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Albergo Italia

Letteratura italiana

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Eritrea, 1899. Un soldato italiano si fa sedurre da una bella ragazza che va spesso a visitarlo quando lui è in servizio. In realtà la ragazza non subisce il fascino italiano, ma è complice di una banda di ladri che, ogni volta, entra nel magazzino e porta via qualcosa. Intanto ad Asmara si inaugura il lussuoso Albergo Italia. A dormire per la prima notte in uno degli edifici più moderni dell'Africa Orientale ci sono politici, ufficiali e imprenditori. Uno di questi, però, la mattina dopo non si sveglia. A indagare sull'omicidio sono il capitano dei regi carabinieri Colaprico e il suo assistente, lo zaptiè Ogba. Insieme rintracciano collegamenti tra l'omicidio e il furto al magazzino, rivelando un traffico di materiali dell'esercito che coinvolge autorità politiche e militari sia in colonia sia in Italia.



Recensione della Redazione QLibri

 
Albergo Italia 2014-06-29 09:03:10 Cristina72
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2.5
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    29 Giugno, 2014
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Una montagna dalla cima piatta

Lo stile è efficace, con pause ad effetto che sono il marchio di fabbrica dell'eloquio di Lucarelli, l'ironia non manca e le atmosfere esotiche sono ben descritte anche dal punto di vista storico-linguistico.
L'Eritrea di fine Ottocento colonizzata dagli italiani spicca vivida e le folate di caldo africano sfiorano il lettore, insieme all'aroma dei chicchi di caffè tostati, ma la trama di questo giallo con venature da intrigo internazionale è debole e ingarbugliata e la noia avanza inesorabile man mano che si procede nella lettura.
La soluzione poi, malgrado tutto l'ambaradan che sta dietro, è il trionfo della banalità e ricorda quella dei delitti della Settimana Enigmistica.
Nulla da rilevare sui due protagonisti, il capitano Colaprico e il carabiniere indigeno Agbà, a parte il baffo del primo e la perspicacia del secondo, Sherlock Holmes abissino che dice “Berghèz” - “Ovvio” - invece di “Elementary my dear Watson” (le similitudini, a dire il vero, si fermano qui).
Intrigante, invece, la figura della “ualla” la “monella” seduttrice ma non propriamente prostituta che muove indirettamente le fila degli eventi con l'unico scopo di godersi il più possibile la vita, a volte giocando col fuoco.
Non ci sono però abbastanza elementi per definire interessante un romanzo che si legge per forza d'inerzia e si fa presto a dimenticare, del tutto privo com'è di suspense e mordente.
Una montagna dalla cima piatta, proprio come quelle eritree.

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Albergo Italia 2014-08-10 22:16:47 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    11 Agosto, 2014
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Corno… d’Africa!

Questa volta, a bordo di quella formidabile e infallibile macchina del tempo che è… un libro! (l'unica macchina del tempo della quale personalmente dispongo), con “Albergo Italia” Carlo Lucarelli ci proietta nel corno d’Africa, ai tempi dell’italico colonialismo.
Non si è ancora spenta l’eco della sanguinosa battaglia di Adua e ad Asmara si celebra una novità: è infatti “il giorno giusto per inaugurare il nuovo albergo, il più grande, il più moderno, il più elegante – e ancora l’unico – della nuova Asmara”.
Dovrebbe essere un innocuo evento mondano. E invece l’inaugurazione si trasforma in un caso poliziesco perché in una delle camere viene ritrovato “un uomo nudo appeso per il collo alla ventola del soffitto”: “Farandola Antonio… professione tipografo”.
Un banale caso di suicidio per debiti di gioco?
Nossignori, perché “quel suicidio era sembrato strano fin dall’inizio”…
Insieme al capitano Colaprico indaga il carabiniere etiope Ogbà (“Sa come lo chiamo? Lo Sherlock Holmes abissino”), una macchietta di colore che ben conosce la mentalità italiana e ne previene pregiudizi e meccanismi.
L’architettura del misfatto è piuttosto complicata ed è preceduta da uno strano furto (“I ladri mandano una donna a distrarre la guardia e forzano la porta della casermetta... si portano via la cassaforte su una barella fatta con le assi…”) che getta coni d’ombra sul furiere Mariano Russo (come da “relazione su quello che era successo da spedire in Italia assieme al furiere”), un sinistro incrocio tra un raccomandato e un corrotto.
Come nei gialli di Agatha Christie, l’assassino del tipografo torinese andrà ricercato tra gli ospiti dell’albergo, ai quali viene prontamente revocato il permesso di abbandonare il luogo del delitto.
Nel nuovo romanzo di Lucarelli l’ambientazione eritrea è realistica (“le tettoie di paglia intrecciata del mercato del kanan, dove le donne vendono le spezie…”), il plot evocativo dell’aggressione italiana in Abissina (“Ha mai sentito parlare dello scandalo della Banca Romana?”) e i termini in lingua tigrigna creano immedesimazione nella geografia del romanzo…

Bruno Elpis

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Albergo Italia 2014-08-06 13:28:59 Domitilla Ganci
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2.8
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Domitilla Ganci Opinione inserita da Domitilla Ganci    06 Agosto, 2014
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Suggestioni d'Africa

Soffia il vento bollente del deserto su questo romanzo breve di Carlo Lucarelli.
La trama, letta in fretta sulla quarta di copertina, mi sembrava proprio adatta per la stagione (strana stagione, ma pur sempre estate…).

