Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop
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Così reale che senti l'odore del barbecue
Dando una sfogliata preliminare al romanzo mi sono detta che la scelta di ricorrere a continui passaggi dal presente al passato, e anche a quello di inserire stralci di giornali locali avrebbe reso il tutto piuttosto goffo e tortuoso. Invece no, la bravura della Flagg è stata quella di riuscire a mettere insieme diverse storie che si sono svolte anche in periodi storici diversi, senza mai fare calare l'interesse del lettore. Il pregio migliore di questo libro, però per me non è tanto la storia in sé, quanto la capacità di rendere in modo vivido il clima che si respira al caffè di Whistle Stop. Così bene che sembra di vedere Ruth e Idgie dietro al bancone o di sentire i profumi che arrivano dalla cucina. Tutto attorno, poi una serie di temi caldi come la depressione e le sue conseguenze sulla popolazione, la separazione tra etnie, la violenza domestica e l'amore tra donne. Non immaginiamoci però che si tratti di un romanzo cupo e triste: tutt'altro. La Flagg con buonumore e ironia, ma anche con intelligenza e arguzia ci apre una finestra sul passato, riuscendo anche a infilarci un assassino e il mistero di una specie di Robin Hood dei treni, di cui solo alla fine conosceremo i volti.
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Gloria e decadenza della provincia americana
“Pomodori verdi fritti” è un romanzo dalla struttura estremamente peculiare che attraverso varie testimonianze va a raccontare la vita quotidiana degli abitanti di Whistle Stop -e della vicina Troutville-, una cittadina provinciale nel sud degli Stati Uniti, in particolare nell’Alabama.
La narrazione risulta suddivisa in tre focus principali: la storia di Whistle Stop nel passato, dagli anni Dieci del Novecento in poi; il punto di vista di Evelyn Couch, nella metà degli anni Ottanta, che ascolta i racconti dell’anziana Virginia “Ninny” Threadgoode; gli articoli tratti da diversi quotidiani o bollettini locali, in particolare da “Il giornale della Signora Weems”, impiegata postale di Whistle Stop che tra una notizia e l’altra inserisce anche informazioni sulle attività imprenditoriali della cittadina,
«PS. Opal ha appena ricevuto una consegna di riccioli di capelli veri. Quindi, se avete bisogno di capelli supplementari in qualche punto della testa, passate pure da lei.»
o sulle più recenti disavventure del marito Wilbur.
«Per finire, la mia dolce metà dice che qualcuno ci ha invitati a cena, ma non ricorda chi. Così chi ci ha invitati sappia che accettiamo volentieri, ma si faccia vivo per darmi l’indirizzo.»
I capitoli sono quasi sempre molto brevi e presentano ogni volta un periodo o un luogo diverso. Questi continui cambi, uniti ad un cast di personaggi estremamente numeroso, creano un po’ di confusione durante la lettura e solo dopo un po’ si riescono a mettere a fuoco le varie parentele e relazioni. Il principale punto debole del romanzo è la scelta di raccontare fuoricampo la maggior parte degli eventi anziché descriverli direttamente; il problema non è evidente tanto nelle parti di Evelyn o negli articoli, quanto nella narrazione del passato di Whistle Stop,
«Le Roy [...] viaggiava molto e si fermava spesso lungo la strada. Quando Naughty Bird scoprì che a New Orleans alloggiava a casa di una meticcia quasi bianca, per poco non ne morì.»
Un altro paio di aspetti negativi (poi parlo di ciò che mi è piaciuto, giuro!): il tono della narrazione mi ha convinto perché frizzante e molto ironico ma non cambia mai, quindi non si notano differenze tra quando le vicende sono narrate direttamente dall’autrice e quando vengono interposti, ad esempio, dei giornalisti; c’è poi un problema con l’edizione italiana della Rizzoli, infatti la sinossi proposta in quarta di copertina anticipa un evento che accade dopo la metà del volume e ne parla -erroneamente- come fosse l’avvenimento principale della trama.
Ma passiamo finalmente ai lati positivi. Per quanto sia difficile sintetizzare la storia, questo romanzo ha certamente una fortissima carica emotiva, ma non si accontenta di far piangere i lettori bensì va ad affrontare una tematica di primaria importanza quale la discriminazione ed il tentativo di opporvisi. Discriminazione che colpisce le donne e i poveri costretti al vagabondaggio,
«Negli ultimi due mesi la Legione americana aveva fatto più di un’incursione negli accampamenti dei vagabondi, distruggendo qualunque cosa allo scopo di ripulire la città [...].»
ma soprattutto le persone di colore, come ci dice senza mezzi termini Idgie in questo estratto:
«-A volte mi domando che cosa le genti usi al posto del cervello. Pensa a quei ragazzi: hanno paura di sedersi a mangiare vicino a un negro, ma divorano le uova che escono dal culo delle galline.»
