Narrativa italiana Classici Giovanni Episcopo
 

Giovanni Episcopo Giovanni Episcopo

Giovanni Episcopo

Letteratura italiana

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Loschi individui e donne senza scrupoli, un'umanità piccola e di malaffare, animata da passioni brutali, si aggira tra osterie e pensioncine equivoche nei vicoli bui e maleodoranti di una Roma che somiglia non poco alla fumosa Pietroburgo dei romanzi di Dostoevskij, cui D'Annunzio si ispira in questo racconto-confessione, trascrizione fedele del delirio e dell'angoscia susseguenti a un delitto. Composto subito dopo Il Piacere, apparso in rivista nel 1891 e in volume nel 1892, Giovanni Episcopo, documento di una stagione inquieta, costituisce un unicum nella narrativa dannunziana, un tentativo di ricerca di un'arte nuova, tesa a integrare la resa oggettiva della rappresentazione con le tortuose profondità dell'analisi interiore.



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Giovanni Episcopo 2019-07-05 17:00:13 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    05 Luglio, 2019
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Un d'Annunzio sempre apprezzabile

Pubblicato sul finire dell'Ottocento, "Giovanni Episcopo" è un breve romanzo che, nell'ambito della vasta produzione letteraria di Gabriele d'Annunzio, non dovrebbe essere trascurato, ben prestandosi oltretutto alla lettura da parte di chi si avvicina per la prima volta al tanto criticato Vate.
Sebbene il libro in questione non sia certo all'altezza delle opere che diedero fama all'autore, prima fra tutte "Il piacere", e il personaggio di Giovanni Episcopo non abbia lo stesso fascino dei protagonisti maschili di altri romanzi (penso soprattutto ad Andrea Sperelli e a Giorgio Aurispa, dei cosiddetti Romanzi della Rosa), ho ritrovato tra queste pagine la stessa scrittura ammaliante e i toni solenni che caratterizzano in modo inequivocabile lo stile dannunziano.
Come l'autore afferma, "questo piccolo libro", dedicato a Matilde Serao, non ha per lui "importanza di arte; ma è un semplice documento letterario publicato a indicare il primo sforzo istintivo di un artefice inquieto verso una finale rinnovazione."
Non mi è dispiaciuta nemmeno l'ambientazione della storia, che si svolge tra i vicoli bui e loschi di una Roma molto diversa da quella de "Il piacere", tra una umanità, donne e uomini di malaffare, altrettanto oscura ed equivoca in mezzo a cui i deboli finiscono sempre per soccombere nel peggiore dei modi.

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Giovanni Episcopo 2014-03-20 06:42:28 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    20 Marzo, 2014
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Giovanni Episcopo

Dopo aver conosciuto il D'Annunzio de “Il Piacere”, l'approccio alla lettura del romanzo breve “Giovanni Episcopo” è alquanto destabilizzante e curioso.

Si tratta di un romanzo che ha stimolato fiumi di analisi e commenti critici a causa della vicinanza contenutistica e stilistica con lavori di autori del calibro di Dostoevskij.
Ebbene per chi conoscesse lo splendido protagonista de “Memorie del sottosuolo”, ritroverà tra le pagine dannunziane molti punti di contatto, riaffioreranno ricordi precisi di quella lettura.
Se costituisce dato certo che il Giovanni Episcopo sia figlio del desiderio di D'Annunzio di sperimentare nuove strade, trascinato dal profumo letterario di un filone poderoso come quello della letteratura russa e non solo, è altrettanto certo il valore di questo romanzo ed il buon lavoro di caratterizzazione del personaggio.

Giovanni Episcopo vuole essere un lavoro letterario di introspezione psicologica, un viaggio nel cuore e nella mente di un uomo.
Cade la raffinatezza stilistica cui D'Annunzio ci ha abituato altrove, cade la grazia, il vezzo linguistico e la liricità.
Gli strumenti linguistici utilizzati su questo terreno sono meno dolci e rigogliosi, ma diretti ed incisivi perché questo la narrazione richiede.
Cade il dolce flusso narrativo della penna dell'autore per lasciare spazio al monologo-confessione del protagonista; una voce che parte da un cuore sprofondato agli inferi, una voce violentata dalle avversità della vita, una voce piegata dalla sofferenza.

Nell'arco di poche pagine è presto delineato Giovanni Episcopo, un uomo che non vive la vita ma viene vissuto da essa; incapace di prese di posizione, di slanci intellettivi e materiali.
Uomo grigio e logorato, figlio della società che lo ha partorito e che lo accoglie.
Abbandonati gli sfarzi ed il luccichio dell'aristocrazia romana, D'Annunzio ci prende per mano e ci porta ad esplorare altri strati sociali, popolati da intemperanze, prepotenze, immoralità, lascivia.
Un mondo che vive nelle taverne fumose, nei vicoli angusti, in modeste abitazioni claustrofobiche; uno spaccato di umanità che deve lavorare per vivere, che non frequenta teatri e salotti.

Le atmosfere che attraversano il romanzo sono perfettamente costruite, tanto da creare un' aria rarefatta difficile da respirare, un clima uggioso, un sole spento sia nei cuori sia sull'orizzonte di Roma.
Un lavoro dal sapore sperimentale, per mettere alla prova la penna sul fronte psicologico, dove l'espressività estetica cede il passo al rigore della voce della coscienza, ad un flusso di immagini e sentimenti spogliati da belletti e cipria.

