Narrativa straniera Romanzi Ricordi dal sottosuolo
 

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Ricordi dal sottosuolo

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Uscito a puntate, nel 1865, sulla rivista "Epocha" (Epoca), Ricordi dal sottosuolo, scritto sotto forma di un monologo-confessione, è uno dei più terribili e impietosi viaggi all'interno della coscienza umana della letteratura europea. Il protagonista è un ipocondriaco che vive ai margini della società, scrutandola (e scrutandosi) con odio e sospetto.



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Ricordi dal sottosuolo 2023-02-19 17:27:39 LuigiF
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LuigiF Opinione inserita da LuigiF    19 Febbraio, 2023
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FEDOR E LE NEUROSCIENZE

Con largo anticipo sulle teorie che Freud enuncerà 30 anni dopo, il grande maestro russo sforna negli anni della sua maturità artistica un potente romanzo psicoanalitico di straordinaria originalità e modernità.
L’originalità è già nella struttura del romanzo che, soltanto a prima vista, può apparire squilibrata. Il libro si apre con un lunghissimo prologo che si estende per quasi metà del testo per poi dar spazio alle “memorie” vera e proprie. Il prologo appare come una autentica seduta di autoanalisi in cui scrittore e personaggio narrante si identificano.
Il tema sempre caro a Dostoevskij della contrapposizione tra bene e male, qui si fa assolutamente soggettivo e si colora di un’analisi psicologica senza precedenti. Alla visione positivista dell’uomo artefice del proprio destino e naturalmente guidato dalla razionalità verso il bene suo e del prossimo, Fedor contrappone la sua personale verità di individuo sottoposto a pulsioni recondite ed inconsce, forze naturali che determinano le nostre scelte al di là di ogni ragionamento logico. Solo lo stolto, nella “beata” ignoranza della propria realtà sub-conscia, può illudersi di agire per un bene razionalmente inteso ed in quanto tale collettivo. Paradossalmente soltanto lo stolto potrà “fare cose”, agire, raggiungere l’agognato quanto risibile successo sociale.
L’uomo consapevole invece (e lo scrittore si dichiara tale), vede l’inazione come inevitabile conseguenza della propria irrazionalità. Egli sa’ che per soddisfare il motore primo dell’agire umano, l’inconscio appunto, a nulla serve la “buona opera”. Quel motore, quasi belva famelica, si nutre di sopraffazioni, di vendette, di sgambetti e soprusi, di ogni forma di malignità insomma e trae godimento dal processo più che dal risultato. Nell’incipit del romanzo, il narratore presenta se stesso come “uomo malato … astioso. Un uomo malvagio”, ma senza alcuna condanna moralistica bensì con la consapevolezza del costante prevalere delle forze irrazionali nel proprio agire e con esse del caos rispetto all’ordine, della distruzione rispetto alla costruzione. Va da se’ che l’uomo consapevole sia destinato oltre che ad una inevitabile emarginazione sociale, ad un perenne stato di infelicità e frustrazione rancorosa.
Da qui hanno inizio le Memorie vere e proprie. Siamo in presenza di un anti-eroe ancor più sofferente di quanti, numerosi, popolino lo sconfinato universo Dostoevskiano. Un piccolo impiegatuccio squattrinato, svogliatamente occupato in qualche ganglio della sconfinata macchina burocratica russa, che osserva dal suo “sottosuolo” il ridicolo e meschino affaccendarsi di uomini e donne vacui, non riuscendo peraltro a rimanere indifferente alle regole non scritte di quel mondo futile.
Così, ad un pomposo ufficiale reo di averlo offeso con la sua superba indifferenza, il nostro protagonista non trova di meglio che reagire con una goffa e titubante spallata mentre passeggiava sul Nevskij a Pietroburgo: grottesco atto “rivoluzionario” cui affidare un riscatto che inevitabilmente resta frustrato.
In seguito, incontrati alcuni ex compagni di scuola, avverte un masochistico desiderio di unirsi al gruppo (ancora quel maledetto inconscio!) malgrado il disgusto che in lui suscitano le vanaglorie e le spacconate di quei giovani perfettamente inseriti nella società. Frustrato e deriso da questi, si ritrova a smaltire la sbornia nella stanza di una prostituta. La giovane, con la sua carica di umanità, avrebbe forse potuto aprire uno spiraglio di luce in quella esistenza rancorosa. Eppure il protagonista e narratore, in preda a quella irrequietezza che probabilmente turbava Dostoevskij stesso, non trova di meglio che torturare psicologicamente la ragazza, pentirsene temporaneamente salvo infine cedere a quel piacere assurdo di veder umiliata la povera malcapitata. Il tutto in un angoscioso alternarsi di sentimenti malvagi e benigni estranei a qualsivoglia logica.
Memorie dal sottosuolo è un capolavoro straordinariamente coraggioso e moderno. Lo scrittore non esita a mettersi a nudo in una analisi introspettiva assolutamente senza freni. In queste pagine echeggiano concetti che sembrano preludere alle più recenti scoperte delle neuroscienze.

