La Divina Commedia. Inferno
Letteratura italiana
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CINQUE MOTIVI PER AMARE L'INFERNO E LA COMMEDIA
Questa è una recensione impossibile, perché è impossibile recensire la Divina Commedia. Ma indicare qualche motivo che ne consigli la lettura, questo forse si può tentare.
E allora, ecco la prima ragione del fascino che scaturisce dal poema. Immaginate che un poeta contemporaneo scriva un’opera nella quale siano introdotti in veste di personaggi tutti i principali protagonisti della storia, compresa quella contemporanea, e che tra questi siano compresi, giusto per fornire un termine di confronto, Mussolini, Hitler, Churchill, Stalin, De Gasperi, Andreotti, Craxi, senza trascurare l’avvicendarsi dei papi, da Pio XII e Giovanni XIII a Giovanni Paolo I e II. In un gioco fantaletterario di trasposizioni ed analogie, quale trattamento il poeta riserverebbe ai papi viventi? Di Benedetto XVI contesterebbe, come al dimissionario Celestino V, il ”gran rifiuto” o ne metterebbe piuttosto in luce le qualità teologiche da spirito sapiente? E di Francesco attaccherebbe le presunte deviazioni dottrinarie che gli attribuiscono frange conservatrici della Chiesa o esalterebbe il ritorno alla purezza evangelica, al pauperismo del suo primo e più grande esponente, ad una autentica carità cristiana? E Romero, con la sua lotta al fianco degli esclusi e col suo martirio, accenderebbe la passione del poeta per gli uomini attivi, impegnati, coerenti o ne susciterebbe la condanna teologica? In quale zona, forse appositamente ritagliata nel grande cono rovesciato dell’Inferno, giacerebbero dannati i sacerdoti macchiatisi di pedofilia? Accontentiamoci -è già tantissimo- di quello che abbiamo e ammiriamo: il coraggio, la spregiudicatezza con cui il suo spirito libero passa in rassegna e giudica (male), con grave rischio personale, i partiti di allora ed i loro leader, i guelfi e i ghibellini, i bianchi e i neri, i signori italiani, le guerre interne ed esterne dei comuni, o l’energia con cui vagheggia un imperatore che riporti pace e unità in un mondo diviso e dominato dal male e dalla corruzione, proponendolo come soluzione globale e transnazionale ad un mondo dominato dai conflitti, dagli egoismi di parte, dalla ricerca ossessiva del denaro e del potere fine a sé stesso. Certo, quella di Dante è la visione di un cristiano per il quale la storia è governata dalla provvidenza divina, che gli uomini possono però recepire o respingere, sposare o combattere, nella piena facoltà di una libera scelta che li può esaltare come esecutori del Bene o avvilire come portatori del Male. Di qui il senso di una terribile responsabilità, tra individuale e collettiva, che parla anche a noi e dovrebbe parlare soprattutto agli uomini di potere. Ecco dunque i reprobi, i regnanti ribelli, con i loro particolarismi, all’aquila imperiale, i papi corrotti, che hanno tradito il messaggio del vangelo, tra i quali spicca il grande avversario storico di Dante: Bonifacio VIII.
Ma papa Caetani era ancora vivo in quel 1300 in cui comincia il viaggio di Dante nell’oltretomba, anzi aveva indetto un giubileo per celebrare i fasti della chiesa sotto il suo pontificato. Il sommo poeta non si ferma dinanzi a tale ostacolo cronologico: la forza della sua invenzione rende possibile una condanna che non sarebbe ancora narrabile. Eccoci allora tra i papi simoniaci, dinanzi a Niccolò III che, sentendo i passi di Dante e della sua guida Virgilio, crede che si tratti proprio di Bonifacio VIII. Leggendo nel futuro, lo sa infatti destinato a subentrargli in quel trono rovesciato, un foro scavato nella roccia, in cui è confitto a testa in giù.