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Giovanni Episcopo 2013-12-03 16:37:29 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    03 Dicembre, 2013
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Castigo e delitto

Vale la pena raccontare la storia di un inetto?
Questo è Giovanni Episcopo, “uomo a cui si manca di rispetto”, secondo la definizione beffarda che gli affibbiano i suoi colleghi d'ufficio. Viene però da chiedersi se sia degno di maggiore considerazione chi si diverte ad infierire sui deboli, sicuro di farla franca.
Quello che fa D'Annuzio in questo breve romanzo è tentare di riscattare un'anima, restituendo almeno la dignità della sofferenza ad un essere umano calpestato dalla sorte e dai suoi simili.
Lo fa attraverso la drammatica confessione del protagonista, con uno stile dostoevskiano, anche se in questo caso è il castigo a precedere il delitto.
In effetti la vita di Episcopo sembra essere tutta all'insegna di una punizione per una colpa non meglio identificata, e il “marchio” gli verrà impresso in fronte da Wanzer, uomo violento e prepotente che scaglia un bicchiere durante una lite ferendolo per sbaglio.
Da quel momento, per qualche strana ragione, Wanzer carnefice trova nel povero Episcopo il suo servo, la sua vittima designata:
“Io non vi so definire, per esempio, il sentimento profondo e oscuro che mi veniva dalla cicatrice”. E' un'onta, il segno di un legame persecutorio da cui non riuscirà più ad affrancarsi.
Spinto da una passione mortifera che i soliti lazzi crudeli dei colleghi incoraggiano, sposa una donna "di tutti" che lo disprezza: “...si metteva a ridere, di quel riso spaventevole, di quel riso inumano che le luccicava più nei denti che negli occhi”.
E' il dolore il leitmotiv di quest'opera, dolore impotente per un'esistenza vissuta da vile, dolore struggente per Ciro, il figlio morto che non è riuscito a proteggere col suo amore e che gli appare nelle notti insonni: “Quando mette il piede su la soglia, è come se lo mettesse nel mio cuore; ma piano piano, senza farmi male, oh, tanto leggero...”.
Ciro, cresciuto in una casa che gli appetiti sessuali della madre hanno reso simile ad un bordello, incarna il simbolo della purezza oltraggiata, in una narrazione percorsa da presentimenti di morte ed angosce ossessive che ricordano i deliri di Edgar Allan Poe.
L'epilogo sarà la lotta sanguinosa di un angelo contro un demone senza vincitori né vinti:
“I morti ritornano. Ritorna anche l'altro, qualche volta. Orribile, oh, oh, oh, orribile!”.

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Dostoevskij, E.A. Poe.
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Giovanni Episcopo 2013-11-22 16:24:52 luvina
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luvina Opinione inserita da luvina    22 Novembre, 2013
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Giovanni Episcopo

Ho riletto dopo molti anni questo romanzo breve di D’Annunzio ritrovandolo comunque molto bello.
Giovanni Episcopo è il protagonista della storia e dà il titolo al romanzo; in realtà le circa 80 pagine sono una vera e propria confessione fatta da Giovanni allo stesso D’Annunzio e al suo amico filosofo Angelo Conti una sera in un’osteria.
Giovanni Episcopo è un impiegato, una di quelle figure grigie senza un carattere predominante anzi si ritiene ed è ritenuto dai suoi conoscenti un debole. Una sera a cena nella pensione dove abita conosce Giulio Wanzer quando questi, lanciando un bicchiere durante una discussione, lo prende in fronte lasciandogli un taglio. Questa cicatrice rimarrà come un segno della viltà di Giovanni Episcopo e della sua schiavitù nei confronti di Wanzer. Scherzando e prendendolo in giro davanti agli altri colleghi a cena, Wanzer lo fa fidanzare con la cameriera Ginevra Canale; Giovanni, prendendo seriamente la cosa e non vedendo la malignità nel comportamento degli altri, raggiunge la ragazza a Tivoli ed in seguito la sposa.
E’ l’inizio della seconda schiavitù di Giovanni Episcopo, quella nei confronti della moglie e della suocera che lo umiliano in tutti i modi possibili. Per colpa loro perde anche il lavoro che era l’unica cosa che lo facesse sentire un uomo valido. L’unico raggio di sole nella sua meschina vita è suo figlio Ciro sul quale riversa un amore immenso. E’ proprio quando Wanzer (nel frattempo diventato l’amante di Ginevra) si scaglia su suo figlio che Giovanni, vedendo Ciro in pericolo, ritrova il coraggio del debole e lo uccide.
Questa è una storia molto triste, non ha in sé nessun riscatto, anche l’omicidio non è vendetta ma l’atto di violenza di un uomo succube, vile. La bellezza del romanzo è naturalmente data dal genio di D’Annunzio, dal suo stile letterario, dal suo modo di presentarci il fatto, nella frammentarietà dei ricordi e del racconto di Episcopo, nei suoi incubi, nella sua disperazione ma anche nella sua capacità di dare amore nonostante tutto, nella limpidezza della sua anima.
Questo racconto-confessione è il tributo di D’Annunzio ad una delle correnti letterarie dell’epoca (basti ricordare gli autori russi) e, pur discostandosi dagli altri suoi romanzi, egli ne riprende la modalità ne “L’innocente”.
Ho trovato una frase che ben rappresenta questo racconto:
-Attenti alla furia dei deboli e alla rabbia degli indifesi -

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Gli autori russi
il film "Giovanni Episcopo" di Lattuada
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