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Ricordi dal sottosuolo 2021-01-25 22:44:16 cristiano75
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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    26 Gennaio, 2021
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L'ultimo avamposto degli uomini

Il Genio della letteratura mondiale, si diverte a scavare con cura e meticolosità la personalità disturbata e disturbante, di un essere che semplicemente ha deciso di non accettare la società per quella che è nella sua superficialità e meschinità e con noncuranza si rifugia in un sottosuolo di pensieri ed azioni, con la speranza di isolarsi per sempre da una vita tediosa ed impossibile da sopportare.
Una delle maggiori capacità di questo immenso scrittore è proprio quella di riuscire a sezionare l'animo dei protagonisti dei suoi meravigliosi racconti o romanzi. Portare allo scoperto cosa si cela dietro le azioni dei vari personaggi che popolano la sua immensa opera.
E' un libro minore questo, della sua produzione, ma non in un senso negativo, ma solo per il fatto che davanti non avrete dei tomi infiniti come i "i Fratelli Karamazov" o "i Demoni", bensì un opera abbastanza breve, ma grandiosamente densa.
Forse uno dei più accurati viaggi introspettivi nella psiche di un uomo che vive una vita parallela alla società, dove non ci è possibilità di lieto fine.
Un essere tormentato dal fatto, che ha preso consapevolezza dell'immane distanza che vi è fra i suoi ideali di bellezza e la cupa, ingorda realtà che lo circonda, popolata da ex-uomini (termine meraviglioso che mi permetto di rubare a un racconto di un altro illuminato scrittore della Santa Madre Russia dell'800, Maksim Gor'kij) che vivono o meglio sopravvivono cercando di arrecarsi più male possibile, sognando sempre una vita migliore, che desiderano sopraffare il prossimo per il proprio tornaconto personale e che in definitiva fin quando non torneranno alla terra, si arrabattano come possono per dare un senso alla miserevole esistenza che conducono.
Il protagonista decide che è arrivato al segno, che così non è proprio il caso di continuare a campare. Lancia la sua sfida alla società, ben consapevole che ne uscirà schiacciato.
Il libro si divide in due parti, strettamente legate fra loro.
Sono gli albori della concezione nichilista della realtà, dove tutto è permesso, poichè nulla ha un senso. E' tutto così ridicolo che allora ognuno di noi è libero di operare come meglio crede.
Vengono negati i concetti e i principi religiosi e politici, poichè essendo concepiti dagli uomini, hanno in se già il germe del loro fallimento, della loro ipocrisia, della loro meschinità.
Le persone sono viste come appunto degli ex uomini, che per il loro tornaconto, la vanagloria, la superbia sono capaciti di ogni cosa. La storia si scrive sul sangue dei vinti e il nostro protagonista decide di vendere cara la pelle, di non abbassare la testa davanti alla stupidità, l'ignoranza, l'avarizia umana della gente. Cerca un po di poesia, di speranza nel tedio quotidiano che lo circonda e quando alla fine capisce che non c'è rimedio, sprofonda nella sua coscienza, si chiude in se stesso, scava nel sottofondo finendo per auto seppellirsi e con sommo godimento si porta a braccetto il lettore che ha avuto la compiacenza di seguirlo in questo sprofondare negli inferi della mente e del corpo.
E' un picaro, un ossesso, un sognatore, osserva le stelle rinchiuso nelle gelide mura domestiche.
E poi come ultimo gesto disperato, come il naufrago che agonizzante sta per essere risucchiato dalle acque melmose cerca un oggetto che non esiste a cui aggrapparsi, decide di innamorarsi di una ragazza di vita anch'essa ai margini, ma egli sa che questo suo ultimo folle gesto non è che l'infamante estremo atto di una vita errabonda, viziosa, corrotta dal germe della follia.
Il sottosuolo è l'ultimo avamposto ove riparare, cercare pace. Difendere quell'ultimo sotto strato di libertà con tutte le proprie forze per ribadire a se stesso di essere, a proprio modo, ancora vivo.

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Ricordi dal sottosuolo 2020-03-31 10:58:15 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    31 Marzo, 2020
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Siamo nati morti

