato come “Anime di Vetro” ricalchi con fedeltà, con troppa fedeltà, lo schema dei precedenti romanzi del ciclo, intercalando all'azione ed alle indagini, brevi capitoli di interludio, ove, con toni poetici, si individuano sensazioni, si tratteggiano stati d’animo e si delineano, in modo soffuso, antefatti o semplici emozioni passate. Proprio questa eccessiva fedeltà agli schemi già utilizzati rischia di offuscare la purezza dell’impianto narrativo facendone trasparire i complessi meccanismi che lo muovono e togliendo spontaneità alla narrazione.
La trama è accattivante, ma non originalissima e l’esito finale non è dei più imprevedibili (personalmente confesso di aver intuito la soluzione e tutte le relative implicazioni già a metà lettura). Poi, le vicende private dei protagonisti, che fanno da fil rouge all'azione poliziesca, stanno pericolosamente infilandosi in un tunnel che richiama troppo la sceneggiatura di una soap opera.
Sono da segnalare i sempre piacevolissimi siparietti costituiti dai battibecchi tra il brigadiere Maione e Bambinella (uniche parentesi comiche della storia), le acute e ciniche considerazioni del dott. Modo, le sagge “prediche” di don Tonino e gli affascinanti quadretti della Napoli dell’epoca. Forse, però, il lettore, ormai smaliziato ed esigente, si aspetterebbe ancora qualcosina in più da De Giovanni.
Proprio per questo motivo, più che nella lettura del romanzo complessivamente inteso (comunque ottimo), ho provato un piacere particolare nel soffermarmi su alcune singole squisite frasi. Dove un autore frettoloso avrebbe liquidato una certa descrizione, l’esposizione di alcuni fatti o di una una sensazione, con un paio di semplici sostantivi aggettivati, De Giovanni riesce ad esprimere il medesimo concetto con un linguaggio di una così raffinata eleganza e ricercatezza che non è possibile far correre l’occhio al periodo successivo. Quando la prosa si tramuta in poesia, pur senza rime e metrica, si deve tornare a leggere e rileggere il passaggio per assaporarne integralmente il gusto sopraffino.
Sono proprio queste gemme di cui è infarcito il libro che elevano la prosa di De Giovanni ad un livello di eccellenza superiore facendo dimenticare qualche eventuale difetto dell’opera.
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Ricciardi come Paride
In questa avventura il commissario più bello, dannato e impossibile del trentennio affronta una vicenda che rimane sullo sfondo: cosa induce un nobile decaduto ad autoaccusarsi dell’omicidio di uno strozzino, se la moglie è pronta a giurare che – quella notte maledetta - il conte Romualdo Palmieri di Roccaspina si trovava nel proprio letto (“Era a casa a dormire, una volta tanto”)?
La scena è dominata dalle peripezie sentimentali del commissario Ricciardi (“Pensava… che con quegli assurdi occhi portasse pure un po’ di iella…”), qui occupato nell’impresa che già impegno' Paride ai tempi della mela che poi venne ribattezzata pomo della discordia.
I suoi favori andranno alla bellissima contessa di Roccaspina?
O piuttosto alla mondana Livia?
O forse alla contrastata e introversa vicina di casa, quell’Enrica che viene assediata da un gerarca nazista?
E se il sottotitolo di Anime di vetro recita “Falene per il commissario Ricciardi”, riuscirà “quel cilentano taciturno e un po’ sinistro…” – anche attraverso i divertenti siparietti tra Bambinella e il brigadiere Maione - a tener lontane dalla fiamma quelle falene così irresistibilmente attratte da una luce che può essere la loro morte?
Giudizio finale: trasparente, sentimentale, mitologico (?)
