Ah l'amore l'amore
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Indagine tra camice e reparti ospedalieri
«Lì dentro il tempo era sospeso, a regolare l’esistenza e la cadenza temporale erano i dolori, le piccole, analisi e prelievi. E le visite. Mogli, mariti, fratelli e fidanzati che ogni giorno si presentavano nelle stanze, un traffico continuo di bottiglie d’acqua, dolcetti, giornali e riviste che cercavano di nascondere l’ansia e la paura. Turnazioni di amici o parenti con lo stesso sorriso a mezza bocca e le stesse notizie di chi è fuori e prosegue nella sua quotidianità. Portavano l’odore familiare ai pazienti per accompagnare la guarigione o per non lasciare solo chi stava per abbandonare la vita. Un piccolo e insignificante scampolo di memoria che potesse accendere nel moribondo anche un solo minuto di sollievo. Amore puro che ti faceva lasciare casa e impegni e dare tutto il tuo tempo al malato nutrendolo con la speranza, coi sorrisi, anche solo con la presenza fisica. […] Dolori, pillole, analisi, prelievi, visite e i pasti. Tutto fuori orario, l’ospedale era un microcosmo che obbediva a regole che niente avevano a che fare con la vita prima del ricovero. La scansione temporale serviva forse a distrarre i malati, a farli vivere in una dimensione diversa e assuefarli un po’ come si fa con le divise quando si parte per la leva. Tutti uguali, tutti anonimi, tutti con l’orologio della caserma. Andarsene al più presto da quella dimensione disumana e tornare alle proprie case era l’unico desiderio, pensiero fisso costante che abitava quei corpi stremati, anche nei sogni notturni.»
E questo Rocco lo sapeva benissimo. Lo sapeva benissimo come il fatto che le notti negli ospedali sono molto più lunghe dei giorni; sono tempo ininterrotto, interminabile. È il 26 dicembre e il vicequestore Schiavone ha appena subito un importante intervento chirurgico atto a salvargli la vita ma che gli è costato un rene. Quasi contemporaneamente alla medesima operazione, una nefrectomia radicale, è sottoposto Roberto Sirchia, il quale, non riesce però a sopravvivere alle procedure mediche attuate. Nei confronti di Filippo Negri, primario del reparto, scatta una denuncia per presunto errore medico: Sirchia, possessore del gruppo sanguigno 0 Rh negativo ha subito una trasfusione errata. Ma com’è possibile se nel sacco trasfusionale proprio quello era il gruppo contenuto? Tuttavia, per Rocco qualcosa non torna. C’è un odore strano, una strana puzza. Troppi sono i tasselli che non combaciano soprattutto se si considera che predetta operazione doveva essere effettuata già un mese prima al tragico evento e che era stata rimandata esclusivamente a causa di un peggioramento delle condizioni di salute del paziente.
«Dottor Negri, io e lei in fondo lavoriamo nello stesso campo. Lei deve evitare che una persona diventi un cadavere, io devo capire chi quel cadavere l’ha prodotto. Due anelli di una stessa catena. Le sue mani mi hanno salvato la vita, ora tocca a me.»
Con “Ah l’amore l’amore” torna in libreria Rocco Schiavone, eclettico eroe nato dalla penna di Antonio Manzini. I fatti ripartono esattamente dal dove li avevamo lasciati e cioè da quella sparatoria sul piazzale della ditta Roversi, quando, il vicequestore, insieme alla sua squadra, aveva portato a termine l’arresto della banda di falsari e rapinatori responsabili di un duplice omicidio a Saint-Vincet. Enigma ancora irrisolto riguardava quella pallotta sparata da non si sa chi e che con il suo incedere aveva gravemente ferito il funzionario di polizia. Pallottola, questa, che lo porta ad una degenza obbligata che lo vede comunque in prima linea con un’indagine che può apparentemente essere ricondotta ad un caso di malasanità. La trama che si snoda tra le pagine è solida e intrigante, il giallo ben orchestrato così come la linea narrativa che è logica e ben costruita. Manzini, tra le righe, sottopone al lettore anche molteplici riflessioni su quella che è ad oggi la dimensione ospedaliera sempre più ridotta ad una gestione amministrativa di un’azienda più che ad un luogo all’interno del quale curare le persone. La burocrazia, cioè, regna sovrana e detta regole imprescindibili e insindacabili per ogni membro del personale e della degenza. Ancora, l’autore si interroga e ci interroga sui valori umani, sui principi, sulla forza della memoria e sul denaro che è una costante che spesso può portare a compiere gesta di dubbia moralità.
