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La peste
 
La peste 2015-09-07 06:07:36 Bruno Elpis
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Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
3.0
Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    07 Settembre, 2015
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Tutti sanno che è scomparsa

Curiosamente, ho riletto “La peste” di Albert Camus proprio mentre mio figlio stringeva i tempi per sostenere l’esame di microbiologia. Naturalmente, gli ho domandato se i programmi di Medicina contemplano ancora lo studio della peste (“È impossibile, tutti sanno che è scomparsa dall’Occidente”). Ne ho ricevuto in cambio risposte che contemplavano non soltanto eziologia del morbo e sintomatologia (“Pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati”), ma anche modalità di diagnosi (“Si dichiari lo stato di peste. La città sia chiusa”) e terapie (“Lei sa… che il distretto non ha il siero?”).

Che la pestilenza sia veicolata dai ratti è un fatto noto (“La mattina del 16 aprile il dottor Bernard Rieux, uscendo dal suo studio, inciampò in un sorcio morto, in mezzo al pianerottolo”), e Camus – in quest’opera potentemente allegorica (“Ci sono sulla terra flagelli e vittime… bisogna, per quanto è possibile, rifiutarsi di essere col flagello”) – immagina che così scoppi l’epidemia a Orano, che ben presto diviene anfiteatro della tragedia (“Questa città senza pittoresco, senza vegetazione e senz’anima finisce col sembrare riposante, e vi ci si addormenta. Ma è giusto aggiungere ch’essa è inserita in un paesaggio impareggiabile, nel mezzo di un pianoro spoglio, circondato da luminose colline, davanti a una baia di perfetto disegno”) proprio come Tebe ai tempi di Edipo.

Sul coro dei malati si stagliano alcune individualità nelle quali Camus rappresenta come gli uomini rispondano diversamente al medesimo stimolo: chi – come il medico Rieux - con l’impegno umanitario (“Non ho inclinazione, credo, per l’eroismo e la santità. Essere un uomo, questo m’interessa”) ad onta del pericolo (“Ma il lavoro può essere mortale, lei lo sa”); chi – come Tarrou (“L’opinione di un altro testimone. Jean Tarrou… si era stabilito a Orano alcune settimane prima e alloggiava da allora in un grande albergo del centro”) - con la collaborazione e con l’attivismo (“Io ho un progetto d’organizzazione di squadre sanitarie di volontari”); chi con la burocrazia (il funzionario Grand “non arrivava a credere che la peste potesse veramente stabilirsi in una città dove si potevano trovare dei modesti funzionari dediti a onorevoli manie”) e con la reazione (“La pensava come lui, che un mondo senz’amore era come un mondo morto e che viene sempre un’ora in cui ci si stanca delle prigioni, del lavoro e del coraggio, per domandare il viso d’una creatura e il cuore meravigliato dall’affetto”) artistica (“Il dottore lo sfogliò e capì che tutte quelle pagine non contenevano che la stessa frase, all’infinito ricopiata, rimaneggiata, arricchita o impoverita”); chi – come Cottard - con l’opportunismo (“La peste gli serve bene; d’un uomo solitario e che non lo voleva essere, ha fatto un complice”); chi – come padre Paneloux – con la fede; chi – come il giornalista Rambert - con il desiderio di fuga e l’illusione di poter scegliere (“Alcuni di loro, come Rambert, arrivarono persino a immaginare… di agire ancora da uomini liberi, di poter ancora scegliere”).

Le ultime cinquanta pagine del romanzo premiano chi ha “resistito e sopportato” duecento pagine di descrizioni angosciose.
Qui Camus scrive pagine indimenticabili sull’amicizia che si instaura tra due protagonisti, il medico Rieux e Jean Tarrou (“Il dottore… domandò se Tarrou avesse un’idea della strada da prendere per arrivare alla pace. «Sì, la simpatia»”); qui Camus rivela l’identità del misterioso narratore (“La nostra cronaca volge alla fine. È tempo che il … confessi di essere l’autore”); qui Camus sorprende (“Un pazzo spara sulla folla”) e, per contagio (“Io soffrivo della peste molto prima di conoscere questa città e questa malattia”), ci ricorda di essere l’autore de “Lo straniero” (“Ho creduto che la società in cui vivevo fosse fondata sulla condanna a morte e che, combattendola, avrei combattuto l’assassino” … “Dal momento in cui ho rinunciato a uccidere mi sono condannato a un definitivo esilio”).

Bruno Elpis

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Commenti

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Ciao Bruno.
Complimenti per la bella recensione e per avuto la voglia di rileggere questo libro.
A me esso ha lasciato una sensazione di angoscia e di pessimismo che, pur essendo consapevole della rilevante portata letteraria, ancora lo associo ad un'idea di scarsa piacevolezza di lettura (forse ero troppo giovane quando l'ho affrontato).
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
07 Settembre, 2015
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Io l'ho letto secoli fa e dovrei seguire il tuo esempio. Ma all'epoca mi era piaciuto molto.
Complimenti, Bruno, per la bellissima analisi. Camus non è affatto facile...
siti
07 Settembre, 2015
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Inimitabile Bruno!! Proprio bella bella questa recensione e mi trovi d'accordo sulla valutazione della piacevolezza, eppure che potere queste opere: si imprimono sul sentire individuale, nel quotidiano, e vengono prima o poi in mente, in certe occasioni...almeno a me capita questo.Ciao
Grazie a tutti per i vostri commenti! :-)
Sì, l'autore non è facile, ma - come dice Laura - s'imprime!
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