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Noi, ragazzi dello zoo di Bristol
La “Storia d’amore e perdizione” raccontata da Melvin Burgess coinvolge David, detto Tar, e Gemma.
Hanno quattordici anni: Tar ha temperamento artistico (“In mezzo all’erba c’erano i denti-di-leone. Tar ci ha detto di quello che aveva dipinto…”), ma è figlio di genitori alcolizzati e violenti; Gemma è curiosa, vivace e irrequieta.
Quando Tar viene percosso ancora dal padre, perché cerca di difendere la mamma, non ci sono più esitazioni: fugge a Bristol, ove viene ospitato nella casa occupata da alcuni anarchici (Richard e Vonny) che, pur vivendo alla bohemienne, dimostrano di avere valori (“Avevo la sensazione che fosse importante rispedirla a casa prima che decollasse”) e obiettivi.
Lì lo raggiunge Gemma, per sfuggire alle imposizioni di genitori che intuiscono la sua propensione alla trasgressione (“Ti vogliamo bene, Gemma. So che abbiamo fatto degli errori… Ma era solo una trappola”).
La libertà della vita di strada trascende ben presto. Contro il parere degli amici anarchici, Tar e Gemma si stabiliscono in un altro covo presso due coetanei: l’eccentrica Lily e il compagno Rob, che già sono eroinomani e vivono di espedienti. Gemma si lascia attrarre dalla curiosità di provare un’esperienza nuova (“A volte, forse, hai bisogno di un’esperienza. Può essere una persona, o può essere una droga”), Tar – succube dell’innamorata – la segue a ruota. L’iniziale convinzione di onnipotenza (posso smettere quando voglio) viene naturalmente travolta dalla meccanica indotta dagli stupefacenti.
Le vicende successive sono le consuete tappe: l’intensificarsi delle dosi, l’assuefazione, il ricorso ad abietti metodi per procurarsi l’eroina, lo spaccio, la progressiva discesa verso l’inferno, che neppure l’arrivo di un figlio – quello di Lily – riesce a interrompere.
Mentre lo spettro della morte per overdose comincia ad aleggiare sul gruppo, ogni tentativo di “ripulirsi” è destinato al fallimento (“In un certo senso, ci contagiamo l’un l’altro”).
L’epilogo, dopo oltre tre anni di randagismo fuori legge, è variegato per i protagonisti (“Devi trovare un aiuto esterno. Non dev’essere per forza una persona, o un’organizzazione. Qualcosa di più profondo. Una forza esterna più forte di te, alla quale rivolgerti quando ti senti debole”) e la love story tra i protagonisti non ha uno sbocco univoco.
Ogni paragrafo viene narrato dai diversi personaggi, secondo un pdv mobile che consente di oggettivare la storia attraverso il racconto corale di più soggetti. Le citazioni di versi di punk band (The Only Ones, The Buzzocks…) contribuiscono a diffondere l’atmosfera culturale di sottofondo, recitata con espressioni che vorrebbero essere evocative (“Ecco cos’era, ero finita dritta in orbita”) e suggestive (“Tornando a casa, volava come un aquilone”).
Nihil sub sole novi, direbbero i latini. Nulla di nuovo, se non le ulteriori riflessioni che il lettore può ancora articolare su esperienze disperate che derivano dall’illusione di poter risolvere problemi personali e/o sociali attraverso paradisi artificiali che in realtà nascondono l’inferno della schiavitù e dell’annullamento di ogni volontà.
Bruno Elpis