Tra i tanti personaggi, quelli femminili hanno certamente un impatto più rilevante sul lettore e in questo il romanzo mi ha ricordato molto il meraviglioso “The Help” di Kathryn Stockett. Tutte donne che non vogliono più vivere all’ombra degli uomini, e cercano quindi un modo per far valere anche la propria idea, come Evelyn che reagisce con rabbia quando vede come si possa venire maltrattate a dispetto di un comportamento irreprensibile:
«Aveva fatto tutto questo, eppure quell’estraneo l’aveva umiliata con le parole che gli uomini rivolgono alle donne quando sono furiosi.
[...] perché, quando gli uomini volevano umiliare gli altri uomini, li chiamavano donnicciole? Come se fosse la cosa peggiore del mondo. Che cosa abbiamo fatto per essere considerate in questo modo?»
E tra queste donne tutte diverse -chi desidera una famiglia, chi vuole avviare un’attività, chi ama accudire i bimbi- primeggia sicuramente Idgie Threadgoode; solare e testarda, un po’ sopra le righe, Idgie è molto spesso il centro attorno cui gravitano gli eventi del libro. Si dimostra sempre generosa, non ha riserve nell’esporre le sue idee,
«-Idgie fu la prima a chiamarlo Stump (aka, moncherino) e a Ruth per poco non venne un colpo, [...]. Ma Idgie disse che era la soluzione migliore, perché in questo modo nessuno gli avrebbe affibbiato il nomignolo a sua insaputa.»
e la sua relazione con Ruth è descritta in modo molto intenso e coinvolgente, anche se stento a credere che una coppia lesbica con tanto di figlio a carico venisse accettata da tutti con naturalezza in un paesino dell’Alabama negli anni Trenta. Una bella speranza.
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mangiamoci sopra
Intravedo la copertina ed abbasso le palpebre, è palpabile - più reale del reale – il profumo di torta al limone appena sfornata.
Il cielo è ancora scuro in questa tiepida giornata in Alabama.
Cullandomi nella sedia a dondolo appollaiata sul vecchio patio in legno, lentamente, una tazza dopo l’altra di caffè scuro zuccherato, aspetto l’alba.
Leggero, scorrevole ed avvolgente, Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop e’ una compagnia rilassante perfetta per questo autunno ramato e mite.
Si dissocia dalla friabilità di forma delle molte opere banali e mal scritte del suo genere per l’ottima caratterizzazione dei personaggi, per l’empatia che l’autrice sa suscitare nel lettore e ancor più nell’ affresco sociale che riproduce con grazia e destrezza.
E’ ben allestita l’America della Depressione, interni ed esterni sono quasi fruibili nel loro realismo e molte storie si dipanano parlandoci di amicizia, di povertà, di amore, di razzismo, dell’irrompere dell’ingiustizia e della sete di riscossa.
Energia e dolcezza in due donne agli antipodi, petto in fuori e piedi piantati a terra, qui nessuno calpesta alcuno.
Un romanzo di intrattenimento privo di gravità ma dal polso fermo, che sa affondare profondamente in un’epoca e riproporla in scene suggestive solfeggiate da un alito di vento.
Terminata l’ultima pagina mi ha inondato un senso di malinconia, quanto mi mancheranno i pasti consumati da Ruth ed Idgie.
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Un cuore buono
«È buffo come da bambini si pensi che il tempo non passerà mai; poi, dal momento in cui si raggiungono i vent’anni passa svelto come il rapido per Memphis. Io credo che succeda a tutti: la vita ti scivola addosso. Di sicuro è successo a me. Un giorno ero una bambina e il giorno dopo ero una donna adulta, con il petto e i peli non vi dico dove. E nel frattempo non mi ero accorta di nulla. Ma io non sono mai stata troppo brava a scuola…»
Alabama, il Caffè di Whistle Stop, sito nei pressi del binario della ferrovia del luogo, è il centro di riferimento e il punto di ritrovo di avventori di ogni tipo (dai barboni allo sceriffo della cittadina passando per le persone di colore e ogni altra persona desiderosa di gustarsi un buon pasto). Aperto nel 1929 e cioè negli anni della Grande Depressione da Idgie Threadgoode e la più che amica Ruth Jaminson, il locale è noto oltre che per le grandi prelibatezze anche per le qualità di grande tolleranza delle due padrone che nella gestione vengono aiutate da una famiglia di colore composta dalla cuoca Sipsey, Onzell e Big George.