Un protagonista senza nome narra in prima persona il suo malessere nei confronti del mondo che lo circonda. Per sua stessa ammissione il racconto non è destinato ad alcun lettore se non a se stesso, come se mettere per iscritto i suoi pensieri, i suoi ricordi, i suoi sentimenti fosse un mezzo per aiutarlo a far chiarezza nella sua mente. Si definisce un chiacchierone, un chiacchierone innocuo e molesto, capace di scherzi di cattivo gusto, ineguali, incoerenti, poco convinti. Un uomo intelligente ma senza alcun rispetto per se stesso, perché nessun uomo veramente cosciente può avere il minimo rispetto di sé. La sua superiorità intellettuale lo induce a disprezzare l'uomo comune, quello felice e attivo in quanto stupido, pur non potendo fare a meno di invidiarlo. Eppure non vorrebbe mai diventare come lui, prova nei suoi confronti un rancore fortissimo, preferisce restare nella sua inattività, nel suo mondo parallelo, nel suo "sottosuolo". Trova l'uomo comune una "creatura bipede e ingrata" che ha i suoi peggiori difetti nell'intemperanza e nell'irragionevolezza. La società creata da questo essere spregevole non è altro che "un edificio di cristallo eternamente incorruttibile". "Ridete pure; io accetterò qualsiasi derisione e tuttavia non dirò che sono sazio, quando ho fame; tuttavia so che non mi accontenterò di un compromesso, di un infinito zero periodico, solo perché esiste secondo le leggi della natura ed esiste veramente. Non prenderò per il coronamento dei miei desideri un casermone di appartamenti per inquilini poveri, con contratto per mille anni e con il dentista Wagenheim sull'insegna, per ogni evenienza. Annullate i miei desideri, cancellate i miei ideali, mostratemi qualcosa di meglio, e io vi seguirò. Voi, magari, direte che non ne vale neppure la pena; ma in tal caso anch'io posso rispondervi lo stesso. Stiamo ragionando seriamente; e se non volete degnarmi della vostra attenzione, non starò a pregarvi. Io ho il sottosuolo". Il sottosuolo in questione non è un luogo geografico. È una condizione esistenziale, uno stato d'animo, un modo di essere. È un rifugio per sfuggire a ciò che lo circonda. È un mondo dominato dall'inerzia, dalla pigrizia, dall'apatia, tuttavia preferibile al mondo reale in cui la felicità è subordinata alla ricchezza, l'operosità è la maschera con cui si cela un'ineluttabile stupidità, la volontà è dettata dalla convenienza più che dalla ragione. Eppure ci ha provato ad essere come gli altri, ad integrarsi con la società, ad accettare il mondo. I suoi tentativi sono però miseramente falliti. Ha provato a fingersi innamorato pur non provando amore, riuscendo a soffrire pene reali per un sentimento simulato. Ha provato a fingersi arrabbiato, indignato per gesti che avrebbero dovuto offenderlo ma che lui vive con freddezza, nei confronti dei quali cerca improbabili vendette. A nulla è servito tutto ciò. Allora basta, per lui non c'è niente all'infuori del sottosuolo. "Per quel che poi riguarda me personalmente, nella mia vita ho solo portato alle estreme conseguenze ciò che voi non avete osato condurre neppure a metà, prendendo oltretutto per buon senso la vostra viltà, e consolandovi così, ingannando voi stessi. Sicché io, forse, ne esco ancor più "vivo" di voi. Ma guardate più attentamente! Se non sappiamo neppure dove abiti, adesso, questa vita, e cosa sia, come si chiami! Lasciateci soli, senza i libri, e subito ci confonderemo, ci smarriremo: non sapremo che partito pigliare, a cosa attenerci; che cosa amare e che cosa odiare, che cosa rispettare e che cosa disprezzare! Ci è di peso perfino essere uomini - uomini con un corpo e sangue vero, nostro; ce ne vergogniamo, lo consideriamo un disonore e ci sforziamo di essere non so che ipotetici uomini universali. Siamo nati morti, e da tempo non nasciamo più da padri vivi, e la cosa ci piace sempre di più. Ci prendiamo gusto. Presto escogiteremo il modo di nascere da un'idea. Ma basta; non voglio più scrivere "dal Sottosuolo"..."

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Ricordi dal sottosuolo 2020-01-20 17:35:01 ferrucciodemagistris
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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    20 Gennaio, 2020
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Spirito anticonformista

Nonostante sia un cultore di questo illustre romanziere dell'800, avevo fino a poco tempo fa trascurato questo libro essendomi dedicato a opere più importanti che sono diventate pilastri nella letteratura russa. Faccio ammenda per questa mia lieve superficialità cercando di recensire quest'opera di relative poche pagine, se paragonata ad altre, ma di una profondità di riflessione notevole.

Il romanzo è diviso in due parti: “Il sottosuolo”, da indirizzarsi a un monologo in cui l'autore critica, di base, la società dell'epoca (ricordando che siamo nel 1864) e, inoltre, fa una specie di autoanalisi di se stesso in maniera cruda e senza sconti.; e “A proposito della neve bagnata”, inerente alcuni episodi e vicissitudini durante la sua giovinezza.

La prima parte del romanzo è un monologo del Nostro, attraverso il quale fa un'auto-analisi di se stesso e la sua condizione nel coacervo sociale dallo stesso condannata quale epoca superficiale volta al raggiungimento di un benessere effimero e, di conseguenza, ottenere una pseudo-felicità quale palliativo alle condizioni di vita grama della stragrande maggioranza della popolazione. Inoltre il Nostro identifica con il “sottosuolo” la parte inconscia di noi stessi, il nostro “Es” dove sono latenti i pensieri inimmaginabili contro i quali lottiamo affinchè non vengano mai in superficie.

Nella seconda parte, “A proposito della neve bagnata”, vengono narrati accadimenti e vicissitudini che hanno avuto luogo molti anni prima del monologo cui sopra, e si riferiscono a un periodo di relativa giovinezza a cominciare, forse, dai 24 anni; fatti relativi a episodi di rivalsa, di screzio avuti con colleghi facenti parte della complessa macchina burocratica statale del tempo in cui Egli ha preso parte.

Una continua lotta senza quartiere tra il protagonista che non riesce, e non vuole conformarsi, alle regole societarie che tendono a “normalizzare” il suo spirito ribelle e anticonformista.

