Narrativa italiana Classici Il fu Mattia Pascal
 

Il fu Mattia Pascal Il fu Mattia Pascal

Il fu Mattia Pascal

Letteratura italiana

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Il romanzo narra la storia di un timido provinciale, Mattia Pascal, che si allontana di casa dopo una delle solite liti con la moglie Romilda e la suocera, e, arrivato a Montecarlo, vince, giocando a caso, diverse decine di migliaia di lire. Il possesso di una grossa somma e la lettura di una notizia di cronaca che annuncia la sua morte (si tratta di un'erronea identificazione del cadavere di un disperato che si è ucciso gettandosi nel pozzo di casa Pascal), lo inducono a simulare davvero la morte e a tentare di cominciare una nuova vita. Mattia Pascal diventa così il signor Adriano Meis, e va a stabilirsi a Roma.



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Il fu Mattia Pascal 2022-01-04 20:44:09 Calderoni
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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    04 Gennaio, 2022
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"Vivo per la morte e morto per la vita"

Romanzo fondativo del Novecento italiano. Lettura imprescindibile. Gli schemi narrativi tradizionali vengono definitivamente abbandonati (in primo luogo gli schemi veristi, sotto i quali l’autore si era formato) e nasce il nuovo romanzo d’introspezione. La tesi di Luigi Pirandello è che il paradosso dei casi umani è nella vita e non è frutto della sua invenzione. Il narrare del Mattia Pascal è strutturato a partire dal personaggio, dalla sua parola, sul suo linguaggio, sulla sua visione del mondo. Del resto, Mattia è «maschera nuda» nel momento stesso in cui decide di prendere a narrare la propria bizzarra vicenda. Mattia trova la propria realizzazione soltanto diventando personaggio di una messa in scena di vita e di morte. È incredibile che un personaggio dichiari finita la propria esistenza quotidiana, per vivere solo nell’esistenza approssimativa di protagonista del racconto. Siamo di fronte a un eroe di romanzo che ha smarrito il proprio tempo e quindi deve raccontare le proprie morti per ritrovare il tempo perduto, per narrare esperienze decantate dalla distanza, dall’alterità e dallo spazio.
Si tratta dell’emblematica storia del diffuso disagio esistenziale che accompagna l’essere umano europeo all’ingresso del Novecento. Accettare il suicidio, dopo che sono stati gli altri a decretare la tua morte mentre eri soltanto andato altrove per qualche giorno, sembra la liberazione per Mattia, appare «la libertà una vita nuova!»; bastano, però, poche righe (e poche ore) e Mattia si sente «paurosamente sciolto dalla vita», superstite di se stesso, sperduto, in attesa di vivere oltre la morte. Ci si può forgiare una seconda volta da zero senza più il fardello o la sicurezza di un passato? La risposta tribolata di Mattia (poi Adriano Meis) è negativa e si tramuta in un secondo suicidio, questa volta architettato da sé e non indotto dalle constatazioni altrui. Non si può rimanere per sempre «forestieri della vita», perché se si osserva l’esistenza da spettatori estranei può apparire senza costrutto e senza scopo. Si rischia il paradosso: «Io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita».
Come evidenzia Nino Borsellini, Pascal, Meis, Malagna, Pomino, Paleari, Papiano costruiscono l’onomastica pirandelliana, argutamente allusiva, che nel romanzo crea un reticolo di assonanze, di rimandi, di significati parzialmente riposti. E sono nomi e cognomi dalla forte potenza semantica; sono tracce di destini, quando non marchi caricaturali. Quando si legge Il fu Mattia Pascal non può mancare una riflessione relativa proprio a quest’aspetto.
Le due celeberrime premesse del romanzo, inoltre, introducono il lettore nelle «storie di vermucci», ormai da considerarsi come nostre. Come dice Pirandello, «dimentichiamo spesso e volentieri di essere infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose che [...] dovrebbero parerci miserie incalcolabili». L’introspezione di Mattia è notevole, già dalle scene del casinò. «La vanità umana non ricusa talvolta di farsi piedistallo anche di certa stima che offende e l’incenso acre e pestifero di certi indegni e meschini turiboli» è una frase che trovo particolarmente calzante e veritiera, come molte altre che si susseguono nel romanzo, tipo questa: «C’inganniamo così facilmente! Massime quando ci piaccia di credere in qualche cosa...».
Non si può restare indifferenti nemmeno di fronte alle elucubrazioni sulla scuola teosofica del signor Anselmo Paleari, padre di Adriana e suocero di Terenzio Papiano, nonché padrone della casa in via Ripetta a Roma dove troverà rifugio Adriano Meis. Colpisce, ed è molto figlia dei primi anni del Novecento, la considerazione di Anselmo su Roma: «I papi ne avevano fatto un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro, un portacenere». Un’affermazione che però non si può assolutamente definire anacronistica, pensando alle polemiche che riguardano la Roma d’oggi.

