Grazia Deledda
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Recensione della Redazione QLibri
Introduzione alla lettura di Grazia Deledda
Quella mattina le campane suovano a morto e i rintocchi portavano una sensazione di pace e di allegria, perché il dolore non poteva soffocare la forza di quella vita che aveva infine deciso di estinguersi.
Pochi giorni prima le sue condizioni era peggiorate, malato da tempo aveva lottato con tutte le sue forze, credendo a ciò che quel giovane dottore pieno di entusismo gli pormetteva; entrambi sapevano che il nemico da sconfiggere era troppo forte, ma ad entrambi piaceva credere che insieme ci sarebbero riusciti o che almeno lo avrebbero ingannato.
Giorgio era troppo intelligente per non sapere che la fine era vicina, che la sua forza lo stava abbandonando, ma non riusciva a crederlo possibile, sua madre, suo padre molti dei suoi fratelli se ne erano già andati, ma gli sembrava impossibile che tuta la sua vita, tutto il suo patrimonio, immobiliare e non, potesse rimanere ad altri, foss'anche suo figlio.
Quando andava a trovarlo, capitava spesso dopo la visita di quel dottore, lo trovava sempre seduto sulla sua poltrona, con il giornale onnipresente sul letto, una penna e una risma di fogli sulla scrivania e una pila di libri in molte lingue diverse sul comodino.
Amava scrivere, a tutti, agli amici lontani, ai genitori morti, a suo figlio, a se stesso e amava leggere, amava i libri; infatti la sua grande casa era inondata di volumi, ce n'era ovunque, negli armadi, nelle scatole, nelle cassapanche, libri di pregio, libri da poco, titoli impegantivi insieme a autori sconosciuti e di dubbia qualità, edizioni rare che ne sostenevano dozzinali comprate forse in edicola, come dei cuccioli abbandonati che avessero trovato riparo in quella grande e confusionaria casa, che assomigliava molto all'antro di mago Merlino.
Giorgio amava regalare i propri libri, a chiunque dimostrasse amore per la letteratura e se dopo una chiaccherata riusciva a cogliere quella passione allora iniziava a parlare di ciò che aveva letto, degli autori che, in gioventù aveva conosciuto e spesso la sua vita irrompeva violenta e i racconti della sua Sardegna si coloravano d'ambra e dai comodini uscivano dagherrotipi che ritraevano avi briganti che non davano certo lustro alla famiglia, ma permettvano di stendere un velo quasi di mito sulla sua storia.
Il contrasto tra i racconti e i grandi respiri ai quali il suo cuore malandato lo costringevano creava in chi gli sedeva accanto un misto di tristezza e di malinconia e il pensiero non poteva non correre a Mastro Don Gesualdo, a quegli anni in cui un pezzo di terra valeva più di qualunque altra cosa.
Una volta, durante una visita, capitò che Giorgio gli regalasse un'edizione dei Malavoglia illustrata a cui teneva molto e fu in quell'occasione che la similitudine uscì fuori dalla sua mente e si palesò a Giorgio, il quale con quegli occhi furbi e intelligenti non esitò a chiedere se capisse la differenza tra la Sicilia e la Sardegna, quelle due terre, diceva, hanno in comune solo l'essere un'isola.
Egli era Sardo e se un provincialotto del nord come lui non ne capiva la differenza che si leggesse la Deledda.
Fu così che prese un campanaccio, quello che indossano le mucche e cominciò a farlo risuonare; poco dopo arrivò Danilo, suo figlio che con fare alquanto seccato chiese che cosa volesse ancora ed egli gli chiese, anzi gli ordinò di andare a prendere l'opera omnia della Deledda poiché voleva farne dono a questo suo gradito ospite.
Danilo tornò con quattro polverosi volumi, la cui candida copertina era divenuta grigia e le pagine piene di fioriture e macchie del tempo che emanavano, al loro sfogliare, un profumo antico, una sensazione di pace che Giorgio volle paragonare alla sua Sardegna.
Solo leggendo questi testi capirai il mio mondo e solo dopo spero potremmo discuterne.. non ci fu tempo, la morte lo colse qualche giorno dopo, ma quei rintocchi, pur annunciando un funerale, non potevano non portare con sè l'eredità di un uomo che aveva vissuto a pieno la propria vita, senza compromessi e con una cultura che non può non arricchire.
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Grazia Deledda oggi
Ciò che colpisce varcando la soglia di una qualsiasi libreria italiana è la quasi totale assenza di titoli di Grazia Deledda ad eccezione di “Canne al vento”.
E' impossibile non chiedersi quali siano le scelte che guidano il mondo editoriale.
Siamo al cospetto di un'autrice che ha segnato un pezzo di storia della letteratura, penna prolifica che ci ha lasciato in eredità una ampia produzione, insignita del Premio Nobel nel 1926.
Donna dai tratti ruvidi, figlia di una terra che sarà lo sfondo di tutti i suoi racconti, culla di tradizioni ataviche e radicate nei cuori.
La penna di Grazia parlerà sempre di una terra aspra e selvaggia e del microcosmo umano che la calpesta, regalandoci storie ed immagini indelebili, capaci di assurgere a storie dell'umanità intera.
Ad eccezione di due romanzi di cui Mondadori continua la pubblicazione, per accedere alla restante produzione dell'autrice occorre consultare i cataloghi de Il Maestrale e Ilisso, unici editori che ancora oggi propongono opere della Deledda.
Le letture scelte per ricordare questa esimia penna e per invitarne alla lettura sono:
“Cenere”
“Elias Portolu”
“La madre”
“La chiesa della solitudine”
“Marianna Sirca”
“Annalena Bilsini”