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Ricordi dal sottosuolo 2018-09-03 11:29:17 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    03 Settembre, 2018
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LO SCACCO DELLA COSCIENZA

“Io ammetto che due più due quattro è una cosa eccellente, ma se bisogna dare a ciascuno il suo, ebbene, anche due più due cinque qualche volta può essere una cosuccia graziosissima”

Pur non essendo mai stato un filosofo o un pensatore nel senso letterale del termine, Dostojevskij vanta un indiscutibile diritto di cittadinanza nell’area dell’esistenzialismo moderno. I motivi di questa parentela spirituale si possono trovare in tutte le opere maggiori del grande scrittore russo, i temi dominanti delle quali sono appunto la problematicità dell’essere umano, la percezione del carattere precario dell’esistenza, l’insofferenza per ogni costruzione astrattamente intellettualistica, l’irrazionalismo. Dostojevskij si è sempre battuto per rivendicare il valore imprescindibile e irrinunciabile della personalità umana contro ogni tentativo di ridurre il mondo a vuote formule speculative (fossero esse materialiste o misticheggianti), e di questa lotta le “Memorie del sottosuolo” sono, se non il punto più elevato della sua creazione artistica, sicuramente l’opera in cui la polemica anti-razionalistica dell’autore si è espressa in maniera più dura e diretta.
E’ curioso (ma non inspiegabile, come vedremo più avanti) che alfiere di questa ambiziosa contro-ideologia sia un personaggio totalmente, sconsolatamente negativo. “Io sono un uomo malato – si legge, non senza un certo imbarazzato stupore, in apertura di romanzo -, sono un uomo cattivo. Sono un uomo che non ha nulla di attraente”: è una presentazione-confessione masochisticamente sincera, ma ancor più una dichiarazione di principio, con cui Dostojevskij prende le distanze da tutta la letteratura idealizzante che trasforma instancabilmente l’animale uomo in un sublime eroe, e ne scoperchia invece il fondo più meschino e antieroico. Il sottosuolo in cui si muove, pensa e agisce il protagonista è, prima ancora che un ambiente reale e riconoscibile, quel luogo interiore, presente in ognuno di noi, in cui regna l’irrazionale, l’arbitrario, il libito. Come farà più tardi la psicanalisi, Dostojevskij penetra in questa regione inesplorata, scoprendovi il disordine, il caos e la contraddizione. L’uomo del sottosuolo, così, è colui che non si illude di poter soffocare, nascondendola a se stesso e agli altri, questa zona oscura di sé, ma le si abbandona con tragica e sofferta voluttà.
Il sottosuolo non è una scelta, sia pur dolorosa, ma lo stadio estremo di un itinerario psichico che, originato da una naturale aspirazione alla normalità, cioè dal tentativo di inserirsi costruttivamente nella realtà, di armonizzarsi con i propri simili e di espellere da sé antinomie e contrasti, giunge alla graduale consapevolezza che tutto ciò è impossibile e illusorio. A rendere vani questi sforzi e a sprofondare l’uomo nel sottosuolo è una morbosa condizione che Dostojevskij definisce “sviluppo ipertrofico della coscienza”: “Vi giuro, signori miei, che avere una coscienza troppo lucida è una malattia, una vera malattia nel pieno senso della parola. Per i bisogni dell’uomo sarebbe più che sufficiente una comune coscienza umana, e cioè la metà o un quarto di quella porzione di coscienza che tocca in sorte a una persona coltivata del nostro infelice diciannovesimo secolo… Sono fermamente convinto che non soltanto una coscienza troppo lucida, ma perfino ogni forma di coscienza è una malattia”. La coscienza rende estremamente problematico l’agire, il realizzarsi, il muoversi verso una qualsivoglia direzione, in quanto essa è il luogo in cui si sperimenta l’alternativa infinita dei possibili: “Infatti, per cominciare ad agire è necessario innanzi tutto essere perfettamente tranquilli ed essersi liberati da qualsiasi dubbio. Ma io, per esempio, come posso tranquillarmi?… Io sto continuamente in esercizio col pensiero, e perciò ogni causa prima ne trascina immediatamente dietro di sé un’altra, anche più profonda, e così via all’infinito”. L’eccessivo meditare e problematizzare, il ripiegarsi verso il mondo interiore, i paralizzanti tormenti dell’autoanalisi costituiscono, nel loro insieme, la malattia, mentre la salute, al contrario, consiste nell’agire immediato, nella spontaneità superficiale e acritica.
Si arriva così alla distinzione, fondamentale per Dostojevskij, tra l’uomo del sottosuolo e l’illuministico homme de la nature et de la vérité. Il primo, lo abbiamo visto, convinto di essere condannato a un’infelicità che non vale la pena di riscattare, si rinchiude nel suo guscio, pieno di disprezzo per il resto del mondo e di orgoglio per la propria vivida, ancorché sterile, intelligenza. Il secondo invece è colui che, proiettato senza problemi verso una totale armonia con la natura e con i suoi simili, prende come fondamento indiscusso della propria esistenza quegli ideali che (come l’utile, il piacere, il benessere) trova più a portata di mano. L’homme de la nature et de la vérité forse è felice, ma la sua felicità è meschina e conformistica, prodotto di uno spirito arido e pigro. Di fronte a questa squallida soluzione, l’uomo del sottosuolo si chiede sprezzante cosa sia meglio, se “una felicità da quattro soldi o delle sublimi sofferenze”. Dostojevskij, pur rendendosi perfettamente conto dell’improduttività del suo protagonista, sfrutta la goffa e anarcoide ribellione di costui per fare una appassionata perorazione della personalità, della libertà e della fantasia dell’individuo contro “le leggi della natura, le deduzioni delle scienze naturali, la matematica”, cioè contro tutto ciò che spinge a congelare l’inesauribile varietà della vita in formule, tabelle, regole e calendari. Di fronte al muro eretto dalla ragione, è “meglio lasciarsi voluttuosamente marcire nell’inerzia, tacendo e digrignando i denti nell’impotenza”, piuttosto che dichiararsi vinti in perfetta buona fede. In questo rifiuto irrazionale e arbitrario di ogni ordine logico, l’uomo del sottosuolo, pur abbruttito dalle sofferenze e reso meschino dalle umiliazioni, ritrova una nuova e insperata dignità: la dignità di chi vuole, a tutti i costi, affermare la propria autentica, scandalosa singolarità, anche al prezzo di non trovar posto in nessun sistema razionale.