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Il fu Mattia Pascal 2020-12-15 15:48:59 SaRA8993
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SaRA8993 Opinione inserita da SaRA8993    15 Dicembre, 2020
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DOPPIA IDENTITA'

Grande classico italiano della corrente verista del ‘900.
Pirandello con la sua magistrale bravura, ci trasporta in una storia che al tempo la critica aveva giudicato come inverosimile a dimostrazione che a volte la realtà a volte supera la fantasia. Questo fatto viene spiegato dallo stesso Pirandello alla fine, rivendicando il suo diritto di abbandonarsi nella fantasia della scrittura senza tralasciare però alcuni particolari presi d'ispirazione nella vita reale.
Mattia Pascal è il personaggio perfetto di questo romanzo introspettivo che tratta argomenti come la morte, la religione, lo spiritismo, la solitudine, il dolore, la follia, l’ingegno e l’astuzia, la disperazione; un uomo, Mattia Pascal appunto, che scopre della sua morte da un giornale sul treno, in viaggio di ritorno a casa e profondamente amareggiato e arrabbiato perché né sua moglie, ne nessun altro, si è accorto che il cadavere suicida non era lui, decide di assecondare la notizia e di cambiare identità, uccidendo Mattia Pascal e diventando Adriano Meis.
Costruendosi una nuova identità era necessario non solo cambiare il suo aspetto ma anche ricostruire quella vita passata farlocca cercando di rispondere a quelle ipotetiche domande che gli avrebbero potuto fare, senza tralasciare nessun particolare. Ma ben presto quella vita fittizia che si era costruito si dimostrò soffocante e non riuscendo più a sopportare quella condizione di anonimato che lo incatenava, decide di inscenare il suo suicidio. E’ la sua seconda morte. Questa volta però di Adriano Meis.
Tornato nel suo paese da Roma dove si era stabilito presso una famiglia affittacamere, si riappropria dell’identità di Mattia Pascal, vivo di nuovo dopo due anni, rancoroso e pieno di rabbia verso la moglie, la suocera e gli amici tutti che lo credettero morto ma pronto a rincominciare, non prima aver fatto visita alla sua tomba che recava il suo nome affibbiato a qualche altro sciagurato a cui è stata rubata l’identità. Dopo lo smarrimento di non sapere più chi fosse egli stesso, ora si riconobbe.
Magistrale, potente e divertente, irriverente con tantissimi punti di riflessione.
Adorabile la metafora del lanternino della speranza spiegata nel tredicesimo capitolo, che se acceso costantemente dentro di noi, illumina tutto il buio intorno.
Diciotto capitoli di pura maestria. Consigliato.

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Il fu Mattia Pascal 2020-11-29 10:19:29 Anna_
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Anna_ Opinione inserita da Anna_    29 Novembre, 2020
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Vana ricerca, vana illusione.

Vana ricerca, vana illusione.

Mattia Pascal, protagonista e narratore del romanzo, ad un certo punto della sua vita, ha la possibilità di lasciarsi tutto alla spalle: la sua giovinezza dissipata, un matrimonio infelice (una famiglia-prigione rispetto alla famiglia-nido di origine), una suocera arcigna e insopportabile, l'oppressione dei creditori dovuta all'avido Malagna, a cui la madre aveva ingenuamente affidato l'amministrazione dei beni di famiglia: "Come una cieca, s'era abbandonata alla guida del marito, rimastene senza, si sentì sperduta nel mondo".