In conclusione, un degno seguito della serie, un libro piacevole e scorrevole che non mancherà di conquistare il cuore degli appassionati.
«Quando uno ha un rapporto esclusivo, tende a cacciare tutto e tutti, il mondo intero. È quello che abbiamo fatto. Solo che il mondo poi rientra da una finestra, e te la fa pagare. Ti ricordi?»
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Indagine in corsia
Rocco Schiavone è in ospedale, il drammatico finale del romanzo precedente lo vedeva ferito gravemente durante la sparatoria con i colpevoli del delitto Faivre.
L'operazione a cui viene sottoposto , l'asportazione di un rene, va bene, lo stesso non può dire un noto imprenditore locale, Renaro Sirchia, che per un identico intervento ci lascia la pelle.
Schiavone, come sempre accade ai feriti nelle opere di finzione , ha una capacità di ripresa che sta a metà tra il miracoloso e l'impossibile , e in un paio di giorni inizia le indagini dal letto dell'ospedale. Ne esce uno spaccato realistico della situazione sanità in Italia, tanti bravissimi medici e infermieri che lottano quotidianamente contro fondi inesistenti, burocrazia assurda e dispetti interni, i migliori poco gratificati ma anzi avviliti dalle troppe accuse quando qualcosa va storto fanno leva sull'amore per la propria missione e sulle gratificazioni morali dei pochi che vedono l'uomo dentro al camice bianco.
Le prime indagini lasciano pensare ad un errore nella trasfusione, insomma un caso evidente di malasanità ma il fiuto di Schiavone non è convalescente e il vice questore finisce per uscire dall'ospedale (anche qui...superman gli fa un baffo...) per approfondire le indagini. Questa volta a fare da contorno alle indagini sono le vicende personali del vice ispettore fresco di nomina Antonio Scipioni alle prese con una tresca amorosa da guinnes dei primati.
Episodio interlocutorio della saga sul vice questore Schiavone che aggiunge poco al tutto, ancora non si sa chi è il grande burattinaio che sta dietro alle sventure di Schiavone e il perchè ce l'abbia tanto con lui. Resta comunque godibilissimo dal punto di vista narrativo.
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Uno Schiavone un po' stanco
Mi sono affrettato a completare la lettura dell'ultimo episodio (in rodine coronolgico) in concomitanza dell'uscita della serie di Rocco Schiavone sui canali della Rai. Una serie che ha il grande pregio di non far rimpiangere i libri e che anzi forse li addirittura migliora.
Il libro in questione è di godibile lettura, scorre via con una facilità estrema, ha una trama abbastanza ben congegnata e con una serie di accadimenti ancillari ai personaggi minori che intrattengono molto durante la lettura e che forse, se sommati tutti insieme, hanno più spazio dell'indagine vera e propria.
Il tutto è però giù visto, è insomma un altro episodio della serie che poco aggiunge allo sviluppo della stessa. Ci sarà bisogno di una qualche novità, di un qualche stravolgimento o salto narrativo per tenere alto il livello di questa serie.
Insomma uno Schiavone sempre più stanco, più disilluso e forse anche più triste.
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Rocco Schiavone e l'amore
Torna l’amato ed apprezzato Rocco Schiavone ne Ah l’amore l’amore di Antonio Manzini. Un uomo sempre tormentato, in preda ad un passato che pesa come un macigno, e un presente fugace troppo influenzato da ciò che è stato prima. Ora è alle prese con una storia ricca di incognite, in cui ci sono:
“Troppe coincidenze, la storia puzzava a centinaia di chilometri. Se i pezzi del caso Sirchia sembravano piano piano andare al loro posto quelli del suo passato erano più incasinati di un caleidoscopio. Non ci arrivava, non capiva, troppe piste, troppe tracce, troppi anni e soprattutto troppi morti.”
