Al Tayar Al Tayar

Al Tayar

Letteratura italiana

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Alessandro Merisi, venticinque anni e un lavoro da fotografo ormai abbandonato, è appena atterrato al Cairo. Nella sua valigia pochi vestiti, quanti bastano per nascondere i farmaci che ha il compito di trafugare in Egitto. Non ha scelta, questo è il tributo che gli è stato imposto per un debito dal quale teme di non liberarsi più. Alex ha la scaltrezza necessaria per superare i controlli all'aeroporto, ma niente può prepararlo a ciò che lo aspetta quando l'auto venuta a prelevarlo arriva a destinazione: una clinica privata dove la disperazione di chi non ha più nulla da vendere se non la propria salute incontra quella di ricchi stranieri la cui vita dipende da un trapianto. Sedotto dal fascino di una metropoli in preda agli spasmi di un regime morente, Alex intravede l'occasione per conquistarsi una seconda vita, anche se significa lasciarsi trascinare nel mondo terrificante del traffico di organi. Nella danza macabra che unisce criminali spietati, vittime sacrificali e donne incantevoli, a chi toccherà il trionfo, a chi la fuga, a chi una fine atroce? Mario Vattani dipinge un noir dove il destino degli uomini non viene deciso dalla malvagità delle loro azioni, ma dallo scorrere inesorabile del Nilo. Una corrente in cui non si può far altro che lasciarsi andare, anche a costo di perdere l'anima.



Recensione della Redazione QLibri

 
Al Tayar 2019-06-10 08:54:52 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    10 Giugno, 2019
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In balia delle correnti della vita

Per chiunque abbia avuto occasione di trascorrere un periodo della propria vita al Cairo, e non soltanto come semplice turista, questo bel romanzo fresco di stampa non può che rivelarsi sorprendentemente evocativo. Tra le sue pagine io ho ritrovato la stessa identica città conosciuta una decina d’anni fa, lo stesso caos devastante, gli identici struggenti tramonti, colori, odori, profumi di sempre…

“[…] il tappeto sonoro della città, un fruscio ininterrotto come quello dello schermo di un vecchio televisore senza canali, un tessuto che ci sovrasta, tenuto insieme dal contrappunto di migliaia di clacson, di un’infinità di auto, di camion, le sirene delle ambulanze, lo sferragliare delle betoniere, degli autobus, e poi le motociclette, i trattori, il fumo nero della nafta bruciata che soffia su dai tubi di scappamento arrugginiti e si va ad aggiungere alle tenebre sopra di noi, senza stelle, senza luna.”

La città del Cairo è così: la si odia o la si ama. O entrambe le cose, in un alternarsi, spesso contrastante, di sentimenti e stati d’animo suscitati da questa frenetica metropoli moderna dal cuore antico.
Alex, il protagonista di origine italiana di “Al Tayar”, sceglie di amarla in verità fin da subito, catturato da un fascino ambiguo a cui si è voluto aggrappare in cerca di una possibile salvezza e redenzione. Approda casualmente nella capitale egiziana per ripagare un debito contratto con un giro di gente poco raccomandabile; il suo lavoro interrotto da fotografo è rimasto forse a Londra o nell’Estremo Oriente, tra le insoddisfazioni e le delusioni di una vita sì giovane ma già pesantemente vissuta. Ad attenderlo al Cairo, in mezzo al sudicio frastuono delle sue strade, persone non certo migliori di coloro per cui deve fare una consegna illegale di farmaci, ma tra le quali lui sembra trovare all’improvviso una sua giusta dimensione, al punto da chiedere di restare sul posto a lavorare per loro. Eppure dietro la facciata pulita e l’odore pungente di disinfettante della clinica di al Maadi, Mohamed, Ahmed, Khaled e altri celano affari tra i più sporchi e turpi che possano esistere e che non tarderanno a bussare alla coscienza di Alex, il quale capirà presto che il suo nuovo lavoro non consiste soltanto nei recarsi all’aeroporto ad accogliere ricchi pazienti inglesi che hanno pagato cifre strabilianti per un trapianto che possa salvare loro la vita. Da dove, e soprattutto da chi, provengono gli organi trapiantati? È proprio tutto così semplice e filantropico come qualcuno cerca di dipingere sbrigativamente l’intera questione?
In un crescendo di suspense e colpi di scena ben dosati, la penna di Mario Vattani, diplomatico non nuovo alla narrativa, con grande maestria dà vita a un noir che intreccia lunghe giornate assolate e notti insonni ancor più interminabili, dove i concetti di bene e male si rincorrono spesso lungo confini poi non così marcati.
Una scrittura, a livello formale, perfetta, solida, per nulla incline a comode semplificazioni linguistiche oggi purtroppo in voga; a livello sostanziale, piacevolmente coinvolgente (tant’è che non si avverte nemmeno la mole delle pagine) e d’una scorrevolezza che è pari a quella del Nilo, la cui corrente, come già anticipa il titolo del libro, affascina e quasi ipnotizza il nostro protagonista.

“Per la prima volta mi trovo all’altezza del fiume, e resto incantato dalla sua massa immensa. I miei passi risuonano sulle tavole, e sento nelle narici l’odore di quella superficie buia e fluttuante, punteggiata da mille riflessi di luce. A meravigliarmi non è solo il profumo di umidità, di fango, di natura, ma soprattutto l’idea che quello stesso profumo, come un vapore invisibile che si è andato costituendo particella per particella, ha attraversato il continente africano per migliaia di chilometri.”