Proprio quando, ormai, non ha più alcuna speranza di realizzare una vita più felice e autentica, il caso, infatti, comincia a sorridergli.
Viene prima una vincita al gioco a Montecarlo, poi, la notizia del ritrovamento di un cadavere, lì nella gora della Stia, a Miragno, nei giorni in cui, stanco di quella vita e addolorato per la perdita degli affetti a lui più cari, era fuggito lontano da casa; chiunque egli sia, in quel morto, la moglie Romilda e la madre di lei, la vedova Pescatore, forse non senza malafede, riconoscono lui.
E allora perché non profittarsi del favore del caso? Quel morto è la sua seconda occasione (chi non ne vorrebbe una?) per fare le scelte giuste, essere finalmente se stesso, condursi verso una vita più vera.
"Io dovevo acquistare un nuovo sentimento della vita, senza avvalermi neppure minimamente della sciagurata esperienze del fu Mattia Pascal... Procurerò di farmela più tosto con le cose che si sogliono chiamare inanimate, e andrò in cerca di belle vedute, di ameni luoghi tranquilli. Mi darò a poco a poco una nuova educazione... sicché, alla fine, io possa dire non solo di aver vissuto due vite, ma d'essere stato due uomini".

Nasce così, nel nome e gradualmente nell'aspetto, un uomo nuovo, Adriano Meis.
"Recisa di netto ogni memoria in me della vita precedente,... l'anima mi tumultuava nella gioia di quella nuova libertà".
Ma Adriano Meis ha un passato frutto della fantasia e, poco a poco, quella libertà gli rivela ogni suo disinganno.
"Chi sono io? Che rappresento in questa casa?"
Adriano Meis vorrebbe un cane e una casa tutta sua ma non può averli, si innamora ma non può sposarsi, gli rubano del denaro ma non può difendersi: Adriano Meis cade anch'egli nella rete di nuove limitazioni, assurdità, e di relazioni che non può vivere fino in fondo perché la sua identità anagrafica non è riconosciuta dalla società. Rassegnato, il protagonista decide allora di far morire Adriano Meis, inscenandone il suicidio, onde consentire all'altro, Mattia Pascal, di ritornare alla vita.

"Dovevo rinnestarmi alle mie radici sepolte... Folle! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici?... Folle!... M'era parsa quella la liberazione! Sì, con la cappa di piombo della menzogna addosso!"

Ma a Miragno la situazione è diversa da quella che lui crede: la moglie si è risposata e nessuno si ricorda di lui; decide di non far valere i suoi diritti legali sulla moglie, non torna entro quella forma in cui un tempo si era chiuso, entro quelle forme (maschere di figlio, marito, amico, bibliotecario) attraverso cui si è definiti dagli altri e la società consente di vivere. E egli non vive.

Troviamo nel romanzo i temi cari a Pirandello: apparenza verso realtà (per cui la verità non è mai una soltanto), la solitudine dell'uomo e il suo bisogno di evadere da una società che impone delle maschere, l'inutile ribellione alla forma perché al di fuori della gabbia delle convenzioni sociali non c'è vita ma solo esclusione, l'incidenza del caso sulla vita.

Mattia Pascal, infatti, si ribella ma null'altro gli è concesso che una parentesi di illusoria felicità; morto due volte, morto e vivo allo stesso tempo, vittima della sua inettitudine e del suo desiderio di una nuova vita. Da persona reale quale è all'inizio del romanzo, egli diventa un uomo vuoto, da persona è divenuto personaggio: gli rimane solo, alla fine, il veder vivere e il lasciarsi vivere all'ombra della sua unica certezza, egli è il "fu" Mattia Pascal.

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Il fu Mattia Pascal 2020-09-18 16:42:37 68
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68 Opinione inserita da 68    18 Settembre, 2020
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Doppia vita

...”:Giacché, ormai, io sono morto per ben due volte, la prima per errore, la seconda sentirete “...