Il vicequestore è in ospedale, poiché in una sparatoria ha perso un rene, ed è preda di una bruttissima infezione, quando accade un fatto grave. Il primario dottor Negri, colui al quale rocco deve la sua salvezza, viene accusato di essere responsabile della morte in sala operatoria di Roberto Sirchia, un ricco imprenditore. Il decesso è causato da uno scambio di una sacca di sangue sbagliata. Ma come è possibile? Rocco comprende subito che questa è una accusa ingiusta ed inizia ad indagare. Ma non è facile farlo da un letto di ospedale, tuttavia la verità deve essere assicurata, a qualunque costo.
L’amore è sicuramente il protagonista, il trait-d’union della narrazione. Sono tutti in preda a sentimenti diversi: il sottoposto Antonio che si barcamena alla meno peggio tra tre donne senza saper scegliere; Rocco che con l’età cerca di smussare un po’ gli angoli, per abbandonarsi ad un amore nuovo, ma con riserva, restando sempre in preda alla malinconia e ai tanti misteri, le cui ombre modificano da tanto la sua vita. E poi la vittima con i suoi comportamenti errati, con le sue relazioni clandestine, inquietanti ed odiose.
E’ una umanità variegata quella presentata da Manzini in questo libro. Si parla anche di temi attuali: come quelli legati alla malasanità, ai riti ospedalieri, al cibo scadente. Su tutto i sentimenti, quelli che contraddistinguono l’uomo in quanto tale, con i suoi lati positivi e i tanti negativi.
Una lettura di genere, che scava a fondo nella psicologia dei personaggi che animano il testo. Una serialità che continua, di successo, dovuto ad una trama ben congegnata e alla raffigurazione perfetta dei personaggi, di cui si conosce non solo la propria caratterizzazione, ma il loro sentire intimo ed intimistico. Alla prossima avventura!
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Differenti modi di amare
Antonio Manzini ci ripresenta, in quest’ultimo romanzo, il suo personaggio meglio riuscito, quello che gli ha regalato fama e popolarità: Rocco Schiavone, l’originale e anticonvenzionale vicequestore della polizia di stato, e dicesi vicequestore, come lui stesso sottolinea, i commissari non esistono più.
Schiavone, romano purosangue, un romanaccio di quelli viscerali, dislocato a forza in quel di Aosta, nell'immaginario collettivo ha le sembianze di Marco Giallini, l’attore che ben lo interpreta nelle fortunate fiction tratte dai romanzi della serie.
Tuttavia, il personaggio di carta ha qualcosa in più, a mio parere è preferibile e meglio contraddistinto, presenta dei tratti più precisi e incisivi, delle definizioni caratteriali che non sempre risaltano nella trasposizione cinematografica.
Non è, infatti, una macchietta in romanesco, come potrebbe apparire, burbero e furfante, affatto.
Meno che mai un casareccio Robin Hood, che ripara torti e distribuisce favori agli amici, e che comicamente si trova a operare in un habitat non ideale per la sua indole.
E per di più spinellando a gogò, in stile casual chic.
Di divertente ha poco, Rocco Schiavone, semmai possiamo definirlo meglio sarcastico e disilluso, è piuttosto un emblema di serietà e praticità del vivere, in verità essenzialmente un uomo duro e temprato dalle miserie della vita.
I fatti della vita, suo malgrado, l’hanno reso scontroso, diffidente, soprattutto stanco delle miserie umane, ai quali tenta da sempre di porre un freno, e che lo vedono, puntualmente, sconfitto e deluso. Certo, fanno da contraltare alla sua solitudine di uomo e di poliziotto degli intermezzi ironici, ma dopotutto la vita è così, alterna momenti tragici a quelli comici con tutte le diverse sfumature possibili. L’ironia e il sarcasmo delle storie appartengono invece più a certi bislacchi elementi della sua squadra.
Agenti però per niente improbabili, tutt'altro, c’è da rilevare, sono davvero figure veritiere, con i loro limiti, le loro preoccupazioni, gli stress e le poche ore di riposo, le scarse possibilità economiche, magari il doppio lavoro in un panificio, e pensieri balzani, al limite dell’illecito, ma sono veri, non invenzioni letterarie.
