Narrativa italiana Classici De bello Gallico
 

De bello Gallico De bello Gallico

De bello Gallico

Letteratura italiana

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Il De bello Gallico è il resoconto di una delle guerre più sanguinose che Roma abbia mai combattuto. Le violenze e le ripercussioni sui civili furono terribili. Eppure Cesare, che le combatté con il solo scopo di arricchirsi lui di famiglia nobile, ma di scarsa disponibilità finanziaria - e di aumentare il suo prestigio, la descrive con uno stile freddo, asettico, assolutamente privo di enfasi retorica o partecipazione emotiva. Ogni azione militare, ogni negoziato, ogni decisione di sterminare civili appare necessaria, anzi, l'unica possibile. Così il De bello Gallico si presenta ai suoi contemporanei come un'efficace apologia della dura campagna di Gallia e ai nostri occhi come una magistrale opera di propaganda politica.



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De bello Gallico 2019-09-09 14:18:50 Scavadentro
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Scavadentro Opinione inserita da Scavadentro    09 Settembre, 2019
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Cronache di un mondo antico e moderno

Spesso ci dimentichiamo che la società contemporanea è figlia della storia. Ma non solo di quella recente, con le sue guerre e le sue tragedie, ma originata dal mondo antico greco e, per noi , soprattutto romano. In questo senso la figura di Giulio Cesare e della sua impresa gallica ci racconta una porzione del nostro passato sorprendentemente attuale e significativo. Il narrato non è semplicemente un resoconto più o meno fedele degli eventi bellici (si sa la storia la scrivono i vincitori) e non deve ingannare lo stile descrittivo e oggettivo che denota una mancanza di emozione o enfasi. Ciò che ci viene raccontato è una fase della costruzione dell'impero, nel contesto politico dell'epoca, delle resistenze si esterne (i popoli conquistati) ma anche degli equilibri senatoriali spesso avversi al detto Cesare, impegnato non solo a cercare la gloria, ma tramite essa imporsi a Roma, guidare un esercito di fedeli sempre più forte, concentrando sforzi economici a elevare il suo ruolo e la sua persona sino a raggiungere il potere assoluto. Alcuni critici hanno sottolineato la scarsità del fattore umano e l'aspetto cinico dello stile. A mio avviso traspare comunque da parte dell'autore un rispetto per i propri uomini e una risolutezza non comuni, anche a fronte di uccisioni di massa, eventi sanguinosi, battaglie contro un nemico terribile ma la cui sconfitta diviene meta, diviene elemento necessario non solo per la sopravvivenza dei romani impegnati nella guerra, ma salvacondotto per aprire le porte dell'Impero.

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De bello Gallico 2013-11-19 11:56:18 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    19 Novembre, 2013
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La guerra gallica