La capacità di invenzione: questo è il secondo motivo per invogliare alla lettura del poema. Si pensi alle pene delle anime infernali, alla bufera infernale che non si arresta mai e travolge incessantemente Paolo e Francesca, alla pioggia perpetua che cade sui golosi, ai suicidi come Pier delle Vigne trasformati in piante, al lago ghiacciato del Cocito, entro il quale si consuma l’orrenda vendetta del conte Ugolino sull’arcivescovo Ruggeri. Ma non sono da meno le visioni delle anime purganti o le fantasmagoriche immagini luminose del Paradiso: croci, scale, corone, fino alla candida rosa formata dalle anime dei beati.
In questo tripudio di luci, come negli orridi paesaggi dell’inferno o nelle tenui atmosfere del Purgatorio, pur al cospetto dell’Eterno, ogni anima conserva la sua impronta individuale, sintetizzata in quegli atti, quei momenti, quei gesti che ne fissarono l’essenza, il carattere e ne decretarono la condanna o la salvezza. Come se tutta la vita di un uomo, i suoi accidenti, i tanti episodi che la segnarono in vita, si riassumesse ora, dinanzi a Dio, in una sua cifra inconfondibile, per cui ciascuno fu sé stesso e fu unico. Un inno anche qui alla nostra responsabilità individuale, alla nostra libertà di imprimere alla nostra esistenza quella forma che si fisserà per sempre dopo la morte.
Era il terzo motivo per leggere la Commedia.
Il quarto è Dante stesso, o, meglio, il suo personaggio.
E’ il grande protagonista del poema, che attraverso di lui si configura come un grande viaggio, un itinerario dalla colpa alla salvezza, dal male al bene, dall’oscurità alla luce. Come Ulisse, come Enea, ma anche come sant’Agostino, che nelle Confessioni aveva tratteggiato il suo percorso di liberazione dal peccato e il suo approdo alla purificazione interiore ed alla salvezza. Uno schema ripreso dalla grande tradizione greca e latina e destinato a perpetuarsi nella letteratura di tutti i tempi, da quella contemporanea a Dante fino a tempi recenti (il Canzoniere di Petrarca, il Decameron di Boccaccio, il Pinocchio di Collodi, l’Ulisse di Joyce, pur nel variare dei punti di partenza e di approdo dei diversi itinerari).
E siamo alla lingua, quinto e fondamentale fattore di attrazione del capolavoro. La più grande invenzione di Dante. Sulla base del latino, del fiorentino, degli altri dialetti del paese dove il sì suona, di quel poco di letteratura che si era già svolta (i poeti siciliani, i toscani, gli stilnovisti), in virtù di una cultura e di una mente formidabili, capaci di trasferire, ricalcare, creare parole e strutture sintattiche , nasce la lingua italiana. Ed è commovente scoprire come una lingua creata tanti secoli addietro conservi tuttora una freschezza ed una modernità tali da consentirne la comprensione anche all’odierno parlante italiano, con un corredo più o meno ampio di note esplicative.
Se si pensa che intorno a questa realizzazione prodigiosa si andrà, se non costituendo, certamente rafforzando, anche nei periodi più bui, l’idea stessa di Italia e di unità nazionale, apparirà non retorica, ma vera e pregnante l’opinione che vede nell’autore della Commedia un “padre della patria”. In questi tempi di scollamento e disgregazione, cadranno tra non molto i settecento anni dalla sua morte: un’occasione da non mancare per ribadire il senso profondo del nostro stare insieme e della nostra identità, che fu linguistica e culturale prima di essere, di conseguenza, politica e statuale.
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Una divina lettura
Per leggere la Divina, bisogna abbandonare ogni idea che si ha di letteratura e gettarsi capo e piedi in questo viaggio che dalle viscere della terra arriva alla beata volta celeste. Oltremodo inutile cercare aggettivi per rendere omaggio all'opera che ha segnato la nostra storia, la storia delle letteratura. Ovunqeue la studiano e ancora oggi sono misteriose alcune parole, frasi , commenti o personaggi ,perchè non è solo una lettura quella che bisogna intraprendere ma è qualcosa di molto più profondo, è un vero studio quello che il lettore deve affrontare. In questo viaggio che ha come "DUCA" il grande poeta latino Virgilio non ci saranno solo descrizioni di scene violente e macabre (come per esempio la storia drammatica del conte Ugolino :La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator....) ma ci saranno invettive politiche, religiose ,avvenimenti storici e non solo a fare compagnia al lettore il quale non può far altro che leggere e rimanere meravigliato. Meravigliato non solo della fluidità e armonia delle terzine ma anche dalle storie che avranno pur sempre bisogno di un'attenta analisi per comprendere bene e amare l'opera. La lettura la consiglierei a chiunque abbia un vero amore per lo studio e analisi di certi meravigliosi capolavori perchè se si dovesse affacciare allo studio di questo portento un poco attento lettore, l'opera verrebbe sminuita perchè non capita.