Mattia Pascal, un giovane uomo costretto a fare i conti con un passato e un presente controversi, affranto e sfinito dagli accadimenti, la morte dell’ adorata madre e dell’ unica figlioletta, dopo la recente perdita dei beni aviti.
Un giorno decide di congedarsi dalla vita e di costruirsi un nuovo io, d’altronde che cosa può capitargli di peggio di quello che sta soffrendo, sopraffatto da una noia che lo sta mangiando dentro?
Vorrà essere il solo artefice del proprio destino, una vita nuova, niente moglie, suocera, debiti, legami, finalmente libero, una sfortuna fortunata, senza il fardello del proprio passato, una nuova educazione da acquisire con amore e pazienza tanto da potere affermare non solo di avere vissuto due vite, ma di essere stato due uomini.
Ecco il nuovo che avanza, Adriano Meis, la costruzione di un altro io, un’ invenzione ambulante calata nella realtà, un mondo fantastico in cui vivere.
Vivrà con se’ e di se’, quasi esclusivamente, liberato delle umilianti afflizioni della prima vita, senza nome e passato, solo relazioni superficiali. Un altro io, anche all’ apparenza, occhiali, niente barba, capelli lunghi, costruito per gli altri, un modo per non toccare se’ stesso.
Ma basta poco per sentirsi stanco di quel girovagare solo e muto, convivendo con il desiderio istintivo di avere un po’ di compagnia, di vivere libero senza poterlo essere, e se negli oggetti si investe una parte di se’ e l’ anima e’ formata dai propri ricordi, la cruda verità riporta un Adriano Meis che rimarrà per sempre un forestiero della vita.
Una esistenza afinalistica da spettatore solo sperduto tra la gente, trasformato in un filosofo, estraneo agli altri e a se’ stesso.
Ma, in fin dei conti, chi vorrebbe essere realmente, Adriano Meis o Mattia Pascal, in un reiterato monologo con se’ stesso, senza libertà, morto per finta, nella speranza di diventare un altro?
Eccolo, suo malgrado, scaraventato nel cuore dell’esistenza, un bacio, una giovane donna da amare ma inaccostabile a chi non può in alcun modo dichiararsi e provarsi vivo, ma di che uomo si tratta? Non è che l’ ombra di un morto, ancora vivo per la morte e morto per la vita, accompagnato da noia e solitudine.
Di Mattia Pascal poco rimane, un cuore che non può amare e una verità che gli pare incredibile, una favola assurda, un sogno insensato, un’ ombra simbolo e spettro della propria vita.
Ha vagato seguendo un’ illusione oltre la morte e, già morto, non deve più uccidersi, ma porre fine a quella folle e assurda finzione che per ben due anni lo ha torturato e straziato,
quell’ Adriano Meis condannato a essere un bugiardo, un vile, un miserabile.
Non gli resta che una morte congelata e condivisa per due giorni, fare il morto non è una bella professione, ma una compagnia ingombrante e gravosa soprattutto quando gli altri si sono rifatti una vita.
La realtà lo porrà al cospetto della propria tomba, la tomba di un morto ancora vivo, o di un vivo ritenuto morto, sopravvissuto a se’ stesso, al di fuori di una legalità e all’ interno di una comunità che lo considera ancora morto, nonostante tutto, lui che voleva solo vivere, costretto a una nuova dimensione del presente, il “ fu Mattia Pascal”.
I temi del romanzo sono noti, permane un senso di inquietudine e angosciosa presenza di un’ anima piccolo borghese che cerca una fuga impossibile e improbabile, che si assenta, attende, osserva, vive, rimugina, rimpiange, ritorna, un viaggio che inizia laddove finisce e riprende laddove lo si era lasciato, cacciato dapprima da se’ stesso, poi dalla società, acclimatata in una legalità che oltrepassa l’umano sentire.
Realtà e apparenza, la frammentazione dell’io, la fuga da una società invivibile, il dialogo con se’ stesso e le proprie molteplici facce, una solitudine poco condivisa e condivisibile, l’ attesa di una vita nella speranza di viverla, bloccata dal proprio non essere, e da un desiderio che non potrà mai compiersi.