Il classico – con riferimento sia allo status del titolo, sia al periodo storico – ispira comunque una certa reverenza: se poi vi si innesta la frequentazione scolastica, anche se addolcita dal ricordo di parafrasi goliardiche, la reverenza suddetta si trasforma in diffidenza, micidiale reazione che ha fatto la sfortuna di numerosi libri. In questo caso, si aggiunge in più la maliziosa (ma vera) considerazione che la storia viene scritta sempre dai vincitori e quindi l’approccio al ‘De bello gallico’ non si rivela certo dei più facili: però la versione dei Galli non la sapremo mai, a far da contrappeso possono sempre servire le meravigliose avventure di Asterix, e questa è un’opera che merita assolutamente di essere letta. La sua fortuna, proprio dal punto di vista letterario, è che si tratti di ‘commentarii’, ovvero del racconto in breve differita dei fatti in qualcosa che sta a mezza via tra il diario e il rapporto da redarre per il senato: cronaca veloce, ficcante, non troppo meditata che – proprio per questo – finisce per trascinare il lettore a destra e a manca per un territorio vastissimo e, dal punto di vista romano, quasi sconosciuto. Le legioni di Cesare vanno dalle Alpi alla Britannia e dall’Atlantico alla Germania in un ossessivo rintuzzare l’agitazione di questa o quella fra le infinite tribù galliche o germaniche: un ritmo quasi concitato che si nota ancor di più quando si giunge all’ottavo libro, aggiunto postumo da Aulo Irzio senza riuscire a mantenere la stessa tensione narrativa. Il volume è un manuale di tattica militare – la rapidità e la sorpresa sono il credo di Cesare – ma anche una dettagliata testimonianza dell’ingegneria bellica romana (torri, terrapieni, valli ma anche un ‘genio pontieri’ che lascia a bocca aperta i nemici) e pure un tentativo di descrivere con la maggior fedeltà possibile gli usi dei vari popoli e le caratteristiche delle terre da loro abitate. In più, si racconta di come Cesare non fosse un comandante da ‘carne da cannone’, ma ci tenesse moltissimo ai propri uomini, specie i reparti più esperti, cercando di evitar loro rischi inutili: in compenso, però, chiedeva loro sacrifici ai limiti dell’umana resistenza tra marce forzate, condizioni climatiche sfavorevoli e, spesso e volentieri, battaglie e assedi contro un avversario forse un po’ disorganizzato ma fiero e ferocemente combattivo. I Galli vengono raffigurati come di grande valore sul campo di battaglia ma scarsi in tattica e, soprattutto, con una notevole tendenza a tradire la parola data, tanto che i Romani (Cesare ci tiene a mostrarsi magnanino col nemico) devono ritessere ogni poco la tela di alleanze che il primo capetto locale finisce presto per far saltare: l’arrivo in scena di Vercingetorige muta in parte questo quadro, ma anche il condottiero arverno - ispiratore di una tattica di ‘terra bruciata’ che, sulle prime, dà buoni frutti – deve fare i conti con questa incostanza. Tra Gergovia e Alesia si raggiunge l’acme dello scontro tra i due popoli: confronti all’arma bianca e cadaveri su cadaveri, fra i quali si contano innumerevoli le vittime civili, a testimonianza che la storia dell’umanità si è sempre scritta in buona parte con il sangue. Però la narrazione cesariana è precisa, nel limite del possibile non nasconde le difficoltà ed è, ovviamente, fondamentale per la nostra conoscenza dei fatti di quel periodo. Il tutto in uno stile, mirabile nella sua limpidezza e concisione, ulteriormente sottolineato dal colpo di genio del racconto in terza persona.

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De bello Gallico 2010-02-19 20:33:29 Minny
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Minny Opinione inserita da Minny    19 Febbraio, 2010
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Un capolavoro ritrovato

L'ho odiato di cuore per molti anni.
Sì, alle medie me ne dovetti leggere e tradurre un bel po':"Gallia omnis divisa est in partes tres , quarum unam incolunt ..." . Allora, che tedio! ( per non dire peggio, ossia che p....)
La professoressa ,implacabile, ci infliggeva un commento pedestre e lungo come la fame. La stessa sorte è toccata all'Eneidee alle Metamorfosi . Persino con Catullo al liceo, fummo torturati con un conteggio catastale dei "basia mille deinde centum " , a partire dall'Antologia Palatina.
A dire il vero Catullo, sublime poeta d'amore _ un must per ua diciottenne alle prese col primo amore- sfuggì all'ecatombe, ma gli sbadigli , almeno a lezione,furono proprio tanti.
Non sentivo per nulla il bisogno di rileggere il barboso "De bello gallico", ma ho cominciato a leggere la più che esaustiva introduzione , la bella traduzione ... e me lo sono letto d'un fiato.
Indubbiamente la scuola , almeno quella dei miei tempi, faceva odiare di cuore i classici, noiosi e pesanti come mattoni.
Ora invece mi sono completamente ricreduta .
La narrazione corre come un treno , lo stile è essenziale , scarno: lo ripeto , un testo che mi conciliava il sonno o mi faceva diventare rossa di rabbia ,ora l'ho letto d'un fiato.
Mi sono ricreduta da molti anni sull'Eneide, umiliata da un commento di una noia mortale. Ricordo una serie di lezioni sulla descrizione dello scudo di Enea con dettagliatissime note di commento. Che noia , che barba , che barba , che noia!
Ora sul "De bello Gallico ", una lettura che consiglio a tutti, soprattutto a chi , come me, è stao vessato a scuola da commenti soporiferi.