La libertà, per Dostojevskij, è giocoforza paradossale e non sottoposta alle leggi positiviste del vantaggio e dell’interesse. “Voi siete convinti che… non appena la ragione e le scienze avranno completamente rieducato e indirizzato sulla retta via la natura umana... allora l'uomo cesserà spontaneamente di sbagliare e… non vorrà più creare un divario tra la sua volontà e i suoi normali interessi. Non solo: voi sostenete anche che allora la scienza stessa insegnerà all’uomo che in lui, in realtà, non esiste né la volontà né il capriccio,… e che lui stesso è solamente una specie di tasto di pianoforte o di pedale d’organo… cosicché, qualunque cosa egli faccia, questa si compie non in forza del suo volere, bensì secondo le leggi della natura. Restano dunque soltanto da scoprire queste leggi della natura, e poi l’uomo non dovrà più neppure rispondere delle proprie azioni, e vivere gli diventerà estremamente facile”. Ma la natura umana è più complessa di quanto sembri a prima vista e i tentativi di inalvearla entro i sicuri ed edificanti canali della logica e del progresso sono destinati prima o poi ad essere irrisi dai capricci ingovernabili della volontà. “Ecco, vedete: la ragione, signori miei, è una buona cosa, questo non si discute, ma la ragione è pur sempre soltanto ragione e soddisfa soltanto le facoltà razionali dell’uomo; la volontà invece è manifestazione della vita intera, cioè di tutta la vita umana, con la ragione e tutto il resto… Che cosa sa la ragione? La ragione sa soltanto ciò che ha avuto il tempo d’imparare, mentre la natura umana agisce invece nella sua integrità, con tutto ciò che è in lei, sia coscientemente sia incoscientemente, e anche se mentisce, essa però vive”. Non è detto quindi che l’uomo diventi migliore e più felice se vive secondo i dettami della ragione e della scienza, al contrario può essere indotto a preferire ad essi qualcosa di nocivo e svantaggioso, in taluni casi addirittura la distruzione e il caos. “E infatti questa assurdità, questo suo capriccio, può essere proprio la cosa più utile e vantaggiosa di questo mondo,… persino nel caso che ci apporti un danno evidente e contraddica alle più sensate conclusioni della nostra ragione relative al nostro vero vantaggio, e ciò perché in ogni caso esso ci garantisce quel che per noi è più essenziale e più caro, e cioè la nostra personalità e individualità”.
La libertà, quindi, è anche libertà di errare, di peccare e di cadere, perché l’errore, il peccato, la caduta sono elementi necessari e insopprimibili alla dialettica dell’esistenza. Il protagonista delle “Memorie” va così ad aggiungersi a quella folta schiera di personaggi dostojevskijani (un nome su tutti: Dmitrj Karamazov) che, proprio grazie alla bruciante esperienza della perdizione, scoprono in loro rinnovate possibilità di redenzione. Con questo non voglio dire che le “Memorie del sottosuolo”, con la loro critica radicale alla scienza e alla logica euclidea, preludano alla luminosa affermazione di quel sovramondo che, per fare un significativo esempio, costituisce l’impalcatura etica de “I fratelli Karamazov”. Se in Alesa e Zosima la negazione della convenzionalità degli schemi razionali avviene dall’alto, nell’uomo del sottosuolo infatti essa si esprime ancora a un livello inferiore e non compiutamente risolto. Eppure anche l'uomo del sottosuolo, sono parole dello stesso Dostojevskij, è necessario nella nostra società, in quanto, con le sue contraddizioni e la sua irrazionalità, mette in tragica evidenza la precarietà e l'inanità degli sforzi umani di dare un ordine saldo e duraturo all'universo.
Se il contenuto ideologico delle “Memorie del sottosuolo” ha la stessa violenta carica provocatoria dei grandi romanzi della maturità, non altrettanto si può dire, purtroppo, del loro valore letterario. La rappresentazione del lancinante e sconnesso delirio cerebrale del protagonista non raggiunge mai la potente, quasi shakespeariana, grandezza del vorticoso monologare dell’animale kafkiano de “La tana”, che alle “Memorie” si richiama per moltissime analogie, né la dolente umanità che la follia conferisce al gogoliano scrivano del “Diario di un pazzo”. C’è qualcosa di troppo cerebrale, di troppo astratto, quasi di artificioso, in queste lucide e amare riflessioni che, quando cercano di darsi un’espressione più sistematica, scadono a livello di un polemico pamphlet. Inoltre, la descrizione di alcuni avvenimenti della vita reale del protagonista (l’episodio dell’ufficiale, quello della prostituta), oltre ad essere stilisticamente diseguale e artisticamente superflua, rischia paradossalmente di togliere validità alle idee precedenti, in quanto il lettore è quasi trascinato a credere che solo con una norma razionale costantemente perseguita si evita lo sfaldamento della personalità, cui invece fatalmente conduce il culto dell’irrazionale (esattamente il contrario cioè di quanto Dostojevskij voleva si ricavasse dalla tragedia del suo personaggio). Voglio perciò concludere citando una breve frase che, assai meglio di tutte le sue idiosincrasie anti-razionalistiche, riflette secondo me l’immagine più autentica del protagonista: “Io sono solo, e loro sono tutti”. E’ la malinconica immagine di un uomo che si sente smarrito in un mondo ostile e che sceglie il sottosuolo perché incapace di competere con delle regole in cui il più forte trionfa sempre e in cui la gara degli interessi non è più mascherata dalle vecchie credenze e dagli antichi valori.

