Il Decamerone
Letteratura italiana
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«La democrazia dell’ingegno»
Sebbene sia stato scritto nel lontano XIV secolo (in particolare tra il 1349 e il 1351) e sia considerato una delle espressioni più alte del così detto “autunno del Medioevo”, il "Decameron" è un’opera che stupisce per la sua grande modernità. Con esso non soltanto il genere della novella raggiunge la piena affermazione e trova un modello che manterrà intatta la sua validità nei secoli a venire, ma soprattutto nasce la narrativa moderna: cresce la complessità dei caratteri e delle situazioni e il racconto (forse è questo l’aspetto più rilevante) diventa del tutto autonomo, autosufficiente, non più semplice veicolo di contenuti morali, religiosi o pedagogici, ma strumento finalizzato a divertire e consolare. Per la prima volta nella storia della letteratura italiana si afferma l’importanza del piacere della lettura, del racconto per il racconto. Nel Proemio, infatti, Boccaccio indirizza la dedica alle donne, le quali, prive delle distrazioni offerte agli uomini dagli affari e dalla politica, potranno così passare piacevolmente il tempo, consolarsi dalle pene d’amore e imparare «cosa fuggire» e «cosa seguitare» per evitarle. Dopo «l’orrido cominciamento», la descrizione degli orrori e della disgregazione morale e civile causata dall’epidemia di peste (chi avrebbe mai detto che un simile argomento potesse tornare attuale nel 2020), seguiranno «la dolcezza» e «il piacere» delle novelle e se alcune di esse dovessero risultare troppo lunghe, be’, scrive l’autore nelle Conclusioni, «le donne oziose» hanno tutto il tempo per leggere.
Nel "Decameron" confluiscono i due aspetti fondamentali della cultura e della vita di Giovanni Boccaccio, ma anche della società di metà Trecento: il mondo borghese-mercantile da un lato e il mondo cortese-aristocratico dall’altro, rappresentati nelle novelle con accurato realismo di ambientazioni, personaggi, psicologie. All’interno di una struttura saldamente poggiata su questi due poli, l’autore accoglie l’intera gamma dei tipi sociali del Trecento: sovrani, nobili spiantati, piccoli borghesi, miserabili, principesse, frati, suore, commercianti, prostitute, usurai, imbroglioni di vario genere. Il risultato è una vasta, articolata commedia sociale che comprende ambienti e figure appartenenti a ogni ceto sociale, viva e brulicante come un affresco in movimento (d’altronde ben 80 novelle su 100 sono ambientate dopo il 1300 e quindi in un contesto praticamente contemporaneo all’autore). Tra i due poli fondamentali dell’opera, però, non c’è contraddizione, sebbene essi siano così lontani tra loro: Boccaccio vuole proporre una morale nuova che sappia conciliare gli antichi valori cortesi e cavallereschi della nobiltà con i costumi della borghesia mercantile. Il "Decameron" è stato definito da Vittore Branca «l’epopea dei mercanti» e indubbiamente Boccaccio celebra e legittima gli aspetti positivi della vita borghese: l’intraprendenza (soprattutto economica), la prontezza, l’ingegno, l’astuzia. Alla metà del Trecento, però, la borghesia è in piena crisi, a cominciare dal fallimento di alcune grandi famiglie di banchieri come i Bardi e i Peruzzi: venuta meno la spinta competitiva e accumulativa che ha determinato l’ascesa di questa classe sociale, la borghesia è sprofondata nell’avarizia e vive nel culto degli affari, dell’utile, del guadagno. La nobiltà, da parte sua, non è priva di aspetti positivi, come l’onestà, la gentilezza, la delicatezza del sentire, ma la tendenza a sperperare e la totale mancanza di spirito di iniziativa economica l’hanno ridotta alla fame. Boccaccio mette in scena glorie e miserie delle due classi sociali e propone di prendere il meglio da entrambe per fondare un nuovo sistema di valori che coniughi i principi cortesi con l’intraprendenza economica della borghesia. Tale sintesi ideale è perfettamente rappresentata dai dieci giovani novellatori, ma anche (un esempio tra tanti) da Federigo degli Alberighi, che da nobile scialacquatore si converte a «miglior massaio» dopo il matrimonio con una ricca borghese.