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questo grande testo alle medie : merita rileggerlo , è appassionante
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De bello Gallico 2009-11-02 08:23:30 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    02 Novembre, 2009
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Un generale scrittore

Gaius Iulius Caesar (Gaio Giulio Cesare) è probabilmente il personaggio romano più conosciuto e non solo per le sue indubbie qualità militari, ma anche come scrittore.

Ci ha lasciato due opere, fondamentali per comprendere una certa epoca: La guerra gallica e La guerra civile.

Il primo è senz’altro il testo più conosciuto, anche per motivi scolastici. Ricordo, anche se è passato molto tempo, che non era infrequente nei compiti in classe di latino la traduzione di brani del De bello gallico, circostanza del resto preferita dagli studenti, sia per la tematica che in un giovane appare più interessante, sia per l’essenzialità della scrittura di Cesare, meno complessa, per esempio, di quella di Cicerone.

Resta il fatto che essendo ormai un’opera classica, oggetto di studi scolastici, si tende a identificarla più come un libro di testo che non per quello che effettivamente è, e cioè la storia di un lungo e sanguinoso conflitto grazie al quale Roma, non ancora imperiale, sottomise definitivamente la Gallia.

Dalla lettura si può comprendere l’elevata cultura di Cesare che riesce a descrivere con minuziosità, ma senza essere greve, un’importante evento non solo bellico, ma anche politico.

Certo che la storia di un fatto narrata dallo stesso che ne è stato partecipe può sollevare più di un dubbio sull’attendibilità delle notizie fornite, ma non è questo il caso, perché il grande condottiero romano si dimostra per niente incline alla retorica, tracciando in modo semplice e scarno la cronologia degli eventi, tanto quasi da apparire un diario di bordo, ad uso e consumo del senato romano.

E’ un lavoro piuttosto lungo, diviso in 8 libri, scritto presumibilmente fra il 58 e il 50 a.C., corrispondente proprio al periodo in cui si svolsero i fatti. Nei primi sette libri, dettati ai suoi luogotenenti, Cesare ci fornisce un’attenta descrizione etnica e geografica non solo della Gallia, ma anche dei territori germanici prossimi al Reno e di quelli britannici. Si scopre così in lui un’attenzione e anche un rispetto per zone non propriamente romane e per le popolazioni che le abitano, circostanza che mi induce a pensare che l’uomo, e quindi non il console e generale, nutrisse anche ammirazione per questi nemici, il che però non gli impedì di farne strage. Questa lunga parte si conclude con la descrizione della battaglia di Alesia, in cui emerse fulgido il suo genio militare, e grazie alla quale, sconfitto Vercingetorige, re degli Averni e grande stratega, la campagna poté definirsi conclusa.

L’ottavo libro, che risulterebbe scritto dal fido Aulo Irzio, invece parla di fatti successivi alla guerra, come le spedizioni inviate a spegnere gli ultimi focolai di resistenza.

Il De bello gallico, scritto in terza persona, ebbe una funzione non solo diaristica, cioè di memoria, ma fu anche lo strumento con cui, in un equilibrio sostanziale fra fatti e descrizione degli stessi da chi vi fu coinvolto, Cesare difese la sua politica militare dall’avversione di larga parte del Senato che, non a torto, paventava un concreto pericolo per la sua autorità di fronte a questo generale di comprovate elevate capacità, riottoso ad obbedire alle direttive e animato da una grande ambizione.

La guerra gallica, in questa edizione dell’Editore Barbera comprensiva del testo latino a fronte, si avvale della eccellente traduzione di Lorenzo Montanari, che ha curato anche le indispensabili numerose note riportate alla fine dell’intera opera.

Se la prefazione di Anna Giordano Rampioni è breve, quasi essenziale, l’introduzione di Giovanni Cipriani e di Grazia Maria Masselli è assai più lunga, ma indispensabile per la comprensione dell’intero testo.

Sono in tutto tante pagine (oltre 600), ma si leggono quasi d’un fiato, a testimonianza delle qualità letterarie di Gaio Giulio Cesare, rivelatosi così, oltre che uomo di spada, uomo di penna.

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