Non solo mi voglio soffermare alle lodi ma anche a illustrare che prima di leggere il testo c'è bisogno di una piccola ricerca su dove e in che periodo Dante visse e operò. Dante visse nel 1265 e incominciò dopo una lunga maturazione linguistica nel 1300 a scrivere la Comedia. Il viaggio che metaforicamente è un'ascesa al bene vede anche (prima di arrivare al cielo) personaggi illutri (anche pontefici) essere criticati aspramente e puniti in base al peccato da loro commesso . Perchè fare tutto ciò? perchè il suo intento è mostrare ciò che c'è di marcio nel mondo politico e religioso.
Dopo questo vorrei esprimere il mio modesto parere esponendovi tutti i canti da me amati dell'inferno : III-V-XI-XXXIII.
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Uomo da cento con lode
La prima cantica dell'opera più grandiosa dell'uomo, nessuna verso, nessuna parola, nessuna virgola è banale. Dante è Dio in quest'opera, lui ha deciso chi punire e chi no, unendo versi sacri con versi profani. Un capolavoro unico, e come se non bastasse proprio all'Inferno ci sono delle cime Dantesche, tra cui il canto dell'Ulisse e quello del Conte Ugolino. E' difficile se non impossibile trovare dei versi come questi, le parole diventano note, e entrano nel cuore. Le immagini offerte da Dante sono incredibili, sempre accompagnate da metafore semplici ma come ho già detto mai banali. La morte di quest'opera è la parafrasi assegnata come compiti dalla scuola, e non bisogna stupirci se a tante persone non piace, proprio perché Dante non si studia... SI VIVE!
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le pagine più alte della nostra letteratura
Premetto che nel fare una recensione dell’inferno di Dante mi sento come un bambino delle elementari che deve giudicare l’operato di un ingegnere nucleare, ma visto che si tratta di un’opera alla quale in passato ho dedicato moltissimo tempo, cercherò di dire la mia in proposito.
L’opera inizia con l’incontro tra il poeta e Virgilio. E’ stata nientemeno che la Madonna che, avendo visto che Dante ha smarrito “la diritta via” manda S. Lucia da Beatrice affinché soccorra il poeta. Questa ritiene che l’unica soluzione sia mostrargli i regni dell’oltretomba e quindi (non potendo scendere all’inferno) sollecita Virgilio che si trova nel limbo affinché guidi Dante (“i’ son Beatriche che ti faccio andare/ vegno dal loco ove tornar desìo/ amor mi mosse che mi fa parlare”).
Virgilio e Dante giungono alla porta dell’inferno. Ma come è strutturato? Ha la forma di un imbuto con la parte grande rivolta in alto e collocata proprio sotto alla città di Gerusalemme. Il crinale è diviso in nove gradoni concentrici per altrettanti “Cerchi”. Alcuni cerchi sono divisi a loro volta in “Gironi”.
Varcata la soglia della porta si trova l’antiinferno dove si trovano gli Ignavi “questo misero modo/ tegnon l’anime triste di coloro/ che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo. Mischiate sono a quel cattivo coro/ de li angeli che non furon ribelli/ né fur fedeli a Dio/ ma per se fuoro”. Tra i peccatori spicca papa Celestino V “colui che fece per viltade il gran rifiuto”, un eremita che, eletto papa, rifiutò il papato tornando alla sua vita di isolamento. Di tutto ciò a Dante non poteva fregare di meno, ma il rifiuto di Celestino spianò la strada all’elezione di Bonifacio VIII, suo acerrimo nemico.
