Matilde Serao
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Recensione della Redazione QLibri
Introduzione alla lettura di Matilde Serao
L'Uomo dopo aver letto “Mastro Don Gesualdo” non resiste alla tentazione di approfondire questo autore che come una epifania gli ha svelato un mondo dimenticato e sconosciuto, uno stile asciutto ma penetrante e così decide di leggere altre opere e rimane così incantato ed estasiato che al sentire della presenza di una grande fiera di libri vecchi e antichi in una grande fortezza della città vicina decide di andare a fare una capatina, giusto per non girare sempre tra le copertine patinate e i nuovi ebook in promozione, ma per respirare quell'odore strano di libri antichi o solo vecchi e incontrare improbabili librai che tra un milione di parole e l'altro riescono a tirare fuori dai loro banchi, in un ordine che a solo loro come una alchimia arcana riescono a comprendere, il libro desiderato ancora prima che il desiderio si palesi alla coscienza del lettore.
Sarà l'assidua attenzione che l'Uomo ripone sui libri di Verga, sarà che certi librai capiscono tutto dalla fisionomia, sarà il caso, fatto sta che un omino si stacca da un capannello di persone e prende posto al suo banco orfano da tanto, forse troppo tempo; osserva l'Uomo, gli si avvicina e comincia a dare un apparente ordine ai volumi, toccandoli con lievità e con attenzione; l'Uomo si scosta, in un movimento spontaneo e dà al libraio il la per iniziare a parlare, a tirare fuori libri da tutte le parti e a poco valgono i vani tentativi di fermarlo, ormai la fontana è aperta e i volumi zampillano non si da dove, pare impossibile che quel banchetto possa contenerne tanti; è tra questo lago di libri che ha aggiunto un nuovo ordine a quello già incomprensibile presente sul banco che compare un vecchio libro su cui è solo presente un nome: Matilde Serao.
Il libretto è di quelli vecchi, con la copertina in pelle, la costa rotta, ma le pagine seppur ingiallite e piene di fioriture sono leggibili, quasi preso da una illuminazione l'Uomo lo prende tra le mani e inizia a leggere: “ 1. Bisogna sventrare Napoli. Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, Onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve sapere tutto.”
Il libraio si compiace di se stesso per aver accontentato il cliente e lo osserva nella lettura e ancora prima che l'Uomo possa togliere gli occhi dalle vecchie pagine l'omino si materializza davanti a lui coperto di altri libri almeno fino al naso che fa capolino da quella pila...tutti i libri che è riuscito a trovare nei banchi dei colleghi scritti da Matilde Serao sono sulle sue braccia pronti per essere acquistati e poi letti.
Fin dalle prime pagine tutta la potenza della Serao si sprigiona, quel suo modo così diretto e dissacrante di rivolgersi ai politici, di svelare ciò che deve essere nascosto.
Salutato il librario, che si dilunga in articolate descrizioni di opere d'arte di sconosciuti artisti locali ai quali ha la fortuna di fare da mentore e riempita la borsa, oltre che di libri, di depliant, cataloghi e programmi di incontri culturali in ogni dove, l'Uomo riprende la via per la stazione assaporando già il dondolio che lo porterà a casa.
Sul quel treno decide di leggere uno degli innumerevoli racconti, gli cade l'occhio su uno in particolare “La fioraia”; lo inizia con quasi un sorriso generato dall'immagine allegra e spensierata che il titolo richiama, lo conclude con una stratta alla gola, un senso di ingiustizia, un magone allo stomaco che non riesce a decifrare, una sola cosa vuol fare, conoscere la vita di questa donna, colmare una lacuna per troppo tempo presente nella sua vita!
Invece di tornare a casa decide di andare in biblioteca, perché, sembrerà strano, ma il piccolo libraio non aveva inserito nella borsa nessuna biografia, nessun saggio critico, ma solo volumi originali sui quali non è presente alcun cenno biografico.
I lunghi corridoi gli si dipanano davanti fino al libro tanto cercato.