Lo scopo dell’opera, dunque, non è solo il puro piacere del racconto e neppure si limita agli ammaestramenti d’amore indirizzati alle donne. Boccaccio, però, non aspira a imporre un rigido sistema di regole comportamentali da seguire: la sua è una morale aperta, problematica, relativistica, malleabile a seconda delle situazioni che di volta in volta si presentano, fondata sul compromesso e sull’equilibrio tra ragione, onestà, esigenze sociali e rispetto di quelle forze naturali che è contro natura reprimere (a cominciare dall’eros, che tanta importanza ha nei racconti del "Decameron").
All’interno di questa nuova visione della vita un ruolo fondamentale spetta all’ingegno, forza capace di controllare la natura e il temperamento individuale, contrastare la cattiva sorte e approfittare della buona, in parte dono della natura e in parte frutto delle capacità del singolo: molte novelle propongono quella che Romano Luperini definisce una «democrazia dell’ingegno», che consente a un umile servitore di sfidare un re e uscirne vittorioso grazie alla propria astuzia, come nel racconto dello stalliere e del re Agilulfo, e alle donne di affrontare gli uomini alla pari, uscendo dalla loro condizione di inferiorità. Si arriva a provare un moto di simpatia perfino per quel ciarlatano di Frate Cipolla, salvato in extremis dalla sua intelligenza e dall’abilità nell’uso delle parole.
Nulla è mai definito una volta per tutte, nel "Decameron". La verità è relativa, ogni regola ha la sua eccezione, non esiste un ordine gerarchico o un disegno universale che, come nella "Commedia" dantesca, indirizzano l’uomo smarrito verso un unico percorso obbligato e un’unica, immutabile rivelazione. Solo un approccio problematico, aperto e consapevole dell’infinita varietà del reale può condurre alla soluzione e a una verità di volta in volta sempre nuova. In questo gran caos di mille diverse possibilità che è la vita umana ci si smarrisce davvero e non si dispone di alcuna guida fissa e stabile come il buon vecchio Virgilio. Ma è uno smarrimento che sa tanto di profonda, autentica, disarmante modernità.
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MEMENTO VIVERE
« Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato Prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in dieci dì dette da sette donne e da tre giovani uomini. »
Pietra miliare della letteratura italiana, Il Decameron di Boccaccio è considerato erroneamente una prosecuzione dell'opera dantesca ( "cognominato Prencipe Galeotto" è un evidente riferimento all'episodio di Paolo e Francesca del V canto dell'Inferno), ma il peccato dei due giovani è sufficiente a Dante per condannarli alle fiamme dell'Inferno, diversamente dall'autore fiorentino.
Dunque, non sarebbe corretto considerare il Decameron una raccolta di racconti che esprimono a 360 gradi il pensiero medievale del Duecento (come ritiene Vittore Branca), o un'opera immorale e realistica (come afferma De Sanctis). Il Decameron racchiude in sé i conflitti, le tensioni e i contrasti di una società che si evolve, di una società dominata dalla corruzione e dal denaro della borghesia che lentamente si sostituisce alla nobiltà locale ( siamo nella metà del Trecento ormai).