Traghettati da Caronte “un vecchio bianco per ANTICO pelo” ed attraversato il fiume Acheronte si giunge nel primo cerchio che ospita il Limbo (i non battezzati); dal secondo al quinto cerchio si trovano i peccati di incontinenza (lussuria, gola, avari-prodighi, iracondi-accidiosi) ordinati in ordine di gravità del peccato. Quindi il peccato meno grave in assoluto è la lussuria! Paolo (che non apre bocca) e Francesca (che parla sempre) si trovano sballottati nella “bufera infernal che mai non resta”, una pena tutto sommato lieve. Sono stati uccisi e sono all’inferno, ma sono loro i vincitori! Loro, gli amanti, staranno insieme tutta la vita (“questi, che mai da me non fia diviso/ la bocca mi basciò tutto tremante”), mentre al loro assassino andrà sicuramente peggio (“Caina attende chi a vita ci spense”) in quanto verrà scaraventato nel più profondo dell’inferno.
Il canto dei golosi (terzo cerchio) è il sesto canto dell’inferno e tutti i sesti canti delle tre cantiche sono canti politici: si parla di Firenze nel sesto dell’inferno, dell’Italia nel sesto del purgatorio (“Ahi serva Italia di dolore ostello/ nave sanza nocchiero in gran tempesta/ non donna di provincia ma bordello”) e dell’impero nel sesto del paradiso. Impressionante la capacità di sintesi di Dante che spesso con pochissime parole esprime concetti molto estesi e complessi: Ciacco (il goloso di turno) si rivolge a lui dicendo “riconoscimi se sai: / tu fosti prima ch’io disfatto fatto”. E’ incredibile questo verso: tu eri nato prima che io fossi disfatto, cioè mi hai conosciuto in carne ed ossa, quindi dovresti riconoscermi! Questa sintesi perfetta la ritroveremo nei suicidi (cerchio dei violenti) dove Pier delle Vigne che si uccide dopo essere stato accusato ingiustamente dice “ingiusto feci me contra me giusto”. Stupendo.
Il quarto cerchio (avari-prodighi) inizia con la celeberrima frase “pape Satàn, pape Satan aleppe!” sulla quale sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Quel pape Satan potrebbe richiamare alla mente il papato, ma se scriviamo la frase in francese possiamo avere un “pas paix Satan, à l’épées” che significherebbe “non c’è pace Satana, prendiamo le spade!”. Boh!
Dopo l’Acheronte un’altra gita in barca: questa volta condotta dal diavolo Flegiàs che attraversando la palude della Stige (tra gli iracondi troviamo Cecco Angiolieri che insieme a Ciacco ritroveremo nel Decamerone del Boccaccio) porta i nostri alla città di Dite dove all’interno de fosse infuocate si trovano gli eretici. Qui il ghibellino Farinata degli Uberti predice a Dante il prossimo esilio. Da considerare il fatto che Dante ha avuto la fortuna di scrivere la divina commedia all’inizio del 1300, quando la chiesa era abbastanza tollerante; l’avesse fatto due secoli dopo lo avrebbero messo al rogo senza pensarci due volte.
Tornando alla traversata in barca è stupendo il passaggio “lo duca mio discese nella barca/ e poi mi fece entrare appresso lui; e sol quand’io fui dentro parve carca”. La barca non ha sentito il peso di Virgilio perché uno spirito non ha peso, mentre quando è salito Dante, ancora in vita, ha “pescato” più acqua in quanto appesantita!
Il settimo cerchio ospita i violenti ed è diviso in tre gironi: violenti contro il prossimo (immersi nel Flegetonte, un fiume di sangue infuocato), violenti contro se stessi (suicidi, trasformati in piante), violenti contro Dio (sotto una pioggia di fuoco). Questi ultimi sono a loro volta divisi in tre zone: violenti contro Dio nella parola (bestemmiatori), nella natura (sodomiti), nell’arte (usurai: non fanno nessun mestiere!). Tra i sodomiti è commuovente l’incontro con il maestro Brunetto Latini nei confronti del quale Dante esprime tutta la propria stima e lo ringrazia di averlo istruito. In quel “m’insegnavate come l’uom s’etterna” Dante è conscio della eternità della sua opera peccando in superbia: in seguito si ha il sentore che per se Dante preveda un posto tra i superbi nella prima cornice del Purgatorio.