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Il fu Mattia Pascal 2018-04-07 17:49:56 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    07 Aprile, 2018
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Rapporto controverso

Ho un rapporto controverso con questo libro. Mi venne assegnato ai tempi delle superiori come lettura estiva: a quel tempo ignoravo ancora quanto l'amore per la letteratura mi avrebbe travolto di lì a pochi anni, ma non fu quello il momento in cui scoccò la scintilla. Ancora oggi (con un pizzico di rancore), do a "Il fu Mattia Pascal" la colpa per il fatto che questo amore sia nato quando gli studi scolastici erano ormai finiti da un pezzo.
Da lettore abbastanza navigato, adesso, ho deciso di concedergli una seconda occasione, per capire se il mio "odio" fosse dovuto soltanto alla mia giovane età. Bene, adesso che l'ho riletto posso dire che sì, l'ho apprezzato più di allora, ma che comunque non la reputo una lettura adatta a un giovanissimo: non se si vuole far nascere in lui l'amore per la lettura. Lungi da me criticare il modus operandi dell'educazione italiana, ma nel mio caso, l'opera pirandelliana non ha assolutamente funzionato; qualcosa di sbagliato dev'esserci, considerato che poi sono diventato un lettore accanito, che ha letto opere anche molto più impegnative de "Il fu Mattia Pascal".
Mettendo da parte questo discorso, posso dire che Pirandello ha uno stile tutto suo, perfettamente riconoscibile, e che è giustamente considerato uno dei migliori autori italiani. Devo ammettere però, che forse io e lui non collimiamo alla perfezione, perché pur riconoscendo l'indiscutibile valore e l'originalità di questa storia, non riesco proprio ad amarla.

Mattia Pascal è un giovanotto che è nato negli agi, grazie alla fortuna accumulata da suo padre, venuto però a mancare prima del tempo. A riempire il vuoto lasciato dal padre ci sarà il Malagna, uomo scellerato che farà la propria fortuna "amministrando" quella dei Pascal, mandandoli in rovina. Mattia è un personaggio controverso fin dall'inizio, dandoci subito un assaggio di quelli che saranno i tormenti e lo sdoppiamento al centro della scena. Sposerà avventatamente Romilda, una donna della quale è innamorato il suo amico Pomino, ma ben presto il suo matrimonio si rivelerà del tutto infelice; complice il suo libertinaggio giovanile, la freddezza improvvisa della sua nuova moglie e una suocera assolutamente insostenibile. A far traboccare il vaso saranno la morte della cara madre e quella delle sue due figlie, gemelle. Questo lo porterà a una fuga a Montecarlo, dove giocherà alla roulette vincendo un mucchio di soldi. Pronto a rientrare a casa reso forte dalla sua nuova ricchezza, accade un evento che cambierà tutto: un uomo si è buttato nel mulino di una sua proprietà, la Stìa, e verrà riconosciuto dai suoi parenti proprio come Mattia Pascal. Dunque tutti credono che il povero Mattia sia morto e quest'ultimo, più vivo che mai, crederà che questo evento sia un incredibile colpo di fortuna che gli permetta di farsi una nuova vita. Mattia assumerà l'identità di Adriano Meis, felice di poter ricominciare, ma gli eventi che lo travolgeranno non saranno rosei come crederà in principio.

"Il che vuol dire, in fondo, che noi anche oggi crediamo che la luna non stia per altro nel cielo, che per farci lume di notte, come il sole di giorno, e le stelle per offrirci un magnifico spettacolo. Sicuro. E dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili."

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Il fu Mattia Pascal 2015-05-05 14:26:25 GPC36
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GPC36 Opinione inserita da GPC36    05 Mag, 2015
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Le poche certezze dell’identità umana