Il vicequestore stesso è figura reale, è un di più di quello che appare in video, è una persona a prima vista malinconica, un introverso malgrado le origini popolari e caciarone, una persona insofferente e un po’ orsa, pronto spesso a deviare dalla linea diritta della giustizia, se la traiettoria non lo convince del tutto. Perché diciamolo, è un poliziotto che infrange spesso e volentieri le regole, è vero, che si macchia di qualche delitto, e non importa di quale misura, non dovrebbe farlo e basta, è pur sempre una persona per scelta e giuramento tenuto a far rispettare la legge dello stato, senza deroghe ed eccezioni. Rocco Schiavone però, appunto, non è un eroe, è un uomo comune, con la sua storia, che l’ha plasmato esattamente nel modo tutto suo come si presenta.
Nato e cresciuto in un quartiere popolare e borgataro di Roma, di quell’ambiente difficile di vita conserva memoria, esperienza, e soprattutto amici. Marchiati a fuoco sulla pelle e sul cuore.
Conosce direttamente i casi della vita, le ingiustizie e le ipocrisie, perciò è un uomo di conseguenza.
La vita ha deciso per lui, si è avviato a una professione che gli permettesse, in qualche modo, di rimediare certi guasti; accorgendosi ben presto che sarebbe stata impresa vana.
L’ipocrisia, il delinquere, il malaffare, non è prerogativa solo di certi ambienti e strati sociali; è assai più frequente, e invasiva come un bubbone maligno, in altri livelli cosiddetti perbene e perbenistici.
Ne consegue un suo barcamenarsi tra lecito e illecito, tentando in qualche modo di trarre anche vantaggio materiale per sé e per i suoi da qualche digressione alla regola, ma questo è umano, comprensibile, dati i precedenti, vista la sua esistenza, la sua origine, e a quanto assiste.
Reagisce perciò d’istinto, segue il suo cuore profondamente buono, dopo tutto, onesto e leale, è questo suo essere normalmente istintuale verso il bene che gli dona spessore reale, è un difetto che lo rende comune, vero e non inventato.
Dato il suo spessore umano, commette reati da “cattivo” anche se fa parte dei “buoni”, ma resta fedele ai cardini vincolanti dell’etica del buon senso, della ragionevolezza, del non commettere azioni magari perseguibili penalmente, ma giustificati coram populo, dal senso di giustizia spicciola, rapida e diretta, che ognuno coltiva in sé.
Come dire, rubare a un ladro non è un furto.
Nemmeno uccidere un pluriomicida.
E farsi una canna, non è lo stesso che rovinare giovani spacciando.
Insomma, un comportamento opinabile il suo, ma di qualche moralità, almeno accettabile.
Pagandone per di più il prezzo in prima persona, per esempio con la scomparsa dell’unico amore della sua esistenza, la moglie Marina; e in seguito anche con l’allontanamento coatto dalla sua città, dal suo ambiente, dalle sue radici, i suoi odori, i suoi gusti, i suoi amici.
Trasferito in un locus all'estremo della sua indole, in Val d’Aosta, regione splendida ma semplicemente agli antipodi del suo modo di intendere l’esistenza, che lo porta ad affrontare per esempio neve alta con un paio di polacchine Clark, più adatte per una passeggiata a Villa Borghese.
Rocco Schiavone è un uomo qualunque, con una sensibilità estrema, un’empatia umana sopra la media, cui però la vita ha riservato il colmo dei destini per un uomo di simile inclinazione: Schiavone ama la pulizia di spirito, la lealtà, la fedeltà agli amici, l’amore per la sua donna, ed è invece costretto quotidianamente a sguazzare tra omicidi, lordure, tradimenti, infedeltà, violenze e tutto questo fango, alla fine, gli penetra sottopelle lasciandogli un alone scuro.
Quest’ultima avventura lo trova convalescente, poco prima del Capodanno, in un letto d’ospedale a Aosta, dove si va riprendendo dopo l’operazione a seguito di una grave ferita, dopo un conflitto a fuoco nell'esercizio delle sue funzioni.
Uno scenario diverso dalle sue abituali avventure tra Roma e Aosta, una storia a campo ristretto, un ospedale, nel quale Schiavone, ancora più insofferente del solito nei panni del paziente, indaga efficacemente su un caso di presunta malasanità.