Le 100 novelle sono rivolte alle donne che soffrono pene d'amore ( come viene spiegato nel proemio): la donna medievale viveva segregata in casa, e dopo che la sua famiglia decideva chi avrebbe sposato, passava semplicemente dall'essere controllata dal padre e i fratelli, all'essere controllata dal marito. L'opera boccacciana rappresenta quel movimento che alle donne viene negato, una sorta di distrazione e di cura dalle sofferenze amorose. Un’esortazione alla gioia e al piacere in una dimensione tutta terrena, ma questo non vi inganni: non vi è nulla di peccaminoso nella scelta della giovane brigata di allontanarsi da Firenze distrutta dalla peste. Le ragazze e ragazzi della compagnia si allontanano dalla depravazione e corruzione fisica e morale imperante in città, per vivere all’insegna dell’equilibrio e dell’armonia. I giovani si pongono tabù verbali e non rifiutano la sfera sessuale, che è una componente naturale dell’essere umano, diversamente dal clero. “Le scappatelle sessuali dei predicatori della castità producono un effetto di comicità particolare e mostrano come La Natura, scacciata dalla porta, rientri dalla finestra; i conventi PARLANO di astinenza e sono pieni di lascivia; i dieci giovani parlano di sesso senza tabù e VIVONO castamente” ( Kurt Flasch su Decameron). In definitiva, l’opera si presenta come un trattato portatore di una nuova morale ( in cui si può riconoscere una matrice ovidiana).
Infine, non si può prescindere dall’accennare alla descrizione della peste nell’Introduzione. Boccaccio rifiuta la spiegazione filosofico-scientifica e teologica, affermando solamente che se la peste è una punizione divina Firenze se l’è meritata oppure che deriva dalla malvagità umana: l’obiettivo dell’autore è quello di muovere una critica alla scienza e medicina moderna, che si arroga il diritto di trovare una spiegazione ad una catastrofe naturale come la peste, ma non è in grado di trovare una cura all’epidemia. In questo modo egli dichiara la superiorità della poesia, della sua poesia, che si limita a descrivere gli eventi e i fatti così come appaiono, senza pretendere di trarre conclusioni su ciò che invisibile (come la religione).
Dopo tale analisi sistematica ( nata da una sintetica rielaborazione del saggio di Kurt Flash, “Poesia dopo la peste”), che ritengo sufficiente ad una comprensione generale del testo, pur riconoscendone la complessità, non voglio inibire la vostra lettura. Vi consiglio di lasciare il Decameron sul vostro comodino e leggere saltuariamente singole novelle che sono dei brevi capolavori apparentemente slegati tra di loro ( qualcuno ha intravisto un processo di evoluzione spirituale dalla prima all’ultima). Divertente, commuovente, buffo, e ancora tutto ciò che può essere legato alla sfera umana, condensato in 100 racconti.
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Dieci giorni per novellare....
Decamerone significa letteralmente 10 giornate...
Firenze 1300 circa: sette ragazze e tre giovani si rifugiano in una villa fuori città per sfuggire al pericoloso morbo della peste.
In questi giorni passarenno il loro tempo a raccontare novelle per rallegrarsi l'animo e cacciare via la malinconia e le preoccupazioni del probabile contagio.
Nella rappresentazione della vicenda l'autore ci presenta una diversificazione della realtà facendoci sorridere o piangere, poichè gli argomenti delle novelle sono variegati e multiformi...
Che dire? Se "La Divina Commedia" è il poema per eccelenza, "Il Decamerone" è l'opera in prosa più importante che ha saputo racchiudere nel suo nucleo una molteplicità di vicende umane, in cui l'umorismo e l'ironia dell'autore sanno coinvolgere il lettore facendolo complice di storie che a volte superano la realtà e diventano fantasiose e surreali, altre in cui l'ingegno umano ha la meglio sulla stupidità di alcuni personaggi...
Un'opera immortale che merita di essere letta o riletta eventualmente per catturarne il senso, se qualcosa ci fosse sfuggito. Per un ulteriore arricchimento culturale.
Consigliato.
Saluti.
Ginseng666
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Decameron
E’ un peccato che quest’opera non venga approfondita a scuola, così come la Commedia. Se Dante è il padre della poesia italiana, Boccaccio lo è sicuramente della prosa.