Un romanzo che si racchiude fra le due minicertezze di un personaggio, esempio di inettitudine: l’incipit “Una delle poche cose, anzi la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal” ed il finale “Caro mio … io sono il fu Mattia Pascal”.
In mezzo il percorso di vita di un uomo che trova, in circostanze fortuite, la possibilità di liberarsi del peso della propria squallida condizione di vita e di assumere una nuova identità, vista come momento liberatorio, come conquista, salvo poi scontrarsi con l’impossibilità di dare alla nuova “maschera” una pienezza esistenziale. Il nuovo “io” è in realtà come un’ombra che lo segue, che “aveva un cuore, ma non poteva amare; aveva denari, ma chiunque poteva rubarglieli; aveva testa, ma per pensare e comprendere che era la testa di un’ombra”.
Dopo un’immersione in anni lontani nella lettura di Pirandello con le “Novelle per un anno” avevo staccato, omettendo proprio il romanzo in cui si trova tutta l’essenza del suo pensiero: il contrasto tra la realtà e l’illusione, tra il volto individuale e la maschera sociale; l’umorismo inteso come “sentimento del contrario” (la scelta che avrebbe dovuto dare la libertà a Mattia Pascal ha in realtà liberato la moglie da cui voleva staccarsi, mentre lui è rimasto prigioniero della nuova identità); il senso dei limiti della percezione umana della realtà universale, inserita nel contesto del romanzo con la “filosofia del lanternino”, esposta da Anselmo Paleari, il padrone di casa di Pascal/ Meis, la cui presenza consente allo scrittore il modo per inserirsi nel racconto, fatto in prima persona dal protagonista, con proprie considerazioni.
Lo stile brillante, di gran pregio, si unisce alla profondità del pensiero, alla lucida provocazione (non siamo come l’albero … a noi uomini è toccato un triste privilegio, quello di sentirci vivere), all'argomentare sottile. Il contesto ambientale è appena accennato, quasi claustrofobico, mentre la narrazione è focalizzata sulla tormentata psicologia di Mattia Pascal. Il risultato è un’opera fondamentale della letteratura, un romanzo la cui analisi ha generato un’enorme bibliografia di saggi critici.

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Il fu Mattia Pascal 2014-09-14 18:29:51 Wasp98
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Opinione inserita da Wasp98    14 Settembre, 2014

Pura Arte...

Per la mia prima recensione non ho scelto un semplice libro, bensì un capolavoro a dir poco superlativo. Un libro saturo di una filosofia così elevata da aver influenzato un po' la mia visione del mondo. Ho molto apprezzato la trama, ben articolata e avvincente, che ricorda, in alcuni tratti, quella de "il conte di montecristo". Devo ammettere che all'inizio non mi ha coinvolto pienamente ma poi mi ha rapito, facendomi calare nella realtà del povero Mattia Pascal che ha avuto l'opportunità di poter ricominciare tutto da capo per ben due volte. Il sarcasmo domina incontrastato e devo ammettere che non mi è affatto dispiaciuto anzi mi ha quasi affascinato. Voto finale? Di certo il massimo nella mia scala di giudizio. Riassunto in una parola: Arte...

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Il fu Mattia Pascal 2014-08-18 20:54:23 Ale96
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Ale96 Opinione inserita da Ale96    18 Agosto, 2014
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L'ombra di una vita

Immaginate che la Fortuna vi abbia fatto un dono immenso. Dopo anni e anni di sopportazione, di incertezza, di delusione e amaro in bocca, vi viene data la possibilità di cominciare da capo. Ripartire da zero. Potrete ricreare la vita che vorrete senza commettere più gli errori e le stupidità che ancora vi fanno arrossire. Senza dimenticare il bel gruzzoletto che la sorte, incredibilmente sorridente, vi ha fatto trovare in tasca. “Che vorremmo di più?”, penserete tutti, “Siamo gli uomini più fortunati e felici della terra. La libertà! La libertà di scegliere, di condurre una vita come vogliamo noi e non come ce l'hanno imposta (direttamente o indirettamente) gli altri. Finalmente abbiamo in pugno la nostra esistenza!”. Ma siete sicuri? Pensate veramente che quella che chiamate libertà sia veramente tale? Vi siete accorti che il mondo è rimasto sempre lo stesso, con le sue convenzioni, le sue maschere, i suoi asfissianti ritmi? Né siete cambiati voi. Potrete farvi chiamare con un altro nome e trasferirvi in un'altra città, ma rimarrete sempre quelli che siete con i vostri dubbi e le vostre incertezze. Ben presto vi accorgerete che la libertà che avete tanto elogiato si rivelerà essere noia, solitudine, abbandono. Quella famosa libertà vi impedirà di vivere. E allora come vorrete rimediare al pasticcio che avete combinato! Non vi sto prendendo in giro, ve lo assicuro. Ho un testimone: Mattia Pascal, l'uomo dalle tre vite.

