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La presentazione e le recensioni di Bianca la rossa, saggio di Bianca Guidetti Serra e Santina Mobiglia edito da Einaudi. Bianca Guidetti Serra è protagonista - e testimone insieme - della storia d'Italia novecentesca nei suoi momenti cruciali: dalla Resistenza (condivisa con gli amici Primo Levi, Ada Gobetti, le migliaia di donne dei «Gruppi di difesa» istituiti insieme ad Ada a Torino), alla militanza nel Partito comunista e poi alla fuoriuscita nel 1956 in seguito ai fatti d'Ungheria. Fino alla scelta di perseguire l'impegno sociale attraverso la professione di avvocato penalista, prerogativa all'epoca di poche donne. Sono gli anni delle battaglie giudiziarie in difesa dei diritti dei lavoratori, delle donne e anche della tutela dell'infanzia. Ricalcando le tappe che hanno segnato il secolo, con i nuovi movimenti nati dal '68 sino agli anni di Piombo, l'autrice rievoca episodi clamorosi in cui ha svolto un ruolo di primo piano: dalla vicenda della Banda Cavallero al grande processo di Torino alle Brigate Rosse. È uno sguardo inedito su quegli eventi vissuti in prima persona: la revoca del collegio dei difensori da parte dei capi storici delle Br e l'emergenza processuale, l'omicidio del presidente dell'Ordine, Fulvio Croce (incontrato poche ore prima), la rivendicazione «in diretta» dell'omicidio di Moro nei proclami dei brigatisti. Pagine di storia. Come lo sono del resto anche le cronache dal vivo dei processi contro le «fabbriche della morte» a difesa dell'ambiente e della salute: dall'Ipca di Ciriè all'Eternit di Casale Monferrato. «Mi è piaciuto il fare» confessa l'autrice nelle note conclusive del libro a suggello di un impegno nella salvaguardia dei valori civili e delle scelte democratiche durato tutta una vita.



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Bianca la rossa 2009-08-01 18:45:22 Paola Galli
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Opinione inserita da Paola Galli    01 Agosto, 2009

Mi è piaciuto il fare

Diceva una cara amica che i libri che vengono scritti possono essere un grande regalo per chi li legge. A me, che ho cominciato a scrivere da pensionata perché la scrittura (in modo particolare l’autobiografia) mi era sempre parsa una sorta di frivolezza, il libro di Bianca Guidetti Serra è apparso proprio un regalo e dico subito perché. A voler sintetizzare il pensiero in poche parole, direi che in mezzo a tanti avvenimenti politici scoraggianti perché sprovvisti di uno spessore minimo di dignità, questo libro ha la capacità di far scorrere sotto gli occhi i non pochi eventi positivi, le tante conquiste che sono state realizzate nel tessuto sociale di questo paese negli ultimi cinquant’anni. E a ricordarli al lettore non è un’osservatrice ben documentata ma una persona che spesso ha contribuito alla loro realizzazione. E’ appunto proprio questo l’elemento più qualificante del libro e in proposito mi sento anche di dire che un’autobiografia ha tanto più ragione di essere scritta, quanto meno la personalità di chi scrive si ricava uno spazio proprio nei confronti dei fatti che vengono raccontati, quanto più cioè si inserisce come elemento che trova la sua ragione d’essere proprio nelle dinamiche dei fatti stessi. Fin dall’inizio del libro, nella premessa, sappiamo che i fatti più personali e privati saranno lasciati da parte. E’ una scelta non secondaria e lo conferma il carattere “riservato” di questa scrittura che non a caso è quasi ”neutra” , cioè lontana da uno stile che potrebbe essere definito come “femminile”. E ancora non a caso si rivela lontana dal femminismo della “differenza” la pur intensa partecipazione ai problemi della questione femminile alle cui vicende Bianca Guidetti Serra ha dato il suo contributo. Questa parte dedicata alle donne è molto interessante e mi trova d’accordo su parecchie cose. Per esempio sul fatto che la posizione delle femministe attuali tende ad essere elitaria e che in certe posizioni, in certi scritti, sembra diventare particolarmente sfuggente l’attenzione ai condizionamenti sociali e a quanto abbiano contato e contino tutt’ora. E trovo anch’io ozioso un certo “separatismo” in funzione di contrapposizione al mondo maschile. Perciò mi piace la correzione proposta da Bianca alla manifestazione della Regione Piemonte al Lingotto nel 2006: non “più donne per contare di più”, ma “più donne per contare meglio”: dizione migliorativa di un’affermazione che pure ha il suo valore. Sarebbe stato semmai opportuno soffermarsi, nel libro, su quello che è stato da parte del femminismo il passo avanti fatto nella elaborazione della “differenza”, nel senso che il discorso dell’uguaglianza rimane astratto se non si considera che esiste una differenza, biologica e culturale, che vale come identità e solo se è riconosciuta come tale, rende davvero attivo il diritto all’uguaglianza. Comunque, c’è in tutte queste pagine sulle donne un tale spirito di compartecipazione che osservazioni critiche come quella che ho fatto, risultano nell’insieme di un’importanza marginale. Elemento questo della compartecipazione che è del resto una costante in questo libro, qualunque sia il terreno dell’impegno come avvocata, lotte operaie, brigate rosse, problemi dell’infanzia abbandonata e via dicendo. Una presenza che evidenzia immediatamente a chi legge una forte carica di umanità. Mi riferisco in particolare al capitolo sulla banda Cavallero e a quello in cui si ricorda affettuosamente l’amicizia con Primo Levi. Una sintonia tutta personale ho trovato con quanto l’autrice esprime nell’ultimo capitolo “Mi è piaciuto il fare”, non tanto perché “le parole sono più volatili e possono essere piegate a fini diversi”, osservazione facilmente condivisibile, ma soprattutto perché credo che le parole cambino la realtà meno delle azioni, anche piccole e di modesta portata, che si possono compiere, inserendosi in situazioni dove il contributo di un operato umano può servire a rendere meno pesante, meno ingiusta e più tollerabile una condizione, qualunque essa sia.

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