“Matilde Serao nasce a Patrasso nel 1856”, la memoria dell'Uomo corre ad una data che ha letto poc'anzi in calce a “Il ventre di Napoli” - 1884 -; questo vuol dire che questa donna, quando ha scritto quelle parole così piene di forza, così paurose nella loro veridicità, così pericolose nella loro sfrontatezza aveva ventotto anni, sette in meno di quanti ne abbia egli adesso; quanto poteva essere vera una donna alla fine dell'ottocento, quanto poteva essere forte, quanta femminilità esisteva in essa, anche se priva della grazia, della bellezza, dell'eleganza.
Nel 1884 le donne non potevano votare, non erano avvezze ad esprimere le proprie opinioni; nel 1884 le donne dovevano pensare a maritarsi e a figliare; Matilde Serao si occupa di politica, scrive un reportage nel ventre di Napoli da far invidia ai maschi più virili, ai giornalisti più scafati; a tutti coloro che nascondono la testa sotto l'immondizia di cui, fin da allora, era coperta Napoli, Matilde prende il collo e tira fuori il capo e costringe a guardare.
“Respira fin da piccola l'aria del giornale, suo padre Francesco infatti, oltre ad essere un avvocato, è anche giornalista, ma la piccola Matilde non è una alunna modello, anzi, imparerà a scrivere ad otto anni,”- allora c'è speranza per tutti, pensa l'Uomo ricordando quando ancora piccolo consigliarono a sua madre di dargli l'insegnante di sostegno - “ma la passione per l'inchiesta, quegli odori respirati quando ancora il conscio e l'inconscio sono un tutt'uno le si erano così cuciti addosso da non essere più qualcosa di diverso da lei stessa, così a quindici anni si diploma, diviene maestra e poco dopo inizia a collaborare, nel tempo libero, con alcune redazioni. Per qualunque altra persona questo sarebbe stato sufficiente, non per Matilde, ella aveva un fuoco dentro, una missione, uno scopo: la scrittura doveva diventare la sua professione e il suo tempo essere assorbito in tutto e per tutto da essa. Va a Roma, collabora con giornali locali e scrive, scrive, scrive, pubblica “Fantasia”, che non trova i favori della critica. Scarfoglio scrive: poco stile, poca ricchezza nel lessico, troppi modi di dire, insomma una minestra fatta di avanzi.
Matilde quest'uomo così pieno di sé, così imperioso nel suo giudizio, finisce per sposarselo e per coronare quel suo desiderio, essere un tutt'uno con la sua passione, ci fonda un giornale: Il Corriere di Roma.
Non ebbe successo, troppa concorrenza, troppa vita sociale e altolocata, troppa la lontananza da casa. Come anni prima fuggì da Napoli alla ricerca di nuove strade, nel 1887 ritorna al suo mare, ai suoi vicoli, alle sue origini e dopo molte vicissitudini, col marito fonda “Il Mattino” e questo è l'apice della sua vita, la vetta da cui domina il suo passato, ma purtroppo anche il suo futuro, poiché dopo sarà discesa, saranno delusioni, sarà tradimento e avvilimento, la separazione dal marito, le calunnie sul suo conto, la povertà, vecchia amica ritrovata.
Solo dopo qualche anno un po' di felicità tornerà a far breccia nella sua vita, Giuseppe Natale altro giornalista la prenderà in moglie e riaccenderà quel fuoco mai spento, fonderanno insieme “Il Giorno” e Matilde scriverà scriverà, perché nient'altro le darà tanto piacere, niente potrà farla sentire completa, realizzata, morirà colta da un infarto sul tavolo intenta nella morte a fare ciò che per tutta la vita aveva guidato la sua mano: scrivere”
Una sirena distoglie l'Uomo dal libro, la biblioteca chiude, è ora di tornare a casa, più ricco, più emozionato di come era partito, con una nuova vita da vivere, nuovi scorci da vedere, nuove avventure da immaginare.