Mattia Pascal è un uomo semplice, scioperato, pieno di dubbi e incertezze. È uno come noi, forse un po' più sfortunato. Ha dovuto vedere il dissesto del proprio patrimonio famigliare. Tutte le case, i poderi, le terre nella sua bella Miragno sono ormai in mano ai creditori. Il povero Mattia si è trovato a vivere in una misera casetta con una moglie che non ama più e una suocera bisbetica. I debiti e i lutti lo perseguitano. Trova un po' di pace solo nell'odore stantio della semi-abbandonata biblioteca del suo paesello ma presto questa si trasforma in tedio. Mattia vuole fuggire, fuggire da quell'esistenza deludente e alla fine lo fa. Va a Nizza dove vince una ragguardevole cifra. “Scialato”, decide di tornare a casa ma durante il ritorno legge sul giornale una notizia sconvolgente: “Mattia Pascal trovato morto nella gora del mulino della Stia. Suicidio”. Ripresosi dallo shock iniziale, cambia treno. È il primo passo della sua nuova vita. Mattia Pascal ormai è il passato, Adriano Meis è il presente. Si trasferisce a Roma, dove potrà finalmente godere della sua nuova libertà ma ben presto si renderà conto del contrario....

Luigi Pirandello dà vita a una idea molto originale con uno stile semplice, chiaro, lineare. L'umorismo e l'ironia fanno da padroni. Un umorismo che snellisce e allo stesso tempo rinvigorisce la profondità concettuale. Un'ironia che rende la lettura frizzante, agile, estremamente scorrevole senza offuscarne il carattere paideutico. Lo stile pirandelliano sostituisce quel miele sui bordi del cucchiaio di lucreziana (e tassiana) memoria che attenua l'amarezza della medicina perché tra sorrisi e canzonature ci vengono presentati temi filosofici, esistenziali,metaletterari di non poca importanza. Abbiamo quindi “il buco nel cielo di carta” che ha permesso il passaggio dalla tragedia antica a quella moderna, da Oreste a Amleto e la “lanterninosofia” che ci viene sbattuta in faccia in tutto il suo relativismo, senza dimenticare la critica serrata alla società del consumismo sfrenato, del finto progresso, del movimento senza fine. Come potrebbe l'uomo non estraniarsi e perdere se stesso con tutte le distrazioni, i ninnoli, le futilità del mondo della scienza e delle macchine? Infatti non è dalla lampadina elettrica che si estrae l'olio per la nostra anima, per il nostro lanternino che dà colori e sfumature all'universo di cui siamo partecipi. Con tutti questi macchinari e catene di montaggio diventiamo degli automi senza personalità. Diventiamo delle maschere deprimenti che nascondono e tacciono. E che è una vita senza emozioni, comunicazione, senza trasparenza, senza insomma vita? Niente. Finiamo per essere ombre di defunti che benedicono la morte fisica dopo anni e anni di morte spirituale.

Pietra miliare della lettura italiana da leggere assolutamente. Buona lettura!

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Il fu Mattia Pascal 2014-05-29 20:56:34 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    29 Mag, 2014
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ACRONIMO

Il desiderio di fuggire, sparire, cambiar vita. Chi non
Lo ha mai provato almeno una volta? Si

Fa attrarre da questa prospettiva Mattia, un
Uomo che, sposando Romilda, è costretto a convivere con

Marianna Pescatore, l’odiata suocera. Dopo una vincita
A Montecarlo, Mattia apprende d'essere morto: su un giornale.
Troppo facile approfittare dell'equivoco e realizzare il desiderio di sparire! Si
Trasferisce a Roma sotto
Il nome fasullo di
Adriano Meis. Un nuovo amore e gli eventi

Però propalano che l’identità fittizia è
Anche prigionia. E impossibilità di vivere. Un simulato
Suicidio consentirà a Mattia-Adriano di tornare a Miragno
Come bibliotecario, senza essere riconosciuto... L’opera
Anticipa nel 1904 i temi cari a Pirandello:
“La vita o si vive o si scrive, io non l'ho mai vissuta, se non scrivendola.”

