Khantis l'egiziano
Letteratura italiana
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Filler in abbondanza, revisione assente
Mi dispiace sempre dover commentare in modo negativo un libro, ancor di più se è stato un regalo. In questo caso, devo ammettere di essermi approcciata al romanzo in questione senza alcuna informazione sull’autore o sulla trama, che va detto è praticamente irreperibile, anche online.
Dopo aver completato la lettura, posso quindi dire con cognizione che è molto difficile riassumere le vicende narrate. La causa non è però un intreccio particolarmente elaborato, bensì un trama zeppa di avvenimenti, che si avvicendano con una fretta quasi allarmante; si pensi per esempio al pittore Anen diventato in breve generale, oppure allo schiavo Khanus che in pochi mesi viene nominato Visir della città di Tebe.
Questo è solo il primo di innumerevoli problemi di questo romanzo, perché la narrazione non è solamente frettolosa, ma anche inconcludente: la missione affidata agli eroi occupa soltanto un minima parte del volume, mentre il resto dei capitoli è incentrato su fatti che non la riguardano affatto e sembrano quindi scritti solo per fare da riempitivo tra il momento in cui gli dei annunciano l’impresa e quello in cui questa viene finalmente compiuta.
Il romanzo mi ha anche messa in difficoltà per valutarne il genere dal momento che, pur avendo pretesa di romanzo d’avventura, fantastico e a sfondo storico, i protagonisti non fronteggiano mai delle vere e proprie sfide tali da metterli in difficoltà o in pericolo, perché tutto viene risolto senza problemi con l’intervento degli dei.
Passando quindi ai personaggi, essi dimostrano di essere estremamente bidimensionali, con i “buoni” che sono tali fino alla nausea e i “cattivi” primi della minima motivazione per le loro azioni, in particolare il villain principale (o che come tale viene presentato al lettore), Seth. La rapida narrazione inoltre non concede tempo per valutare i sentimenti dei personaggi, pertanto le reazioni tra queste si instaurano per ordine dell’autore, in modo istantaneo e solo al fine di far procedere la trama.
In mezzo a tante (troppe?) critiche, vorrei segnalare l’unico aspetto da me apprezzato, seppur solo in parte. Risulta evidente che Foini è un grande conoscitore degli aspetti prettamente storici del romanzo; dai molti nomi delle divinità egizie ai vari faraoni e le rispettive consorti, dai luoghi come le Case della Vita e della Morte alle fasi dell’imbalsamazione. Anche in questo caso, l’autore commette tre grossolani errori: innanzitutto ripete i vari titoli in continuazione, come nel timore che il lettore li dimentichi dopo poche righe, secondariamente dimostra in più occasioni una grande ingenuità, associando i suoi personaggi a determinate azioni. A mio avviso, pare un po’ strano che il medico di corte impieghi la sua giornata per la cura di semplici cittadini o, addirittura, schiavi; il Faraone Amenofi sembra invece perfettamente a suo agio nell’avere al suo fianco l’uomo che sa essere l’amante della moglie, a dispetto della sua posizione e del ruolo che ricopre. Infine, credo sarebbe stata una scelta migliore inserire qualche nota chiarificatrice a fondo pagina, dal momento che molti nomi non vengono spiegati nel testo.
Lo stile dell’autore da’ il colpo di grazia al romanzo, con la sua acerbezza quasi infantile, l’alternarsi senza logica di imperfetto e passato remoto e con la mancanza di punti e lettere. Le virgole sole si meriterebbero un commento a parte: sembra che siano state disposte alla rinfusa a opera completata. Temo che l’editore non abbia svolto nessun lavoro di revisione, dal momento che ogni capitolo contiene almeno una dozzina di errori.
Per concludere, una considerazione sul titolo: perché Khantis, se è solo un comprimario? e perché l’egiziano, se lo sono quasi tutti?