E proprio da questa corrente, grande metafora della vita, si lasciano trascinar via ineluttabilmente tutti i personaggi, ciascuno ben delineato, tra cui spiccano, in particolare, le figure femminili principali (Amal, Noura, Nawal) che rispecchiano alla perfezione la tipologia delle donne in un Paese arabo: da quelle che sono velate e (mica tanto) pudiche a quelle che, con buona pace di tutti i nostri cliché preconfezionati sull’argomento, vivono pressoché all’occidentale con i capelli rigorosamente al vento; a tal proposito, un meritato plauso deve essere tributato a chi ha scelto l’immagine di copertina, finalmente lontana da scontati e prevedibili volti femminili muniti d'islamico hijab, se non addirittura del più intrigante niqab che, come dimostrato nel tempo, aiuta a vendere un maggior numero di copie specie quando si tratta di presunti casi editoriali di poca sostanza.
Scritto con grande passione e dovizia di particolari, “Al Tayar” è un bellissimo romanzo che un autore digiuno del Cairo non avrebbe mai potuto mettere nero su bianco; si sente che Vattani ha vissuto la città nel profondo, l’ha fatta propria (persino linguisticamente!), forse l’ha amata come il suo Alex e, chissà, anche odiata nei giorni più grevi e insopportabili. In fondo, è lei l'altra grande protagonista, questa immenso, tentacolare agglomerato urbano dal colore del deserto e che il deserto intorno sembra voler ormai divorare, con i suoi labirinti di sopraelevate, il suo traffico disordinato e incessante, la selva di antenne satellitari sulle terrazze, ma anche i suoi angoli che paiono oasi fuggite dal caos cittadino, come la collina del Muqattam, dove sorge la Cittadella con la Moschea di Muhammad ‘Ali (uno dei luoghi più belli che io stessa abbia mai visto), o il complesso di al Azhar. Una città che incanta e rapisce l’anima quando scende la sera sul Nilo e dai minareti s’alzano all’unisono le voci dei muezzìn, ma che può anche precipitare negli inferni più oscuri come accade nel drammatico epilogo della vicenda narrata. Cinque stelle e lode!

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Al Tayar 2019-06-18 11:50:45 Raffaella Scorretti
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Opinione inserita da Raffaella Scorretti    18 Giugno, 2019

Un viaggio affascinante e tormentato nell'animo um

Sono appena tornata da un viaggio appassionante in territori che conoscevo già, ma che stavolta ho visitato seguendo il meraviglioso racconto di un narratore che li ha vissuti da una prospettiva unica, vivendo e lavorando come console al Cairo per tre anni, a contatto con quella gente e quella cultura che Mario Vattani ritrae con stile impeccabile e linguaggio ricercato ma mai frondoso.
In questo viaggio mi ha guidato la corrente. Non solo quella maestosa eppure discreta e silenziosa del grande fiume Nilo, ma quella della vita stessa. Con gli occhi di Alex ho incontrato tanta parte della miseria umana, ho incrociato la malattia, la paura, l’avidità, la disperazione, ma anche la sensualità, la speranza, la voglia di vivere e di rinascere, di lottare, di cambiare, di crescere. Ho attraversato luoghi descritti talmente bene che potrei ripercorrerli tutti riconoscendone le sagome, i colori, le luci, le sfumature, sentendone gli aromi e i fetori come si fa con territori familiari. Così come di ogni persona (non riesco a chiamarli personaggi, tanto mi sono sembrati vivi e reali) distinguo le forme, sento le voci, conosco le espressioni del viso e l’odore. Anche chi incrocia solo per un attimo l’esistenza di Alex è un cameo perfetto, come la donna delle pulizie all’aeroporto.
Leggere Al Tayar è come guardare un film piuttosto che sfogliare un libro, talmente sono vivide le immagini dei posti e dei volti. E allora è facile rintanarsi nel piccolo appartamento di Alex, sdraiarsi sui tappeti beduini con un whiskey a guardare il tramonto inghiottire la metropoli e tutte le sue contraddizioni, rifugiarsi nella risata viva e generosa di Noura per fuggire dall’ingordigia senza scrupoli di Benjamin e di Mohamed, è semplice provare tenerezza per la vitalità acerba ed inebriante di Nawal, o sentire la paura e la disperazione di Kamal, è terrificante smarrirsi nel buio del deserto come nella desolazione dell’anima del protagonista, è inevitabile comprenderlo e al tempo stesso maledirlo per le sue scelte.
Mario Vattani coniuga magistralmente il noir ed il romanzo intimista, alternando momenti di calma e di introspezione ad improvvise e brutali scene d’azione. L’analisi della psiche di Alex ci fa entrare nell'intimo dei travagli e dei tormenti del suo animo, la sua necessità di conoscere e di cambiare, di scegliere, di rinascere ci fa vivere la sua nuova realtà, a volte seducente ed accogliente, a volte disumana e ostile, in un alternarsi emozionante di colpi di scena e di lampi di riflessione, di frastuono e di silenzio, di luce e di buio, di crudeltà e di dolcezza, di autodeterminazione e di fatalità. Il tutto nell’abbraccio della metropoli millenaria e moderna, immobile e viva, che crea ed annienta, che strangola e abbraccia, che nasconde e svela.
Pagina dopo pagina si è davvero sempre in balia della corrente, che può trasportarci placida verso la salvezza o può tirarci a fondo ed ucciderci. Come nell’acqua torbida di Doromizu, ancora luci e ombre, vita e morte, dannazione e salvezza. E ancora un finale che lascia l’amaro in bocca e fa sperare in un seguito. Per Alex e per tutti noi.

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