«Ora che ci penso, Idgie e Ruth comprarono il caffè nel 1929, nel momento peggiore della Depressione, ma non credo che abbiano mai fatto uso della margarina. O perlomeno io non me ne ricordo. È strano, il mondo pativa la fame, ma al Caffè gli anni della Depressione furono forse i più felici e non lo sapevamo»
1986. Virginia Threadgoode, Ninny per gli amici, ha deciso di fare compagnia alla signora Otis e per questo ha accettato di essere ospite presso la casa di riposo Rose Terrace. Ma sia chiaro, le farà compagnia soltanto fino a che non si sarà ambientata, poi, tornerà a casa, dai suoi amici, i suoi affetti e soprattutto dalle sue abitudini! Durante una domenica come tante in cui il tempo nella struttura scorre con inesorabile lentezza ecco che quel qualcosa capace di smuovere l’ordinarietà conclamata, accade. Si tratta di un incontro casuale, quello con Evelyn Couch, ma che avrà la forza di rendere quei giorni di visita degli appuntamenti imperdibili per entrambe le protagoniste. Da sempre Evelyn vive nella paura. Nella paura di deludere il prossimo, nella paura di non essere all’altezza, nella paura di essere giudicata, nella paura della malattia, nella paura del medico, nella paura di tutto. Il suo è un timore radicato e covato nelle intimità più profonde che non le permette di vivere serenamente anche adesso che è prossima alla menopausa e vittima di un costante aumento di peso che sembra averla presa di mira più di ogni altra persona. Con Ninny inizia un viaggio nel passato tra gli odori del caffè e i fischi dei treni, tra i razzismi e le discriminazioni radicate, tra il semplice scorrere di vite tra loro intrecciate da legami indissolubili.
A ciò si contrappone una terza narrazione incentrata questa volta sugli anni successivi al Whistle Stop e in particolare a quegli anni che hanno condotto al presente della narrazione, ovvero, agli anni ’80.
«C’è qualcos’altro che devi sempre ricordare. Ci sono persone magnifiche su questa terra, che se ne vanno in giro travestite da normali esseri umani. Non scordarlo mai, Stump, hai capito?»
Quello di Fannie Flagg è un racconto semplice e genuino, dai toni spensierati e apparentemente leggero, un racconto che sa far ridere fino alle lacrime e al contempo commuovere per le grandi problematiche trattate. Perché tra le righe, tra le battute e le vicende che si susseguono, tra gli avvenimenti che ci dimostrano quanto l’esistenza possa essere ingiusta, fragile e brutale, l’autrice tocca problematiche attualissime e che ci sono vicine: l’odio razziale, l’invalidità, l’omosessualità, la discriminazione, i clochard, la disparità tra uomo e donna, la solitudine, la difficoltà del lavoro, l’insoddisfazione personale, il timore di non essere all’altezza, la morte, l’eutanasia, la malattia, la giustizia, le ingiustizie, la terza età, l’amore, la memoria, la forza del ricordo, i cuori buoni, il tempo che passa e inesorabile porta via con sé fumi, odori, polvere, equilibri.
«Per la prima volta in vita sua Idgie rimase senza parole. Per anni il Club dei cetrioli sottaceto aveva raccontato le bugie più assurde, credendo di essere imbattibile, e in cinque minuti Scroggins li aveva umiliati tutti quanti. Era stato talmente convincente che lei stessa per poco non gli aveva creduto.»
Il tutto con una scrittura semplice, forse non particolarmente erudita, ma comunque di gran pregio e capace di alternare senza difficoltà spazi temporali e voci narranti. I personaggi che traggono linfa da questa penna sono tangibili con mano e durante il viaggio diventano amici per il lettore che finisce per il custodirli tutti nel cuore. Uno ad uno.
Un componimento che ho rimandato per anni, un elaborato che tocca le corde più intime del conoscitore, uno scritto intriso di tanti valori e con grandi lasciti.
«Finché una persona non viene messa alla prova, non si può mai sapere che cos’ha in cuore»
«No, non era la morte a spaventarla. Era questa sua vita di ogni giorno, che cominciava a ricordarle troppo da vicino la grigia sala d’aspetto del reparto di terapia intensiva.»
«Pensava di esser pronta ad accettare la necessità di lasciarla morire. Ma nessuno è mai veramente pronto a spegnere la macchina che tiene in vita la propria madre, nonostante quello che credeva di poter pensare prima. Significa spegnere la luce della propria fanciullezza e andarsene, così come si spegne una lampadina prima di uscire da una stanza.»
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Si, eravamo felici e non lo sapevamo.