Siamo a Firenze, in piena peste. Sette donne e tre uomini si rifugiano appena fuori città. Qui passeranno dieci giorni e ogni giorno, governato da un “re” o una “regina”, i dieci narratori racconteranno ciascuno dieci novelle. Ci saranno dieci temi: il primo sarà libero; il secondo è il “lieto fine” dopo molte traversie; il terzo è dedicato a chi riesce ad acquistare o riconquistare un bene molto agognato; il quarto riguarda gli amori finiti infelicemente; il quinto invece gli amori a “lieto fine”; il sesto la “presenza di spirito”; il settimo le beffe delle mogli ai mariti; l’ottavo le beffe tra uomo e donna; il non ancora a tema libero e infine il decimo a fatti e gesta eroici.
Cento novelle, legate fra loro da un filo sottile. Dieci narratori, il cui nome non è solo simbolo arbitrario. Una struttura complessa, ordinata, un magnifico ingranaggio di prosa sublime, fanno del Decamerone una “terrestre Commedia” (fu Boccaccio a definire Divina la Commedia di Dante).
Un’opera godibile già in superficie (una sua novella l’ho ritrovata in un libro di fiabe di mia figlia), ma se approfondita, sa dare emozioni e suscitare rispetto per questo capolavoro molte volte bistrattato.
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Novellare
Il “Decameron”, ovvero, novellare per salvarsi la vita. Una nuova elegante ristampa di questo classico immortale. La letteratura tiene lontana la morte. In sintesi, ecco il senso del Decameron di Giovanni Boccaccio e della sua tragica cornice. Lontano dai banchi del liceo, il lettore anche colto tende a identificare il capolavoro della prosa italiana medievale con alcuni celebri racconti rimasti nella memoria di tutti. Trascurando il fatto che le cento novelle sono contenute all’interno di una narrazione che descrive la devastante epidemia di peste del 1348. I dieci giovani che abbandonano Firenze, per rifugiarsi a “novellare” in una villa sulle colline, rappresentano «l’oasi consolatoria e a suo modo salvifica di un’opera letteraria». Il «giardino-eden» che li accoglie è l’antidoto letterario al trionfo della Morte, perfetto rovesciamento ideologico degli affreschi dell’epoca (come quello ancora oggi visibile al Camposanto di Pisa), che esaltavano la severa vita monastica e condannavano alla dannazione la società cortese che si dilettava nei giardini. Nell’ottima ed esauriente introduzione alla nuova elegante ristampa di questo classico immortale, Lucia Battaglia Ricci ci guida a una lettura più consapevole e profonda del testo. Invitandoci a soffermarci sui luoghi più trascurati dell’opera, dove si svelano più chiaramente «lo spessore ideologico e la raffinatezza letteraria» di un testo complesso e sfaccettato, perché si prefigge di riflettere la complessità e le sfaccettature del reale, instillando nel lettore «il tarlo del dubbio e la plurivocità delle interpretazioni». La migliore guida alla lettura del Decameron ce la offre Boccaccio stesso, se abbiamo la pazienza di leggere il proemio e la conclusione del libro. E soprattutto l’introduzione alla quarta giornata, con l’apologo delle donne papere che dimostra l’indole naturale della pulsione erotica e l’inutile schermo di un’educazione censoria. Ma nello studio della Battaglia Ricci vengono anche analizzate le novelle più significative, con pochi incisivi tratti che bastano a inserirle nel contesto di un «gioco sperimentale e divertita adozione di registri diversi, ma anche un modo particolarissimo di meditare sulle infinite, molteplici varianti e possibilità – tutto e il contrario di tutto – del vivere umano». Il rapporto con i lettori (le donne come destinatarie dell’opera), l’intento dichiarato di offrire diletto, il duello alla distanza con Dante (cento novelle come cento sono i canti della Commedia), il rovesciamento polemico del sottotitolo («Prencipe Galeotto» con citazione del V canto dell’Inferno) sono altri nodi fondamentali della «varia, multiforme, caotica “commedia umana”» che questa raffinata edizione tascabile invita a leggere o rileggere integralmente. Chi vincerà la pigrizia e i pregiudizi scolastici scoprirà un tesoro.