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Ricordi dal sottosuolo 2017-09-29 18:30:22 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    29 Settembre, 2017
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un uomo relegato da se stesso

Non trarre delle riflessioni dalle opere di Dostoevskij è un'impresa praticamente impossibile. Il russo è uno dei letterati più ispirati e profondi di tutti i tempi, che indaga l'animo umano fino ai suoi recessi più oscuri e anche oltre, portando il lettore a interrogarsi su varie sfaccettature esistenziali.
Riguardo allo stile di un autore del genere, ritengo sia superfluo soffermarsi, anche se in parte è chiaro che questa è l'opera che fa da apripista alle più importanti che seguiranno.

Questo libro è una specie di monologo, una confessione divisa in due parti. Nella prima, il nostro protagonista ci espone il suo modo di vedere le cose; è un uomo che si è ritirato nei recessi della società, nel sottosuolo, perchè non in grado di vivere in pace con essa. Egli si considera superiore agli altri ma allo stesso tempo si rende conto di quanto la sua condizione miserevole sia dovuta solo e soltanto a sé, alle sue paranoie e al suo esasperare qualsiasi cosa. Eppure, in alcune delle sue riflessioni si scorgono dei tratti di profonda verità, ma il suo portarle all'estremo non gli permetterà di vivere una vita serena, bensì lo relegherà nell'angolo più oscuro di quel mondo che tanto disprezza.
Nella seconda parte del libro verremo a conoscenza di un racconto della durata non superiore ad un paio di giorni, un racconto in cui questo essere abietto viene fuori in tutte le sue sfaccettature, brillando di un'incoerenza spaventosa ed esasperante. Venire a contatto con una tale personalità diventa addirittura opprimente, e assistere alla sua scostanza e alla sua incapacità di vivere in società risulta ripugnante per la maggior parte del tempo. Egli non sa rapportarsi, non sa mantenere un rapporto amicale, non sa amare; in tutto vede un'offesa alla sua persona, o quantomeno una mancanza di considerazione. Per lui, gli altri non gli attribuiscono il valore che merita, quando a conti fatti anche lui disprezza se stesso.
Dostoevskij ci porta davanti agli occhi l'apoteosi dell'asocialità, della superbia, della scarsa fiducia in sé stessi celata in una maschera di sicurezze ostentate, ma in fin dei conti fasulle.
Il protagonista guarda il mondo con disprezzo, ma in fondo al cuore vorrebbe farne parte. A causa del suo temperamento e del suo carattere impossibile non riuscirà mai a farne parte, rassegnandosi(in teoria ma non in pratica) a vivere per sempre in quel sottosuolo.

"Ora poi concludo l'esistenza nel mio angolo, stuzzicandomi con la rabbiosa e del tutto inutile consolazione che una persona intelligente non può nemmeno diventare seriamente qualcosa, ma diventa qualcosa solo chi è stupido."

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Ricordi dal sottosuolo 2017-04-26 13:53:08 Franco Pompei
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Franco Pompei Opinione inserita da Franco Pompei    26 Aprile, 2017
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Quando due più due fa cinque

