Senso
Letteratura italiana
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La follia di una donna
“Senso” è un cortoromanzo d’amore pubblicato da Camillo Boito nel 1883. L’opera è scritta sotto forma di diario e la protagonista è la Contessa Livia Serpieri, che alla soglia dei quarantenni, grazie alla corte di un avvocatino che gli fa tornare in mente gli episodi della sua gioventù, ci racconta la storia del suo grande amore.
Era il 1865 e la novella sposa aveva ventidue anni e si trovava a Venezia con il conte, un uomo molto più vecchio di lei. La scelta non le era stata imposta dalla famiglia ma proprio da lei, che in quest’unione non vedeva amore, ma vedeva molta convenienza, fra cui carrozze, brillanti, abiti di velluto, titolo…
Tutto inizia quando Livia si ritrova infatuata di Remigio, tenente austriaco, che con la nostra protagonista ha molto in comune. Oltre ad avere un aspetto molto piacevole, questo tenente Ruz era un giocatore di carte, uno sperperatore e soprattutto un uomo di poco onore.
Insomma Livia, senza rendersene conto s’innamora proprio di un uomo così simile a lei. Ma gli eventi prendono una brutta piega e la Contessa non è una donna abituata a perdere.
Boito ci presenta una donna vanitosa, egoista, e superficiale che diventa poi una donna gelosa, ossessionata e vendicativa. Una donna ferita può diventare davvero molto pericolosa. Quello che colpisce il lettore, o almeno me, è che Livia è anche una donna non pentita ma recidiva.
Sullo sfondo di un’Italia che cambia, in piena guerra, questa storia d’amore, se così si può chiamarla, porta alla luce molte debolezze umane. Tutto questo avviene in circa cinquanta pagine da cui poi Luchino Visconti ha preso ispirazione per la realizzazione del suo film del 1954. In realtà non ha preso solo spunto, ci sono delle modifiche all’interno della trama, ma sono lievi, quello su cui invece ha lavorato il regista è lo sfondo politico e rivoluzionario del tempo. Visconti approfondisce una trama un po’ scarna, “condendola” con degli ingredienti che la vanno a completare. Ho apprezzato molto il film e lo consiglio a tutti quelli che si avvicineranno a quest’opera.
Per concludere, posso dire di aver trovato una degna compagna della Marchesa de Merteuil, protagonista del libro “Le relazioni pericolose”, anche se in Livia ho trovato, anche se credevo impossibile, della cattiveria in più. Insieme avrebbero fatto faville…o si sarebbero fatte fuori a vicenda.
Buona lettura!
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Ero gelosa fino alla pazzia
“Senso” di Camillo Boito ha per protagonista Livia, una giovane avvenente che sposa per interesse un uomo molto più anziano (“Per mio marito, che avrebbe potuto essere mio nonno, sentivo un’indifferenza mista di pietà e di disprezzo”). Durante il viaggio di nozze a Venezia (“… Avevo di poco varcato i ventidue anni, a Venezia. Era il luglio dell’anno 1865. Maritata da pochi giorni, facevo il mio viaggio di nozze”), Livia s’incapriccia di Remigio (“Era veramente bellissimo e straordinariamente vigoroso: un misto di Adone e di Alcide”), ufficiale (“Questo tenente di linea… aveva solo ventiquattro anni…”) tanto affascinante (“Il corpo muscoloso, stretto nella divisa bianca dell’ufficiale austriaco, s’indovinava tutto e rammentava le statue romane dei gladiatori”) quanto dissoluto (“Due sole volte e per un solo istante l’avrei bramato diverso”), vile (“Non so nuotare”) e profittatore (“Remigio ogni tanto mi domandava denaro”).
Livia è disposta a tutto (“Mi piaceva in quell’uomo la stessa viltà”) pur di assecondare la propria infatuazione: inganna il marito (“Una sera tolsi dal dito un anello, dono di mio marito, dove splendeva un grosso diamante, e lo gettai lontano nella laguna: mi parve di aver sposato il mare”), fornisce all’amante i mezzi per corrompere i medici militari (“No. Duemilacinquecento fiorini”) e sottrarsi agli obblighi della divisa (“Mi piangeva il cuore. Il diadema specialmente mi stava tanto bene”), lo raggiunge a Verona (“Una mattina calda… le prime notizie di una battaglia orribile: l’Austria era disfatta… Verona ancora nostra”) da Trento, contravvenendo al principio che in amore è meglio non far sorprese (“Volevo fargli un’improvvisata”)…
Scoperto il tradimento di Remigio (“Un lungo canapé verde su cui Remigio, sdraiato…”), Livia non ha esitazioni: ferita (“Nessuna donna mi può parere più bella di te”) nell’orgoglio e nella vanità (“Un pensiero bieco… il pensiero della vendetta”) realizza la propria vendetta (“Mi feci condurre nella mia carrozza al Comando della fortezza”) dissimulandola con la fedeltà (“Generale vengo a compiere un dovere di suddita fedele”) della filoaustriaca (“La delazione è un’infamia”).
La nobildonna narra la vicenda a distanza di tempo (“Trentanove anni! Tremo nello scrivere questa orribile cifra”), ma – nonostante gli anni trascorsi - si dimostra ancora volubile (“L’avvocatino Gino prende moglie”) e viziata, troppo abituata ad appagare il proprio ego (“Livia, sei un angelo”).
Anche per lo stile anticato, questo melodramma ha il potere di trasportarci sull’ottovolante degli ardori e delle bassezze di un amore impulsivo, che per sua natura si candida a essere rappresentato in modo scenografico come vistoso paradosso della passione.
Bruno Elpis