Bruno Elpis
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Un polpettone indigesto
Ritengo opportuna una premessa affinché sia possibile meglio comprendere le mie motivazioni in ordine al giudizio dell’opera: ho avuto modo di leggere i romanzi con protagonista il commissario Ricciardi allorché questi erano editi da Fandango; mi sono piaciuti molto, anche se più di una volta ho espresso all’autore i miei dubbi sulla prosecuzione di una serie caratterizzata sì da personaggi accattivanti, ma con una trama gialla esile e poco interessante. Ho pure consigliato a De Giovanni una diversificazione della sua produzione, scrivendo per esempio dei noir o dei thriller, un po’ come a suo tempo ha fatto Georges Simenon. Si vede però che l’autore napoletano non ha né il talento, né la creatività del romanziere belga, poiché ha preferito inaugurare un’altra serie ambientata ai tempi nostri in un commissariato di polizia napoletano, di cui ho letto il primo (I bastardi di Pizzofalcone) che ho gradito talmente da non essere interessato ai successivi. Tuttavia, la mia simpatia per il commissario Ricciardi, per il brigadiere Maione, per il dottor Modo ha fatto sì che decidessi di sborsare 19 euro per questo Anime di vetro, nella speranza di una lettura gratificante. Dico subito che mi sono sbagliato e che mi sono trovato per le mani un polpettone, indigesto per tanto motivi. La considerevole lunghezza nuoce all’opera, tanto più che una parte non trascurabile è dovuta a una reiterata descrizione dei protagonisti, che in una serie, oltre che superflua, è del tutto inutile. Se poi prendiamo l’abitudine dell’autore di inserire un prologo, degli intermezzi e un epilogo, magari con l’intento di meglio spiegare, in un desiderio di parlare delle passioni umane anche con un approccio filosofico, peraltro di modesta levatura, si può benissimo comprendere come il lettore, più che interessato, finisca con l’essere frastornato, tanto più che, come sempre, la trama gialla è esilissima, con una soluzione finale questa volta altamente improbabile, a cui si accompagna anche una novità costituita dall’interessamento dell’OVRA (la polizia segreta fascista) per Ricciardi. Se questo doveva essere nelle intenzioni dell’autore la ciliegina sulla torta, messo lì, senza nemmeno qualche accenno precedente, sembra del tutto fuori posto e inoltre De Giovanni commette l’errore di far apparire gli agenti segreti come degli incapaci, e invece purtroppo non era così, perché invece erano notoriamente molto validi. A onor del vero il romanziere napoletano si deve essere accorto che era opportuno inserire dei nuovi personaggi dopo la morte della tata Rosa, e così sì è inventato uno spasimante di Enrica, un maggiore tedesco di fede nazista che tuttavia appare uno stereotipo, che probabilmente si finirà con il ritrovare in un seguito. La melodrammaticità dell’autore, inoltre, qui si accentua in un effluvio di pianti, di gelosie e di tormenti, degni di un romanzo d’appendice ottocentesco, ma che finiscono con il togliere spessore ai protagonisti, rendendoli delle macchiette. Questa inclinazione di De Giovanni all’eccesso, se da un lato può servire a conquistare nuovi lettori che amano le opere strappalacrime, presenta però l’inconveniente di non accompagnarsi a un velo di sottile ironia che sdrammatizzerebbe le situazioni, alleggerendo così la prosa e accontentando forse anche quegli appassionati di lettura che non amano situazioni al limite e anche oltre. Insomma, da qualsiasi lato lo si voglia guardare, questo romanzo presenta marcati aspetti negativi che non sono compensati da quelli positivi, costituiti quasi esclusivamente dall’empatia fra il lettore e i personaggi costruita faticosamente nei libri precedenti; anzi, devo dire che Ricciardi, Maione e tutti gli altri hanno finito con il perdere quell’alone di simpatia che così tanto mi era gradito.
Di conseguenza, il mio giudizio non può che essere totalmente negativo, non consigliandone la lettura, poiché per chi già conosce i personaggi sarebbe una cocente delusione e per chi invece per la prima volta si accosta a Ricciardi finirebbe con il non desiderare leggere i precedenti che invece sono ben altra cosa.
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Il barone Ricciardi
De Giovanni scrive, scrive tanto e scrive di Napoli:
scrive racconti;
scrive la serie sportiva, lui così tanto innamorato del Napoli e di Maradona;
scrive la serie di Lojacono e dei Bastardi di Pizzofacone, da cui sarà tratta presto una serie tv,con Gassman nei panni di Lojacono, che non vedo l'ora di vedere, sperando di non rimanere delusa, perchè la traposizione dal romanzo al film rovina quasi sempre l'idea che ti sei fatta del personaggio di un libro, anche se a volte invece ne decreta definitivamente il successo!
E poi scrive la serie del commissario Ricciardi e qui non c'è dubbio, De Giovanni supera se stesso.
In questi libri aleggia un'atmosfera indescrivibile, e così affascinante che De Giovanni riesce in quello che altri scrittori non sempre sanno fare, ti porta completamente nel suo mondo.
Il fascino del mistero di quest'uomo irraggiungibile e impenetrabile, intelligente e fuori dagli schemi, irrimediabilmente costretto, in una società che non gli rende merito, a rispettare un ordine costituito, lui che non ha ordine neppure nella sua mente, deviata dal 'Fatto', questa spada di Damocle che porta sempre con sè e che lo costringe a vedere continuamente, pur non volendo, la morte, tanto da rinunciare a vivere la propria vita!
Quest'anima di vetro così fragile eppure così determinata, cattura anche il lettore più pigro, e lo incolla lì, fino all'ultima pagina, lasciandolo a volte con l'amaro in bocca e a volte invece, come stavolta, con un sorriso e una lacrima.
Bello quest'ultimo romanzo, e non stanca questa serie, non si ripete, è sempre nuovo, e sempre così maledettamente delicato nel descrivere fatti e sentimenti di una Napoli e di una napoletanità, che ami o odi, per la sua invadenza, per il suo rumore, per i suoi colori, per non sentirti mai solo in una città così, dove la gente è indilossubilmente legata da un filo di panni stesi; dove una canzone, suonata con un mandolino, non è solo musica e parole, ma racconta una storia, struggente, di amore e di passione; dove respiri l'odore del mare e ti perdi nel suo azzurro, senza capire a cosa serva tutto quel mare, forse solo a farti sorridere anche quando la vita non ti sorride.
E infine De Giovanni ci ricorda che "Una possibilità di di felicità anche attraverso la sofferenza, vale molto di più della certezza dell'infelicità."