Qui Manzini approfitta, forse per il periodo natalizio scelto in cui fa decorrere il suo racconto, o per una forma di riguardo per la location, un ospedale, un luogo impregnato prioritariamente di sentimenti empatici come il dolore, la sofferenza, la pietas umana, e si sbizzarrisce in parentesi di vario genere in cui espone differenti modi di amare, le ragioni, i motivi e le cose che fa fare l’amore, ah l’amore, proprio.
Assistiamo così all'instaurarsi di un qualche rapporto affettivo tra Rocco Schiavone e la giornalista Sandra Buccellato, che si svolge con esito imprevisto e imprevedibile.
Vediamo il consolidarsi dell’unione tra un valente anatomopatologo, restituito a dimensione fallibile da una banale distrazione, e una professionista della scientifica, tanto brava e diligente quanto insolita, una vera miracolata dalla legge Basaglia, che le permette di girare a piede libero.
Siamo in prima fila nel seguire le triple evoluzioni ginniche sessuali del neo ispettore Antonio Scipioni, che finirà per preferire la vicina di casa, molto più rassicurante.
Triste vedere il consolidarsi dell’insano rapporto tra il poliziotto Italo e la ludopatia; struggente ascoltare l’accorata, testarda e disperata richiesta di conservare l’amicizia, che altro non è che una specie d’amore, con il suo vicequestore, che viene dall'inetto poliziotto D’Intino; sorridiamo davanti alla burocratica dichiarazione d’amore di Casella.
Più di tutto, forse la manifestazione d’amore più gradita per Schiavone, è quella fattiva, pratica, sbrigativa e affettuosamente intensa dell’amico di una vita, Sebastiano.
In questo romanzo Manzini ha raccontato di Schiavone, certo; e però, mai come stavolta, ha dato ampio spazio ai comprimari delle sue storie.
Quasi volesse indicare che, anche per il vicequestore, gli anni passano, che non è invulnerabile, forse è il caso che si metta un momento da parte, che faccia un passo indietro.
È questa sua fragilità, che lo rende umano, perciò gradito.
Anche con un pezzo in meno. Questione d’amore, quindi, ah l’amore, l’amore.
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“L'ultima spiaggia della medicina è l'amore”
Indovinatissima e quantomai attuale l’ambientazione tutta ospedaliera messa in scena da Antonio Manzini nell’ultimo capitolo di questa fortunata serie. Il punto d’osservazione è quello di un ricoverato d’eccezione, l’anticonvenzionale vicequestore romano trasformatosi per l’occasione in indisciplinato e irrequieto degente, in ripresa dopo un delicato intervento e determinato a vederci più chiaro su un presunto caso di malasanità che ha coinvolto il reparto.
Attraverso i suoi occhi vediamo medici e infermieri. Uomini e donne con le occhiaie, il viso stanco e la sensazione, a volte, di combattere contro mulini a vento fatti di burocrazia, lamentele, indifferenza. Sembra non bastare mai, la fatica, e forse mollare potrebbe essere quasi una liberazione. Eppure, ogni giorno, si rimettono quel camice sottile di apparente distacco e cinismo, per lottare e rischiare e provarci, ancora e ancora.
Attraverso i suoi occhi vediamo pazienti e visitatori. Il molesto evasore fiscale che non smette di borbottare contro quella stessa sanità che gli ha appena salvato la vita. L’uomo comune che si riscopre egoista, attaccato al proprio fragile bene. E una schiera di mogli, fidanzati, fratelli e genitori, a portare un dono, un gesto o una parola di quotidianità, nella speranza che quel piccolo sorriso possa far sentire il malato meno solo, in questa guerra senza armi contro un nemico invisibile.
“L'ultima spiaggia della medicina è l'amore”.