Dopo aver cavalcato il mostro Gerione dalla faccia bellissima e dal corpo di Serpente i due giungono negli ultimi due cerchi che ospitano coloro che hanno commesso il peccato di frode: contro chi non si fida (fraudolenti, ottavo cerchio) e contro chi si fida (traditori, nono cerchio).
L’ottavo cerchio prende il nome di Malebolge ed ha la forma di un bersaglio con dieci zone concentriche separate da mura e collegate da ponti. Ospitano ruffiani, lusingatori (immersi nello sterco!), simoniaci (per lo più papi che predicono anche l’arrivo dell’arcinemico Bonifacio VIII ancora vivo al momento della scrittura della Divina commedia), barattieri (i nostri politici!), ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti (Ulisse!!), seminatori di discordie (Maometto) e falsari (alchimisti, falsari della moneta e bugiardi).
Finalmente siamo arrivati alla Ghiaccia del Cocito, una pianura ghiacciata nella quale sono immersi i traditori e che ha al centro Lucifero in persona. Il Cocito comprende la Caina (traditori dei parenti, tra cui Gianciotto Malatesta marito ed uccisore di Francesca e del fratello Paolo), l’Antenòra (traditori politici: Bocca degli Abati e il Conte Ugolino meriterebbero una recensione da soli!) la Tolomea (traditori dei commensali) e la Giudecca (traditori dei benefattori). Al centro Lucifero che ha tre teste con tre bocche e si sgranocchia Giuda, Bruto e Cassio.
Aggrappandosi ai peli di Lucifero che ha dimensioni colossali, Dante e Virgilio si calano verso l’uscita che si intravede in lontananza “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Credo che Dante nella sua epoca avesse conoscenze letterarie, teologiche, geografiche, storiche, astronomiche inavvicinabili, e restano inavvicinabili anche per gli uomini del 2012. E’ incredibile la quantità di nozioni di ogni argomento che apprendiamo nel viaggio attraverso il mondo di Dante: una vera sinfonia con mille strumenti tra loro collegati in una trama avvincente, episodi di microstoria a lui contemporanea, le grandi battaglie di Montaperti, Colle val d’elsa, Campaldino, i tantissimi ritratti di persone: personaggi importanti e gente normalissima immersa nella vita di tutti i giorni del XIV secolo, nozioni di medicina, descrizioni geografiche minuziose.
Un’opera unica distrutta dalla scuola, ma da conoscere a fondo pur presupponendo delle basi letterarie discrete da parte del lettore. Bravo Signor Alighieri, dieci e lode!!!
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Inferno
Indiscusso capolavoro della letteratura di ogni tempo: Dante è un mito, un eroe, un personaggio dalla grandezza assoluta. Con il suo Inferno regala al mondo un'opera il cui livello resta inarrivabile e irraggiungibile per chiunque altro si cimenti nella scrittura, e regala a se stesso l'immortalità.
Tra le tre Cantiche l'Inferno è sicuramente la più appassionante anche per i "profani", presenta tematiche accattivanti, ma al contempo inquietanti e spaventose. Dante sprofonda nell'abisso infernale e per mezzo delle sue terzine ci rammenta la storia, critica la società del suo tempo, ci offre momenti di profonda riflessione ma anche qualche sorriso... Sinceramente l'aspetto che mi ha sempre affascinato, al di là dei contenuti, è la capacità di Dante di passare da uno stile elevatissimo ad uno relativamente basso con una maestria unica. Questa commistione di stili, le tematiche trattate e la risonanza universale (di questa cantica in particolare) ne fanno un'opera eterna che resta nel cuore di chiunque vi si accosti. Come è esperienza per il poeta-protagonista, è esperienza per noi, che ne usciamo cambiati e consapevoli. Incredibili sono le emozioni e varie: lungo tutta la lettura si alternano stati d'animo anche contrastanti tra loro. Per tutta quest'immensità, allora dico: "Grazie, Dante!"
p.s. Scriverne una recensione è impresa dura, ma se per recensione intendiamo, non una critica su temi, personaggi e affini (anche perché comporterebbe un'elevatezza culturale non indifferente e una mole di tempo e pagine considerevoli!), ma un semplice ringraziamento a quello che ci ha dato il Sommo Poeta, allora esprimiamoci, e magari con le nostre considerazioni, potremo far sembrare meno ostica e più piacevole la tanto temuta “interrogazione su Dante” a qualche studente.... ;)
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Un'opera "Divina"...
