Notturno
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
Un Gabriele d'Annunzio inedito
“La morte non mi appare se non come la forma della mia perfezione.”
È un d’Annunzio sotto vari aspetti inedito quello che prorompe dalle pagine del “Notturno”, senz’altro diverso rispetto al romanziere e al poeta dalle voluttuose raffinatezze conosciuto da quanto letto finora.
Edita nella sua versione definitiva nel 1921, l’opera si caratterizza fin dalle prime battute come prosa personale, intima, sofferta: una sorta di memoriale dove non ci sono più lo spregiudicato esteta Sperelli, il tormentato Aurispa o il miserabile Episcopo, protagonisti di alcuni tra i suoi romanzi più noti, né la raffinata voce lirica dell’ “Alcyone” che canta di sere fiesolane e di “tamerici salmastre ed arse”. Qui c’è solo lui, Gabriele, un uomo di mezz’età, un soldato della Grande Guerra ferito e costretto, per un certo periodo, alla cecità pressoché totale a causa di un incidente aereo che, nel 1916, gli ha causato la perdita dell’occhio destro; un uomo che, di colpo, si ritrova nelle tenebre, in balia di febbre e deliri, di visioni e brandelli di vita lontana. In tutto quel buio, l’occhio perduto è come un cratere che fiammeggia aizzato da un demone, il letto viene avvertito come una bara e la morte, specie nelle prime settimane, è una presenza invadente che gli alita sul collo.
L’opera, composta durante la convalescenza, è stata scritta dall’autore bendato su numerosissime liste di carta (circa diecimila) approntate ad arte per permettergli di scrivere pur in quella condizione; essa si compone di tre lunghi capitoli denominati “offerte” cui si aggiunge un’annotazione finale del ’21. Ad assistere d’Annunzio, sia come convalescente che come “scriba”, secondo la sua stessa suggestiva definizione, la figlia Renata che il padre chiama teneramente “la Sirenetta”. È lei a porgergli i cartigli del cui riordino lui poi si occuperà personalmente in quanto riluttante a darli in seguito all’editore per la stampa, ritenendo trattarsi di memorie troppo personali da far conoscere al suo pubblico. Per quanto riguarda questa unica figlia femmina nata da una relazione extraconiugale, il “Notturno” svela una paternità dolce e amorevole, a tratti pure orgogliosa, che in genere non è tra gli aspetti più conosciuti del Vate e che non si riscontra invece nel caso dei tre figli maschi legittimi. Molto belle le pagine dedicate alla Sirenetta; toccanti quelle che rievocano, quasi fosse un fantasma, la figura della madre del poeta. Un d’Annunzio padre e un d’Annunzio figlio, dunque, tra le sorprese di questa lettura.
Indicazioni utili
Notturno
Allo scoppio del primo conflitto mondiale nel 1915, D'Annunzio si arruolò e partecipò attivamente alle operazioni belliche come aviatore.
Il suo “Notturno” nacque durante un periodo di convalescenza a seguito di un incidente aereo nei pressi di Venezia, che gli compromise l'uso della vista, infliggendogli l'obbligo di forzata mobilità per diverse settimane.
Nasce come un lavoro dal marcato accento autobiografico soprattutto nel preludio, riportando i dettagli amari dell'incidente occorso, la perdita del caro amico co-pilota, il ricordo delle numerose azioni belliche affrontate; eppoi il contenuto vola tra presente e passato, tra sogni ed incubi, assumendo le caratteristiche del flusso di coscienza.
Si rompono gli argini spazio-tempo, più prende forma il demone della cecità più si accavallano le immagini, scorrono i ricordi della memoria, voci e volti, paure ed emozioni.
La voce di D'Annunzio scorre con fiume in piena, scuotendo il suo stesso animo, facendolo vagare tra pensieri tristi e dolorosi, mettendolo al cospetto della morte e del buio.
Egli attraversa così momenti cupi in cui sembra vacillare e perdersi, abbandonando le parole altisonanti del superuomo, rimpicciolendosi come uomo comune di fronte alle asperità della vita.
Un D'Annunzio uomo diverso, minato nella salute e nella serenità spirituale, fiaccato nel fisico e provato moralmente.
Un componimento dal sapore nettamente diverso rispetto ad altre opere, a testimonianza della ecletticità dell'autore, di una penna che ha percorso varie strade espressive.
La prosa è depurata dalla ricerca estetica, è raffinata e lirica, ben adatta ad un fluire ininterrotto di pensieri e ricordi, di immagini che si inanellano senza lasciare spazi.
Un'opera accolta con enfasi dalla critica del tempo, vista come un mettersi a nudo da parte dell'autore spogliandosi dalle maschere utilizzate nei momenti precedenti.
Potrebbe essere, come potrebbe essere l'ennesima sperimentazione letteraria del vate, accogliendo lo spunto offertogli dalla vita stessa, una dura prova, la paura della cecità, una caduta agli inferi senza garanzie di ritorno, elementi che lo costringono ad un'analisi disperata della vita passata.
E così egli forgia la sua penna adattandola ai suoi pensieri straripanti, ad un animo che vaga tra sogno e realtà senza confini, varcando le terre delle visioni che lo portano fino alla giovinezza, alla casa natale e alla cara madre, per poi riemergere e navigare nelle acque agitate del presente, scosso dalle recenti immagini di morte, di vite spezzate, di colori terrei di volti spenti per sempre.
Un D'Annunzio meno conosciuto emerge dalla lettura di “Notturno”, lontano da echi filosofici, da tensioni idealistiche di stampo politico, lontano da contaminazioni letterarie marcate presenti altrove.
* Termina con la recensione di questo titolo il percorso di lettura proposto alla riscoperta di Gabriele D'Annunzio; un autore dai forti contrasti, come emerge dall'insieme di tutta la sua produzione e dalle opere scelte e recensite.