L'infedele L'infedele

L'infedele

Letteratura italiana

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Un galateo fin de siècle delle passioni, descritto dalla penna inesauribile di Matilde Serao attraverso quattro racconti di amori nati e bruciati rapidamente: c’è la passione che si consuma tra fedeltà e infedeltà in un singolare triangolo amoroso, quella che si infrange contro i dubbi di una confessione tra amanti, quella che si tormenta nell’attesa di un incontro incerto, fino alla passione che, ormai trasformata in ricordo, può essere catalogata insieme agli oggetti insignificanti di un personale museo. Sullo sfondo, un microcosmo aristocratico e alto-borghese, chiuso nei suoi riti codificati come nell’eleganza dei suoi salotti. E un fantasma inquietante: “che la vita nella sua più alta espressione, che è l’amore”, sia solo “un vano e miserabile sogno”.



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L'infedele 2016-06-02 06:48:59 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    02 Giugno, 2016
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Frammenti d’amore perduto

“L’Infedele” è una raccolta di quattro racconti brevi cui fa da filo conduttore il tema dell’amore. Proprio mentre ti chiedi se ormai su questo argomento sia ancora possibile leggere qualcosa di nuovo, essendo stato analizzato e proposto in mille varietà di forme ed emozioni, ecco che ti capita tra le mani un libretto come questo, che affronta il tema in modo a mio avviso inatteso.

L’amore che Matilde Serao mette in scena è un amore triste e incompreso, fatto di passioni non corrisposte, attese senza epilogo, impossibili felicità. Nel primo racconto vediamo come si possa rimanere attaccati all’immagine della donna amata e alla verità del proprio sentimento anche quando la realtà che si dispiega davanti agli occhi ci riveli solo una donna perfida e frivola e una passione alquanto fugace. Ma non è facile cedere alla propria illusione e anche il provare a voltare pagina rischia di essere vissuto come un tradimento alla promessa di integrità verso se stessi e il proprio amore, senza consentire più alcuna salvezza. Ed è proprio la speranza a mancare di fatto in tutti i racconti: l’amore si alimenta di dubbi e attese ma di fronte alla realtà perde intensità e svanisce in un incanto, i mille cimeli delle proprie esperienze sembrano raccontare un vissuto di emozioni che si scoprono poi essere tutte non corrisposte, la dimensione in cui l’amore vive e si consuma finisce per implodere entro i confini del proprio essere.

Pur avendo trovato interessante il taglio di questi racconti, composti da piccoli frammenti di tradimenti, dubbi e ricordi, narrati con distacco e una punta di ironia, non ho trovato la stessa profondità e ricchezza che ha invece “Il paese di cuccagna”, unico altro scritto di quest’autrice da me affrontato, in cui la disperazione, la miseria e il bisogno di riscatto dei personaggi emergono con forza dalle pagine. Forse a causa di un’operazione di revisione e limatura mancante (come suggeriscono diversi refusi), che ha reso la scrittura a tratti ripetitiva e poco efficace. Forse per l’assenza di quella dimensione sociale in cui Matilde Serao meglio esprime le proprie capacità di indagine e analisi psicologica.

La lettura mi ha lasciato quindi un vago senso di incompletezza e freddezza che mi spingono in effetti a pensare che questo non sia il miglior componimento dell’autrice.

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L'infedele 2014-03-24 10:08:29 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    24 Marzo, 2014
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Ma anche no...

Sono quattro racconti d'amore dalle ali deboli, che non riescono a spiccare il volo e si dimenticano facilmente.
Non è tanto il linguaggio antiquato, a cui dopo un po' ci si abitua, ma la mancanza di una struttura narrativa che abbia sostanza al di là dei soliti momenti di struggimento ed esaltazione.
Nel primo racconto, il più lungo, i personaggi ben delineati fanno ben sperare, l'analisi psicologica è notevole e la lucida descrizione della nascita di una passione funziona, sia pure con qualche ridondanza.
Ma la narrazione perde efficacia nella seconda parte, lasciando l'impressione desolante di trovarsi di fronte ad un palcoscenico con bravi attori diretti da un mediocre regista.
I concetti si ripetono fino al delirio (per usare un termine caro alla scrittrice) e dopo due o tre pagine di tormenti sviscerati in tutte le salse ci si augura che il protagonista, “esausto dallo sforzo di vivere” per una motivazione al limite del ridicolo, si decida a farla finita.
In effetti non farà neanche quello, lasciando la storia in condizione sospensiva come il suo tribolato stato d'animo.
Due volte un personaggio femminile è indicato con un nome errato (per non parlare della presenza di altri refusi) a riprova del fatto che è mancato un adeguato lavoro di revisione dell'opera.
Va meglio nel secondo racconto, dialogo ben costruito tra un uomo e una donna che si attraggono e si respingono, si cercano e si allontanano in un gioco d'amore che tanto amore non è.
Nulla da segnalare sugli altri due, nulla cioè che non si possa leggere altrove e scritto meglio.
Le riflessioni sul mondo dei sentimenti dicono in generale tutto e il contrario di tutto nella veste austera di massime di saggezza:
“...egli ha ritrovato, non so in quale pozzo, la Verità; ed Essa gli ha detto una cosa antichissima: solo l'amore vale la pena di vivere”.
Ma anche no:
“La vita nella sua più alta espressione, che è l'amore, non è che un vano miserabile sogno”.
Al lettore l'ardua sentenza...

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