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Una pantera sul tappeto verde
Il nomignolo di pantera, utilizzato anche nel linguaggio corrente, è stato affibbiato a diversi personaggi del mondo dello spettacolo: per sottolinearne movenze feline ed eleganti, per connotarne ora l’aggressività, ora la sensualità, ora l’alone di mistero che le avvolge.
Stefano Benni cavalca quest’onda semantica e dipinge la storia di una donna dal passato sofferto, calando l’icona della “Pantera”… in una sala da biliardo: “L’Accademia dei Tre Principi era un vasto sotterraneo scavato un secolo prima… C’erano quarantatré laghi di smeraldo, illuminati da una luce fredda, quarantatré biliardi di marca… Tombe intorno alle quali un’umanità malinconica e disillusa consumava i suoi rimpianti”.
La narrazione è affidata a un ragazzo (“Io e Delon eravamo i garçons tuttofare”) che, con occhi ammirati, vede oggetti (“I Principi erano tre biliardi a fondo sala”: Azzurro, Nero e Maggiore), soggetti con pseudonimi evocativi (Faraone, Tamarindo, Mummia, i fratelli Bandiera…), giochi (“Alcuni avevano come specialità la carambola, altri la goriziana, altri il biliardo americano o la piramide russa”) e misteri del locale (cosa mai si celerà dietro la Porta Verde sempre chiusa?).
Naturalmente il ragazzo viene folgorato dall’apparizione di Pantera (“Snella, flessuosa, pallida”), che ben presto diviene la guest star della sceneggiata (“Si allungò sul biliardo con felina leggerezza, e colpì, un colpo infernale, di tre sponde”). Le gesta vittoriose della donna si susseguono. Poi arriva lui, l’inglese, l’uomo della sfida culminante e conclusiva: “Se Pantera era la nera principessa, lui era il cavaliere bianco… gli occhi di colore diverso, uno azzurro e uno grigio…” (ma non è la descrizione di David Bowie? Ah no! Quello è duca, non principe…).
A questo punto, il lettore si sente croupier e ammonisce: messieurs-dames, les jeux sont faits, rien ne va plus!
Il finale è drammatico, i due antagonisti giocano una partita che ha i meccanismi più del poker che del biliardo, una gara senza (o con?) esclusioni di colpi, un duello carico di allegorie (“Cerchiamo di dimenticare giocando che c’è un gioco più grande di noi”) e di tensione (“Ci sono partite che si giocano una volta sola”).
Nel volumetto c’è un altro racconto, Aixi: la triste storia di una bambina pescatrice, alle prese con un padre moribondo…
L’abilità narrativa di Benni consiste nel creare suggestioni sfruttando i “topoi” dell’immaginario collettivo, che qui viene trasfuso rispettivamente negli ambienti del gioco e del mare. Le illustrazioni in bianco e nero di Luca Ralli materializzano queste evocazioni: personalmente avrei preferito affidare il compito alla mia fantasia...
Bruno Elpis