Si tratta di un giallo storico, insolito per argomento ed ambientazione. Lo sfondo è l’Africa orientale nel corso del periodo coloniale. La dominazione italiana dell’Eritrea alla fine dell’ottocento, è una parte della nostra storia non molto conosciuta e piuttosto interessante. Un sogno di grandezza a imitazione delle altre potenze europee dell’epoca, in cui l’Italia si cimentò con spavalda sicurezza e mezzi inadeguati, naufragato lentamente e indecorosamente.
L’argomento è caro a Lucarelli, che lo ha già trattato, nel suo precedente, corposo romanzo “L’ottava vibrazione”, di cui questo racconto raccoglie e rimescola alcuni elementi.

Siamo nel 1899, la storia si svolge tra Massaua e Asmara, i personaggi si muovono come sospesi in un’ atmosfera lenta, dilatata, ora sfiniti dalla canicola di Massaua, ora storditi dall’ubriacatura dell’ aria rarefatta dell’ altipiano di Asmara, dove sorge, opulento ed esagerato, lo sfavillante “Albergo Italia”, deputato a celebrare la grandezza italica nella colonia.
Politici, imprenditori, dame dell’alta società, soggiornano nel lussuoso hotel, che però ospita anche oscuri e ambigui figuri, come il faccendiere Antonio Farandola, trovato impiccato nella sua camera proprio a poche ore dall’ inaugurazione della sfarzosa struttura.
Subito, sul posto, accorrono il capitano Colaprico, al comando della Compagnia Carabinieri reali, appena insediatasi ad Asmara e il suo assistente locale, il carabiniere eritreo (zaptiè) Ogbà.
Colaprico, trasferito in Africa dalla Sicilia dopo una frettolosa e sospetta promozione proprio nel bel mezzo delle sue indagini sulla morte del marchese Notarbartolo che “…avevano coinvolto questa cosa chiamata maffia”, conosce bene gli intrighi e non si lascia persuadere nemmeno per un istante da questo curioso suicidio.
Ogbà, avvezzo a destreggiarsi con furbizia e sensibilità tra i “t’lian”, i “so tutto io”( cullu ba’llè), riesce ad entrare nell’ indagine, contribuendo a risolvere il caso con rapidità e acume, ritagliandosi nel romanzo un ruolo determinante.
Strana coppia di investigatori Colaprico e Ogbà, che in un crescendo di intuizioni e colpi di scena risolverà il caso, che sembra lambire persino alcune alte cariche del Regno d’Italia (boh, cronache di un tempo che torna!).

A dire il vero i primi capitoli mi sono sembrati abbastanza pesanti (per essere un romanzo breve). Non riuscivo ad entrare nella storia e l’uso massiccio di termini in tigrino, la lingua eritrea parlata nella colonia, benché conferisse alle pagine un sapore esotico, rendeva faticoso seguire la vicenda.
I pensieri dei personaggi che popolano la colonia (indigeni, ma anche italiani), sono inframmezzati da termini in questa lingua e da espressioni rese in vari dialetti italiani, probabilmente affinché riusciamo a calarci nello spirito che animava questo microcosmo sperduto in terra d’Africa, dove lingue e dialetti si confondevano in un carnevale di personaggi e situazioni.

Andando avanti le pagine mi sono apparse più lievi e la storia più coinvolgente ( o forse ho solo memorizzato le parole più usate!).
Mi è piaciuto il modo in cui l’autore ha scelto di caratterizzare i personaggi del romanzo: il fascino lontano e selvaggio del fiero popolo eritreo, la prosopopea degli italiani, dominatori per caso e per poco, ma anche la sgualcita presenza dei semplici soldati della colonia, in un paese inospitale e remoto .
Tra tutti mi hanno colpito ualla, la ragazza indigena “monella più che prostituta” che vive con leggerezza anche le situazioni più al limite e il capofuriere Russo, con il suo strascicato accento partenopeo e la tranquilla, incosciente naturalezza con cui affronta anche le situazioni più rischiose e sfuggenti. Mi sono sembrate le due facce di una stessa medaglia, i due aspetti di un saper vivere alla giornata, scanzonato e leggero, adatto a tutte le latitudini ( indicativo il verbale della deposizione di Russo in merito all’ omicidio)!
Margherita, la sensuale e misteriosa avventuriera di cui Colaprico s’invaghisce, porta con sé l’alone di una femminilità antica, trascorsa, perduta, con il suo profumo d’acqua di rose, il suo fruscio di sete, la pelle diafana. Forse è un personaggio un po’ stereotipato, ma comunque intrigante.
Bella l’immagine di Debaroà, la terra che Ogbà ha dovuto abbandonare perché infruttuosa e che ne attrae intensamente i pensieri non appena vi fa ritorno (“…guardava la discesa che scivolava giù irsuta e dura come la schiena di un animale, i cespugli radi come ciuffi di pelo, i sassi bianchi come ossa, fino alla spianata in fondo, con l’albero avvinghiato al terreno, le radici piantate nella polvere come le dita di una mano aperta”).

Al di là dell’epilogo giallo (forse non è la trama più riuscita di Lucarelli), la conclusione, in cui lasciamo l’immagine del capitano Colaprico dissolversi in una scena seppiata, sfumata e sospesa, mi è sembrata poetica e suggestiva, proprio adatta al resto della storia.
Sul profilo facebook dell’autore, c’è una magnifica immagine d’epoca della rada di Massaua, dove mi è piaciuto immaginare il capitano Colaprico che osserva, immoto, il piroscafo che si allontana, portando via per sempre la bella Margherita.

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