Quest'opera mi ha affascinato fin dagli albori della mia coscienza adolescienziale...
Turbata fin nelle più profonde viscere, poichè le pene ai dannati erano veramente severe, sorbivo da ragazzina, come una pianta assetata, il cammino spirituale di Dante, che accompagnato dalla sua guida, Virgilio esplorava tutti i gironi dell'inferno in cui erano state gettate le anime, per via della loro vita dissoluta, o di errori fatali commessi durante la loro esistenza...
L'immagine di Caronte, che traghetta le anime all'ultima dimora, lo spavento, il dolore e il loro attaccamento terreno, sono tutte forme allegoriche in cui Dante esterna la sua maestria di poeta, che viene proposta agli studenti delle medie come esempio supremo di cultura, che resta comunque un'opera magnifica e pur nella sua oscurità che sa di castigo divino, rimane il capolavoro indiscusso di Dante Alighieri...
" Nel mezzo del Cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura che la diritta via era smarrita..." è da qui che ha inizio la suprema Commedia; per aver smarrito la via diritta il poeta viene accompagnato da Virgilio in un viaggio all'inferno, dove dopo aver preso coscienza di quale misera fine fanno coloro che smarriscono la via diritta, potrà acquisire una nuova coscienza delle ragioni che lo mantengono ancora in vita...
Una consapevolezza di essere anche lui un'anima in cammino verso l'eternità...
Un'ultima cosa: le parole scritte all'entrata dell'inferno: " Per me si va nell'eterno dolore, per me si va tra la perduta gente...lasciate ogni speranza o voi che entrate...".
Pensando che ogni tanto uso l'ultima frase di questa massima di Dante Alighieri, scritta sulla porta dell'inferno dantesco, si può dire, senza alcun timore che si tratta di un capolavoro e di un'opera immortale...visto che è entrato profondamente nell'immaginario popolare...
Consigliato.
Da leggere o da rileggere per chi l'avesse già visionato.
Saluti.
Ginseng666
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Impossibile.
E' impossibile.
Io non posso scrivere una recensione sulla Comedia di Dante.
Chi diavolo sono io?
Chi E' Dante?
Questa, si badi bene, non è una presa di posizione, ma un dato di fatto.
E' il vecchio discorso: non si può dire che "si legge Dante quest'oggi"!
Dante è un viaggio interiore, un cammino iniziatico, un approccio disposto su molti livelli.
Sì...ho segnato il massimo del punteggio su tutto...e come potrei non farlo?
Mi viene da ridere.
Come si fa a votare, valutare, Kafka, Alighieri, Shakespeare???
Purtroppo questa è quella che io chiamo "benignite", ovvero l'illusione che anche un mediocre possa giudicare (bestemmia!) un Genio inequiparabile.
Mi ricordo una meravigliosa frase letta da qualche parte di Giovanni getto, uno dei più grandi dantisti di tutti i tempi: "Dante è la Letteratura che annulla tutti i paragoni, è qualcosa di superbo e superiore che a me è dato d'insegnare...non senza un certo ritegno, o farei meglio a dire tiepida vergogna".
Abbiate pazienza, ma votare Dante o Kafka come si fa con Auster o Moccia, no, non fa per me.
Ci vuole un fegato che io non posseggo.
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Opera d'arte!
Un'insieme di allegoria, spiritualità, orrore e paura.
Non comprendo chi non ama questo capolavoro della letteratura italiana, ma come disse lo stesso Dante: "Non ragioniam di lor, ma guarda e passa"!
Da leggere, a prescindere se piace o meno! Da leggere, in quanto italiani e in quanto esseri umani dotati di cervello e razionalità (o almeno si presume...si spera.... ci si augura)!
Favoloso!