Bruno Elpis

Mezzo secolo dopo, nel 1954, Thomas Narcejac e Pierre Boileau scriveranno “D’entre les morts” (1954), opera che ispirò il film “Vertigo – La donna che visse due volte” (1958) di Hitchcock: “C’è ancora un’ultima cosa che devo fare, e poi sarò libero dal passato” (John Ferguson/James Stewart nel film di Hitchcock).

Quella di Pirandello è la storia de “l’uomo che morì tre volte” e affronta il tema dei ruoli sociali e dei vincoli rigidi entro i quali scorre la vita: “La vita è un continuo movimento e cambiamento, e la forma è una specie di sistema sociale, di legge esterna, in cui l'uomo cerca di fermare e di fissare la vita; per questo l'uomo è prigioniero di queste forme, di questi schemi sociali in cui si rinchiude o da se stesso o per opera della società.”

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
..."Dentre les morts". A chi ha visto Vertigo (La donna che visse due volte) di Alfred Hitchcock.
A chi voglia iniziare la lettura dell'opera di Pirandello cominciando con un'opera rappresentativa, a chi ne voglia proseguire la lettura, a chi desideri rileggerlo...
Consigliato a tutti.
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Il fu Mattia Pascal 2014-05-29 07:47:37 silvia t
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
silvia t Opinione inserita da silvia t    29 Mag, 2014
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Il fu Mattia Pascal

Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello

La forza di questo romanzo sta nell'idea di fondo: una seconda possibilità, una seconda vita che possa essere perfetta; lontano da tutto ciò che l'ha resa un inferno, dai ricordi, dai doveri, dalle responsabilità.
Mattia Pascal conduce una vita fatta di un incedere lento e stanco, in cui il ricordo di un'infanzia agiata non può scomparire e perpetuarsi un'esistenza, quella attuale, fatta di espedienti e di insoddisfazioni familiari: una donna che non ama più, una suocera che odia, due figlie morte piccole.
L'atmosfera in quella casa. In quel paese, in quella biblioteca in cui lavora è pesante, come la polvere che avvolge i vecchi libri che nessuno legge profonde come i solchi lasciati su di essa sono le cicatrici del suo animo; i suoi sbagli, la sua accidia, la sua totale mancanza di buon senso ha portato in un soffio tutto questo.
Il pensiero costante è la fuga, da tutto, da tutti, lontano, in un altro mondo.
La colpa al distino, alle avversità, alla poca esperienza: un'altra vita porterebbe solo benessere e scelte giuste...forse!
Così la sorte che tutto ascolta e che si diverte da sempre con gli uomini decide di giocar con Mattia, creando le premesse affinché questo avvenga e Mattia diventa Adriano, Mattia muore, Adriano vive.
Con uno stile moderno, asciutto, un lessico ricco ed evocativo questa seconda vita è raccontata con ironia, l'atmosfera si rarefà, la speranza, la luce, il futuro radioso e privo di ostacoli si profila davanti ai suoi occhi, ma nessuno può relegare la propria essenza in un angolo, nessuno può recidere le proprie radici e soffocare il proprio orgoglio, non cercare un riscatto, non dimostrare la propria superiorità.
Così il racconto si fa metafora si qualcosa di più: l'uomo schiavo del proprio destino dal quale non può fuggire e non può esimersi.
Nonostante il piano narrativo sia semplice e lineare, il fraseggio varia al variare delle situazioni, più fosco, con tinte scure all'inizio, solare e ritmico nella parte centrale, lento e ambrato nel finale.
Pirandello scrive nei primi anni nel novecento, contemporaneo di D'Annunzio, non ne segue le orme, sceglie di raccontare l'uomo nella sua forma più profonda, di raccontare le tribolazioni dell'animo più che un modello di perfezione elaborando i concetti della nascente psicoanalisi.
IL romando, in conclusione è uno di quelli che lasciano il segno, sia per l'originalità del soggetto che per la scelta stilistica, che risulta ancora attuale, ma soprattutto per la grande forza evocativa, per come le immagini raccontate si materializzano, come i volti e le loro modificazioni divengono visibili.
Lettura non solo consigliata, ma fondamentale per comprendere il meraviglioso percorso della nostra bella letteratura di inizio secolo.

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