Enrico IV
Letteratura italiana
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La maschera del folle o la maschera della società?
Dramma che si dipana in tre atti, “Enrico IV”, fu scritto nel 1921 per poi essere messo in scena la prima volta nel 1922. Opera di grande spessore nonché emblema della poetica pirandelliana e del suo attaccamento alle tematiche della pazzia e del rapporto tra personaggio e uomo, finzione e realtà, essa narra le vicende di un nobile che a seguito della partecipazione ad una cavalcata in costume, dove vestiva i panni dell’Imperatore Enrico IV di Franconia, cade rovinosamente dall’animale ferendosi alla testa. Siamo all’inizio del millenovecento e alla messa in scena prendono parte anche Matilde Spina baronessa di Canossa, donna della quale il protagonista è innamorato, ed il suo rivale in amore Belcredi. E’ quest’ultimo che disarciona l’Enrico IV, il quale a seguito del capitombolo e del trauma cranico, al suo risveglio è convinto di essere davvero il personaggio interpretato e come tale non può non inveire contro il suo acerrimo nemico Gregorio VII, non può non maledire la marchesa di Toscana, non può sottrarsi al desiderio di vendetta per l’umiliazione a Canossa. Detta follia viene assecondata dai servitori che il nipote Di Nolli mette al suo servizio, e soltanto dopo 12 anni l’Enrico riprende consapevolezza di sé come pure del fatto che è stato Belcredi a farlo intenzionalmente rovinare per avere campo libero con la donna. Decide però di continuare a fingersi pazzo per non dover affrontare la dolorosa realtà.
Trascorsi ormai vent’anni, Matilde, Belcredi, la loro figlia, Di Nolli e uno psichiatra si recano presso l’Enrico IV in visita. Il medico, in particolare, si dimostra fortemente interessato al caso del paziente e suggerisce di ricostruire lo scenario che due decenni orsono ha provocato il subentrare della malattia. Allestito lo stesso, molteplici sono le nefaste conseguenze derivanti. Perché arrivati a questo punto, questa pazzia assecondata, scelta, potrebbe anche cristallizzarsi, rendersi definitiva per il solo fatto che il mondo circostante è fatto di maschere e sopraffazione, per il solo fatto che il mondo circostante è fatto di falsità e approfittatori. Che sia meglio allora abbracciare quella condizione di malinconia e solitudine, quell’isolamento autoindotto eppure sincero ed autentico, piuttosto che quell’esistenza costruita e dettata dalle apparenze?
Luigi Pirandello, attraverso detto dramma, dà vita ad un’originalissima rappresentazione atta ad essere una recita della recita. Una commedia, la sua, brillante che si sviluppa con poche e semplici battute dense e ricche di significato. Nelle risa non mancano gli aspetti di riflessione tipici del siciliano, tra queste viene trattata, come anzidetto, con particolare attenzione la problematica della follia, della maschera, del rapporto tra finzione e realtà. Il protagonista, è al contempo il vero eroe, essendo colui che sotto le mentite spoglie del matto rivela la falsità delle convenzioni sociali, e l’antieroe, ovvero colui che rinuncia alla verità, si cela dietro la maschera pur di non dover assistere all’ipocrisia di una società che preferisce nascondersi dietro l’agio piuttosto che vedere il mondo con gli occhi aperti.
Il tutto è avvalorato dalla penna ironica, arguta, geniale di uno degli autori più emblematici di sempre.
«”Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni!”»
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ENRICO IV
E' davvero difficile commentare un testo teatrale che si presta a molte riflessioni.
Pirandello riesce, con un colpo di penna (e probabilmente qualche bravo attore) a stravolgere i punti di vista.
Entriamo nella storia pian piano, in punta di piedi e creiamo la nostra opinione, che viene immediatamente e inaspettatamente stravolta nell'atto successivo.
Non essendo una grande estimatrice dei testi teatrali dei quali, lo ammetto, preferisco vedere la rappresentazione, ritengo però che le opere di Pirandello debbano essere necessariamente lette.
