L'eredità Ferramonti
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
L'Eredità Ferramonti
L'Eredità Ferramonti è un classico dimenticato uscito per la prima volta nel 1883 (anno dello scandalo della Banca Romana), ristampato nel 1972 e dal quale fu tratto il film omonimo di Mauro Bolognini nel 1976.
L'autore, Gaetano Carlo Chelli, fu redattore e collaboratore di varie riviste dell'epoca oltre che impiegato della Regia Tabacchi; conobbe quindi molto bene il mondo che si accingeva a descrivere in modo eccezionale.
Lo scrittore usando la tecnica del "discorso libero indiretto" trasferisce nella realtà narrata il suo punto di vista con una funzionalità di tipo giornalistico, impersonale, secondo i dettami del verismo, esploso con Verga in quegli anni. Chelli padroneggia le emozioni, i drammi psicologici dei protagonisti facendoli però agire e pensare senza alcun intervento da parte sua.
La storia si svolge nelle strade della Roma umbertina che coincidono con il centro storico (prima della "cura" sabauda) dove abitavano prevalentemente i piccoli - medio borghesi; ed eccoci alla seconda protagonista di questo libro: la Borghesia. Attraverso il racconto delle vicende della famiglia Ferramonti (padron Gregorio, i figli Pippo Mario e Teta, il genero Paolo e la nuora Irene) l'autore descrive il contesto sociale in cui nacque la borghesia italiana impiegatizia e del commercio, in contrapposizione alla nobiltà (tema ricorrente anche nel Gattopardo), la sua commistione con i salotti, la politica e gli appalti, le sue nuove ricchezze poco chiare.
Le due figure di nuovi borghesi prese ad esempio dal Chelli sono il genero Paolo Furlin (non a caso del nord) e la nuora Irene che poi è la prima, vera protagonista di questo romanzo. Ci viene lasciata una figura di donna quasi unica rispetto al panorama di modelli femminili nella letteratura borghese del XIX secolo: affascinante senza eccessi nel fisico (..era un tipo di bruna, ma di bruna calma, senza bagliori provocanti...che suscitano pensieri di voluttà miti, desideri vaghi...), aliena da sensi di colpa, dal dolore, sempre in gara con sé stessa, con senso estremo di dominio e di conquista, capace di vendetta differita ma soprattutto vorace verso la "roba". E' la figura di un'ambiziosa, di un'arrampicatrice sociale ma quasi sommessa, con una volontà di ferro ed un fondo smisurato di egoismo che in fine la farà cadere in piedi (...non rammentava un giorno della propria esistenza, che segnasse una tregua alla rivolta segreta contro il proprio destino...sentiva..,una febbre di tutta sé stessa che l'avvertiva d'esser nata per la ricchezza e pel dominio).
La vera grandezza di quest'opera è la sua attualità; la figura femminile è forse una della prime moderne, abile nel lavoro e negli affari, la seduttrice che cerca libertà e parità in una società maschile, senza desiderio di maternità ma soprattutto autonomamente pensante; i risvolti politici (...che il popolo stanco di pagar lui per tutti. Ma l'ora del rendimento dei conti doveva suonare presto o tardi, inevitabilmente...) ed economici con le prime speculazioni azionarie, l'aggiotaggio ed i guadagni facili (...la febbre dei sùbiti guadagni, la passione della caccia rabbiosa al danaro, che si fa senza rischio e senza fatica...).
Vorrei spendere infine una parola per un personaggio abbastanza secondario, Flaviana Barbati, amica e vittima di Irene, che con il suo stile di vita, anticipandolo, mi ha ricordato quello della signora de Marelle in "Bel Ami" che infatti uscì due anni dopo.
Dunque, concludendo, questo è forse uno dei primi classici moderni in cui si possono riconoscere i prodromi dei mutamenti sociali e politici che si attueranno nel secolo seguente e che possiamo ritrovare anche in questo, tranne forse la scomparsa del ceto "cuscinetto" denominato Borghesia.