Bianca la rossa
Saggistica
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Mi è piaciuto il fare
Diceva una cara amica che i libri che vengono scritti possono essere un grande regalo per chi li legge. A me, che ho cominciato a scrivere da pensionata perché la scrittura (in modo particolare l’autobiografia) mi era sempre parsa una sorta di frivolezza, il libro di Bianca Guidetti Serra è apparso proprio un regalo e dico subito perché. A voler sintetizzare il pensiero in poche parole, direi che in mezzo a tanti avvenimenti politici scoraggianti perché sprovvisti di uno spessore minimo di dignità, questo libro ha la capacità di far scorrere sotto gli occhi i non pochi eventi positivi, le tante conquiste che sono state realizzate nel tessuto sociale di questo paese negli ultimi cinquant’anni. E a ricordarli al lettore non è un’osservatrice ben documentata ma una persona che spesso ha contribuito alla loro realizzazione. E’ appunto proprio questo l’elemento più qualificante del libro e in proposito mi sento anche di dire che un’autobiografia ha tanto più ragione di essere scritta, quanto meno la personalità di chi scrive si ricava uno spazio proprio nei confronti dei fatti che vengono raccontati, quanto più cioè si inserisce come elemento che trova la sua ragione d’essere proprio nelle dinamiche dei fatti stessi. Fin dall’inizio del libro, nella premessa, sappiamo che i fatti più personali e privati saranno lasciati da parte. E’ una scelta non secondaria e lo conferma il carattere “riservato” di questa scrittura che non a caso è quasi ”neutra” , cioè lontana da uno stile che potrebbe essere definito come “femminile”. E ancora non a caso si rivela lontana dal femminismo della “differenza” la pur intensa partecipazione ai problemi della questione femminile alle cui vicende Bianca Guidetti Serra ha dato il suo contributo. Questa parte dedicata alle donne è molto interessante e mi trova d’accordo su parecchie cose. Per esempio sul fatto che la posizione delle femministe attuali tende ad essere elitaria e che in certe posizioni, in certi scritti, sembra diventare particolarmente sfuggente l’attenzione ai condizionamenti sociali e a quanto abbiano contato e contino tutt’ora. E trovo anch’io ozioso un certo “separatismo” in funzione di contrapposizione al mondo maschile. Perciò mi piace la correzione proposta da Bianca alla manifestazione della Regione Piemonte al Lingotto nel 2006: non “più donne per contare di più”, ma “più donne per contare meglio”: dizione migliorativa di un’affermazione che pure ha il suo valore. Sarebbe stato semmai opportuno soffermarsi, nel libro, su quello che è stato da parte del femminismo il passo avanti fatto nella elaborazione della “differenza”, nel senso che il discorso dell’uguaglianza rimane astratto se non si considera che esiste una differenza, biologica e culturale, che vale come identità e solo se è riconosciuta come tale, rende davvero attivo il diritto all’uguaglianza. Comunque, c’è in tutte queste pagine sulle donne un tale spirito di compartecipazione che osservazioni critiche come quella che ho fatto, risultano nell’insieme di un’importanza marginale. Elemento questo della compartecipazione che è del resto una costante in questo libro, qualunque sia il terreno dell’impegno come avvocata, lotte operaie, brigate rosse, problemi dell’infanzia abbandonata e via dicendo. Una presenza che evidenzia immediatamente a chi legge una forte carica di umanità. Mi riferisco in particolare al capitolo sulla banda Cavallero e a quello in cui si ricorda affettuosamente l’amicizia con Primo Levi. Una sintonia tutta personale ho trovato con quanto l’autrice esprime nell’ultimo capitolo “Mi è piaciuto il fare”, non tanto perché “le parole sono più volatili e possono essere piegate a fini diversi”, osservazione facilmente condivisibile, ma soprattutto perché credo che le parole cambino la realtà meno delle azioni, anche piccole e di modesta portata, che si possono compiere, inserendosi in situazioni dove il contributo di un operato umano può servire a rendere meno pesante, meno ingiusta e più tollerabile una condizione, qualunque essa sia.