È proprio questa frase ad avermi guidato come chiave di lettura lungo le pagine, rendendomele così care in un momento in cui la malattia tocca da vicino tutti noi e ha frantumato persino quel piccolo sollievo fatto di vicinanza, di carezze, di sorrisi. Non importa allora se, in fin dei conti, questo romanzo risulti essere un episodio un po’ interlocutorio, cha nulla sembra aggiungere al mosaico della storia di Rocco Schiavone. Non importa se il nostro scontroso e acciaccato poliziotto appaia un po’ sottotono, sullo sfondo di una vicenda che per una volta gioca e gigioneggia soprattutto con la schiera di personaggi secondari. Sono l’umanità, la prossimità emotiva e la dolorosa malinconia di quest’ambientazione che questa volta sorreggono tutto.
“Era come la storia di quelle foglie autunnali sugli alberi, pensava ricordando la breve poesia scritta dentro una trincea, e in fondo quello era il nosocomio: una trincea dove le bombe erano silenziose, il nemico senza nome te lo portavi dentro e ogni giorno rosicchiava un po’ di vita”.
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Un delitto mascherato da errore ospedaliero.
E’ l’undicesimo giallo con protagonista Rocco Schiavone, il poliziotto fuori dai consueti schemi tradizionali che ha conquistato i lettori romanzo dopo romanzo, con i suoi modi spicci, poco attenti al potere ed alle forme ma decisivi nel risolvere casi difficili. Antonio Manzini ha fatto centro anche questa volta, ambientando gran parte dello svolgimento delle vicende in un reparto ospedaliero. Un reparto di chirurgia in cui il protagonista è ricoverato in seguito ad un intervento per nefrectomia: un maledetto proiettile infatti gli ha leso irreparabilmente un rene durante una sparatoria (sapremo anche come è andata realmente, ma è un secondario colpo di scena che l’autore riserverà alla fine dell’opera). Si dà il caso che un illustre paziente sia contemporaneamente ricoverato nel medesimo ospedale e che, durante un analogo intervento, ci lasci le penne in seguito ad una emorragia massiva e ad una trasfusione di sangue: si scoprirà anche che i gruppi sanguigni del ricevente e del donatore non corrispondono, sembra chiaramente un errore trasfusionale a causa del quale primario chirurgo e ospedale vengono colpevolizzati con la prospettiva di un cospicuo risarcimento per la famiglia. Ma il nostro sagace poliziotto intuisce che c’è qualcosa di poco chiaro e, sotto traccia e da ricoverato, comincia ad indagare. Gira nottetempo per i vari reparti, scende negli scantinati, segue furtivamente i tecnici responsabili delle sacche di sangue, conosce medici ed infermieri, riesce perfino ad uscire dall’ospedale per organizzare indagini esterne con i colleghi della questura, naturalmente con il permesso del primario chirurgo con il quale instaura un buon rapporto collaborativo. Ha un gran fiuto il nostro beneamato Schiavone: in ospedale ci sono anche personaggi sfuggenti, ambigui, soggetti pronti a tradire la professione per denaro, per non parlare degli altezzosi parenti dell’illustre deceduto. Alla fine verrà a galla la verità: l’errore trasfusionale sarà solo la conseguenza di ben altro errore, questa volta astutamente messo in atto durante l’intervento. Emerge comunque a tutto tondo la figura di questo straordinario poliziotto, ben delineato dall’autore in tutte le sue sfaccettature: Manzini fa di Rocco Schiavone quasi una “sua” creatura, creando una figura di poliziotto unica, fuori dagli schemi tradizionali, un poliziotto che manda a quel paese (per usare un eufemismo) chi si mette di traverso e intralcia il suo personale percorso investigativo ma capace anche di grandi gesti di umanità nei confronti di ricoverati più fragili, difendendoli contro evidenti soprusi e addirittura dividendo con loro i pasti che, di nascosto, si fa portare dall’esterno. Ma non c’è solo Schiavone: ben tratteggiate sono anche alcune figure di collaboratori, soprattutto quella del suo vice Scipioni le cui avventure boccaccesche ( è l’amante di tre donne, due sorelle ed una cugina, all’insaputa l’una dell’altra) costituiscono un contorno vivace ed esilarante. Il romanzo è scritto bene e con la consueta eleganza, lo stile, molto accurato anche nelle storie di contorno, fa capire che Manzini, oltre che scrittore, è anche molto abile come regista e sceneggiatore. Si attendono nuove indagini di Rocco Schiavone, anche perché con un rene solo si può vivere bene e a lungo.