A quasi vent’anni di distanza da “Il sosia” (1846), con i “Ricordi dal sottosuolo” (1864) Dostoevskij torna a concentrare la propria attenzione sulle motivazioni più profonde del comportamento umano. L’opera è divisa in due parti: la prima, intitolata “il sottosuolo”, è un lungo monologo nel corso del quale viene aspramente criticato il positivismo (all’epoca ideologia dominante nella borghesia industriale europea), sarcasticamente irriso sia per la sua fiducia illimitata , e quindi ingenua, nel progresso scientifico sia per il suo assunto, a dire il vero non tanto ingenuo poiché subdolamente teso a giustificare “scientificamente” qualsiasi forma di sfruttamento sociale, secondo il quale ciascun uomo, una volta individuatolo attraverso le scienze matematiche ed economiche (il c.d. “due più due fa quattro”), sarebbe “naturalmente” portato al perseguimento del proprio “interesse” e con esso, di quello collettivo. A disvelare la fallacia dell’ideologia positivista, c’è però, secondo Dostoevskij, proprio “il sottosuolo” ossia quella forza irrazionale, ed all’epoca ancora misteriosa, che così di frequente induce l’uomo ad agire “consapevolmente” contro il proprio “interesse” e a godere della sofferenza, non solo altrui ma anche propria. Ed il “sottosuolo” altro non è che l’inconscio: l’insieme di quelle primordiali pulsioni e correlative inibizioni che, decenni più tardi, verranno codificate nei concetti freudiani di “es” e “superego”. Il difficile rapporto fra queste due componenti della psiche umana e la loro altrettanto difficile relazione con la dimensione cosciente (l’ “io” freudiano) generano, quasi inevitabilmente, nevrosi: ed è proprio ciò che viene spietatamente raccontato nella seconda parte dei “ricordi”, intitolata “a proposito della neve fradicia”, nella quale seguiamo il protagonista alle prese con le relazioni umane ed in un continuo alternarsi di masochismo e sadismo. Si tratta di un protagonista nel quale il lettore, suo malgrado, è costretto inevitabilmente a riconoscersi, poiché “l’uomo del sottosuolo” di Dostoevskij rappresenta proprio quel coacervo di spinte emozionali contraddittorie che costruiscono, ed al tempo stesso lacerano, la personalità dell’individuo. Su tutto svetta un egoistico, disperato e continuamente frustato bisogno di riconoscimento sociale, di stima ed, in definitiva, di amore da parte degli altri: “l’uomo del sottosuolo” è perfettamente consapevole che tale bisogno non verrà mai soddisfatto e che, anzi, ogni tentativo in tal senso costituirà un ulteriore motivo di sofferenza non solo per sé stesso ma anche per gli altri “vinti dalla vita” (la prostituta Liza) che incroceranno la sua strada, ma sa anche che, proprio da quella sofferenza scaturirà l’autocommiserazione e, quindi, quella invereconda ma deliziosa “voluttà nel mal di denti” così ben descritta nel primo capitolo dei “ricordi”.

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Ricordi dal sottosuolo 2015-09-07 12:12:48 Francj88
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Francj88 Opinione inserita da Francj88    07 Settembre, 2015
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Tra ragione e volontà

Intenso, drammatico, nero, “Memorie del sottosuolo” scava a fondo nel torbido animo umano, nel sottosuolo, nell’abisso dell’inconscio. Dostoevskij dà vita, ben prima di Joyce ad un flusso di coscienza che, senza esitazione, ci sbatte in faccia tutte le bassezze di cui l’uomo è capace. Il testo scorre veloce e fluido come una melodia che tuttavia non è affatto piacevole, ma stridente e crudele nel suo contenuto. Ci viene presentata in modo crudo e diretto la condizione dell’uomo solo, vanaglorioso e quindi tendente all’astio, alla rabbia nei confronti del prossimo che egli ritiene inferiore e che tuttavia si muove nel mondo e coglie a piene mani quello che la vita offre, cosa che il protagonista non fa, scegliendo di chiudersi in una prigione di risentimento da egli stesso edificata. Come non pensare al Raskolnikov di “Delitto e castigo” che tuttavia trova infine la propria redenzione grazie all’amore di una donna. Qui non c’è redenzione e al richiamo della vita il protagonista preferisce il richiamo viscerale del sottosuolo.

Ma cos'è il sottosuolo? Una sorta di mondo oltre lo specchio, onirico e allucinato, in cui il protagonista si rifugia, diversamente dall'uomo “normale”, ragionevole che se ne sta quieto in superficie. Il nostro protagonista vive invece come un topo nella sua tana, cova un incessante sentimento di affermazione, di volontà di essere, ma nel momento in cui si scontra con la realtà, uscendo dalla sua tana, questa volontà viene meno e il topo, per difendersi si fabbrica un universo di sogno in cui vede le cose come vuole lui e non come sono realmente, il sottosuolo non lo abbandona mai del tutto in questo scontro continuo tra ragione e volontà.

“Memorie del sottosuolo” è un romanzo di una sconvolgente modernità, che anticipa di cinquant’anni uno dei soggetti principali dei romanzi del ‘900 che ritroveremo in “Una vita”, “Ulisse”, “Il fu Mattia Pascal”, “La coscienza di Zeno”. Stupisce per l’abilità con cui lo scrittore è riuscito a mettere nero su bianco la complessa psicologia del suo personaggio, dimostrando ancora una volta una lucidità incredibile e una conoscenza approfondita dell’animo umano. Una capolavoro della letteratura mondiale, non di facile lettura, ma fondamentale.

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Ricordi dal sottosuolo 2015-02-07 17:28:24 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    07 Febbraio, 2015
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Due più due fa quattro?

“Sono un uomo malato... Sono un uomo cattivo. Un uomo che non ha nulla di attraente.”
Comincia così l’opera che segna la svolta artistica di Dostoevskij, da qui in poi orientato alla ricerca di una via di fuga per l’uomo dalla solitudine e dalla disperazione nell’amore e in Cristo.