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La pazzia di maschere sociali
“Loro sì, tutti i giorni, ogni momento pretendono che gli altri siano come li vogliono loro; ma non è mica una sopraffazione, questa! -Che! Che!- E' il loro modo di pensare, il loro modo di vedere, di sentire: ciascuno il suo! Avete anche voi il vostro eh? Certo! Ma che può essere il vostro ? Quello della mandra! Misero, labile, incerto... E quelli ne approfittano, vi fanno subire e accettare il loro, per modo che voi sentiate e vediate come loro! O almeno si illudono! Perché poi, che riescono a imporre? Parole! Parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure così le così dette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato da una di queste parole che tutti ripetono! Per esempio: pazzo! - Per esempio,che so? - imbecille! - Ma dite un po', si può star quieti a pensare che c'è uno che si affanna a persuadere gli altri che voi siete come vi vede lui, a fissarvi nella stima degli altri secondo il giudizio che ha fatto di voi? - Pazzo Pazzo!”
Così si sfoga “un poverino già fuori del mondo, fuori del tempo, fuori della vita”. Insomma un pazzo. Ma è veramente così? Perché non potrebbe trattarsi di un uomo saggio che si è ritirato nella sicura cristallizzazione della storia per fuggire la fatalità del tempo e soprattutto un mondo che lo circonda fatto di maschere e sopraffazione? Un mondo di tanti ratti con i bigodini che seguono il suono ammaliante di qualche pifferaio? Forse quell'uomo condannato all'isolamento e alla malinconia da una società di pazzi, dopo qualche inutile tentativo di reinserimento, ha finalmente compreso dello sterco di cui si è coperto tra gli applausi e gli elogi di un gregge belante che non sa esprimere un pensiero proprio. Solo seguire, solo obbedire ciecamente. E allora meglio, la “pazzia”, come quegli ebeti lì, quei veri folli, la chiamano. Così decide Enrico IV, che ha preferito “essere folle per proprio contro che saggio con le idee altrui”, come avrebbe detto Nietzche.
E' una splendida giornata. All'esclusivo Circolo della caccia, si tiene una carnevalesca parata storica. Abbiamo Matilde di Canossa, Barbarossa e tanti altri. Però la serenità di questa farsa è offuscata da un incidente: un Enrico IV cade da cavallo e batte la testa. Per miracolo non si hanno ferite, né perdite di sangue. L'uomo mascherato è solo svenuto ma al risveglio comincia l' “incubo”. Quel rispettabile signore di buona famiglia pensa veramente di essere l'imperatore tedesco Enrico IV di Franconia (1050-1106): inveisce contro il suo acerrimo nemico Gregorio VII, maledice la marchesa di Toscana, brucia di vendetta per l'umiliazione a Canossa. All'unanimità viene etichettato come “pazzo” e isolato nella sua casa-castello con quattro attori pagati per fingere di essere i loro consiglieri segreti . Nessuno lo viene a trovare: perché mai andare da un folle, un soggetto così pericoloso? Solo i più stretti parenti di tanto in tanto si recano da lui per farlo visitare da qualche psichiatra ma nessuno si è mai posto la domanda se sia volutamente pazzo.
Allargando la shakespearina tecnica del play within the play, Luigi Pirandello mette in scena una originalissima rappresentazione: una recita di una recita. Lo fa con un registro semplice, scorrevole ed estremamente arguto. Una commedia brillante ma da un profondo spessore filosofico. In poche battute, l'autore affronta il tema della sana follia e quelli a lui cari della maschera e del rapporto fievole tra finzione e realtà. Enrico IV, l'unico personaggio del dramma risparmiato dalla spietata ironia dell'autore, è il vero eroe, il folle che svela le convenzioni sociali, ma è anche l'antieroe che non solo rinuncia ma si rifugia pure nella propria maschera, pur di sfuggire dalla folle società di coloro che vivono agitatamente, senza vedere la propria pazzia. Una figura, quella del malinconico Enrico IV, a 360 gradi, potente nelle sue migliaia di sfaccettature che lo erge a emblema del teatro pirandelliano.
In conclusione, d'ora in poi, quando diremo “quanto è strano quel tipo” o “quello lì è proprio un pazzo”, pensiamo a Enrico IV e vedremo che siamo noi i pazzi che non ci rendiamo conto della maschera impostaci dagli altri. Buona lettura!