L’opera si articola in due sezioni. Nella prima parte il protagonista ci presenta la sua condizione di uomo emarginato dalla società, verso cui nutre disprezzo e sospetto. Egli preferisce rifugiarsi nel “sottosuolo”, ovvero l’oscuro baratro della sua mente, che lo isola da una società tesa al progresso scientifico e alla matematizzazione della vita umana. L’intento era quello di schematizzare la natura dell’uomo attraverso la Ragione, rendendolo un essere paragonabile a un tasto di pianoforte, non libero ma mosso da un’universale mano invisibile. Ma l’uomo del sottosuolo sa che l’intima essenza dell’uomo non è la ragione, ma la volontà, concetto così strettamente legato alla libertà da risultare a tratti inspiegabile, ma non per questo rinnegabile. Il volere supera la razionalità, sconfinando nel contrasto interno all’uomo, che vede implodere e mescolarsi in sé impulsi talvolta rovinosi, ma pur sempre umani. Circoscrivere l’uomo in una tabella risulta pertanto ridicolo all’uomo del sottosuolo: “L'uomo è creatura frivola e disordinata e, forse, come il giocatore di scacchi, ama soltanto il processo del raggiungimento del fine, e non il fine in sé. E, chissà, forse tutto il fine a cui tende l'umanità sulla terra consiste solo in questa continuità del processo di raggiungimento, in altre parole nella vita stessa, e non propriamente nel fine, che, s'intende, dev'essere null'altro che il due più due quattro, cioè una formula, perché due più due quattro non è già più la vita, signori, ma l'inizio della morte.”

Attraverso le riflessioni del protagonista, si giunge così alla seconda parte, in cui l’uomo racconta, a titolo di esempio per quanto detto, eventi che emergono nella sua memoria a manifestare la sua inettitudine nei rapporti umani. Questa costante condizione subirà uno scossone dopo la notte con la prostituta Liza, la prima persona a mostrargli un sentimento, il che getterà il protagonista in profondo conflitto interno col desiderio di dominio, forma standard del suo modo di relazionarsi agli altri.
“..tutti noi siamo disavvezzi alla vita, tutti quanti zoppichiamo, chi più chi meno. Siamo a tal punto disavvezzi, che talvolta proviamo una specie di ripugnanza per la “vera vita”, e pertanto non possiamo neppure sopportare che ce ne parlino. Anzi, siamo arrivati a un punto tale che quasi quasi consideriamo l’autentica “vera vita” come una fatica, o addirittura come un lavoro, e dentro di noi siamo tutti convinti ch’è meglio di com’essa ci viene presentata nei libri. Ma perché ci agitiamo certe volte, perché facciamo i capricci, che cosa cerchiamo? Non lo sappiamo neppure noi. […] Ci è penoso perfino essere uomini, uomini con un corpo vero e proprio, col sangue nelle vene; ci vergogniamo di questo, lo consideriamo un’onta, e ci sforziamo in ogni modo d’incarnare un certo tipo di uomo universale che non è mai esistito. Noi siamo nati morti..”
Grazie a Liza, scoprirà che la vita descritta nei libri, la vita dell’amore, la vita in cui due più due non fa necessariamente quattro, può esistere anche nella realtà. Ma non è facile uscire dal sottosuolo.

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Ricordi dal sottosuolo 2014-11-07 14:08:58 Wasp98
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Opinione inserita da Wasp98    07 Novembre, 2014

Ineffabile

Semplicemente ineffabile... non riesco a trovare le parole adatte per dare una vaga idea di ciò che questo capolavoro mi ha trasmesso. Dostoevskij si potrebbe definire come parmenide "maestro venerando e terribile" poiché tramite i suoi libri riesce a comunicare ciò che c'è di più recondito e nascosto nella nostra anima, nel nostro "io", nella nostra psyche e proprio per questo deve essere lodato. Ma al contempo è terribile proprio perché mette a nudo, tramite i suoi personaggi, ciò che forse vorremmo rimanesse celato, ciò che forse neanche noi conosciamo di noi stessi. Con " memorie dal sottosuolo" è proprio quello che mi è capitato. Soprattutto ne "il sottosuolo" le considerazioni di dostoevskij non posso essere che veritiere: in un mondo in cui ognuno trae vantaggio da ciò che può e in un mondo in cui tutti vogliono ricchezza e benessere, non c'è nessuno che desidera "la volontà", ovvero il poter prendere liberamente le proprie scelte. Il protagonista si rifiuta di seguire la massa e preferisce restare nel suo cantuccio a rimuginare sul fatto che la sua superiorità però lo tiene lontano dalla vita vera che gli inetti invece possono gustarsi. Il sottosuolo non farà altro che peggiorare questa sua visione pessimistica della vita, rendendogli ogni tipo di rapporto con il mondo sgradevole e nauseante. TalI considerazioni le estenderà alla fine del libro a tutta l'umanità, sottolineando come ormai tutti ci siamo disabituati a vivere "la vita vera" e cercare nei libri la nostra unica consolazione. Quindi, forse, nel suo pessimismo, il protagonista ci invita a vivere la nostra vita liberamente e appieno perché solo così alla fine dei nostri gioni potremo dire di aver vissuto veramente. Un libro assolutamente meritevole di essere letto e riletto per carpire appieno la filosofia di dostoevskij.

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