La narrazione è triplice ma non confusionaria, aiuta a capire appieno le vicissitudini delle tante anime che popolarono il Caffè di Whistle Stop, una piccola cittadina vicino ai binari della ferrovia, aperto nel giugno del 1929 in piena Grande Depressione in Alabama, da Idgie Threadgoode e Ruth Jamison insieme con Sipsey, Onzell e suo marito Big George.
Virginia Threadgoode detta Ninny, anziana ed ospite nella casa di riposo Rose Terrace, siamo ormai negli anni ’80, conquista il cuore di Evelyn Couch, una donna giovane, depressa, abulica, arrabbiata e vicina alla menopausa che sente di non avere più stimoli, riportando in vita non solo i fischi e i vapori e la polvere dei tanti treni passati a ridosso del Caffè, ma anche le straordinarie storie che in quegli anni si incrociarono.
Mai un pasto fu rifiutato a chi passava dal Caffè, non importa se bianco o nero.
E’ incredibile come un racconto così leggero, a tratti divertente e in altri commovente fino alle lacrime, riesca a far riflettere su tanti temi attuali e importanti: odio razziale, invalidità, omosessualità, vagabondaggio, solitudine, disparità nei sessi, eutanasia.
…Quando il treno si ferma facendo una fermata supplementare a Whistle Stop e nel più assoluto silenzio la bara di Willie Boy viene scaricata dal vagone merci…anche se “un negro è pur sempre un negro” Grady Kilgore, Jack Butts e tutti i dipendenti della ferrovia si sono tolti il cappello in segno di rispetto.
Bill Ferrovia, che montava di nascosto sui treni che rifornivano il governo e buttava giù viveri per la gente di colore. Che sorpresa scoprire la sua vera identità!!
Fannie Flagg racconta storie di intimo innamoramento… e non conta se ad amarsi così profondamente e intensamente e sinceramente siano due donne nell’Alabama del 1924; leggendo sento che quando la morte arriverà a portar via la metà della propria anima, nessuna separazione avverrà mai.
Amo tutti i protagonisti di questa meravigliosa vicenda umana, ma l’amico più fidato è il vagabondo Smokey. “Non era mai stato altro che un vagabondo, un poveraccio, ma aveva rubato una sola volta nella sua vita, aveva rubato la fotografia di Ruth. Lei era in piedi fuori dalla porta, con in braccio il bambino. Con la mano libera si riparava gli occhi dal sole. Quella foto aveva girato mezza America, chiusa in una busta e appuntata all’interno della camicia, dove non avrebbe potuto andare perduta. Per lui Ruth sarebbe rimasta sempre viva. … Sul cadavere è stata trovata solo la foto di una donna…”
E’ tutto finito. Il Caffè ha chiuso per sempre.
Niente più treni, niente più polvere, niente più fischi, l’eco delle risate è lontano, l’odore dei pomodori verdi fritti anche. Ho condiviso momenti di intensa solidarietà e grandissima amicizia.
Mi vedo con Evelyn ripassare ancora una volta davanti a quella che è ormai la vecchia casa Threadgoode abbandonata, e il cerchio si chiude con Ninny, Idgie, Ruth, Smokey, Sipsey, Big George, Onzell, Stump, Essie Rue, Bill Ferrovia, Grady Kilgore.....” i fari dell’auto illuminano le finestre in un modo tale che , per un attimo, mi è sembrato che la casa fosse ancora quella di settant’anni fa, piena di luci, rumore e divertimento. E mi è sembrato ancora di sentire le risate ed Essie Rue che suonava il pianoforte nel salottino. Mi è parso addirittura di vedere Idgie Threadgoode appollaiata sul paternostro…”
“Rallegrati per l’amico perduto,
finalmente ha trovato la felicità,
il suo spirito in cielo si è involato
con un grido di libertà.”
“A ripensarci, mi sembra che dopo la chiusura del Caffè il cuore della città abbia semplicemente cessato di battere. E’ strano come un posto da nulla come quello riuscisse a tenere unite tante persone."
“Non ti dimenticherò mai.
La tua amica
Incantatrice d’api.”
Anche io non vi dimenticherò mai.
Buone prossime letture a tutti.
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Alla fermata di Whistle Stop sapore di storie affa
Ho visto il film decine, centinaia di volte. Praticamente, ogni volta che il palinsesto televisivo lo ripropone, sono incollata allo schermo dalla storia di Idgie e Ruth.
Finalmente mi sono decisa anche a leggere il libro (che non sapevo esistesse finché non sono approdata su Qlibri) e non sapevo bene cosa aspettarmi.
Sono contenta, soddisfatta, appagata; perché, come quasi sempre accade, il libro è quasi meglio del film.
Le pagine di Fannie Flag e i racconti di Nanny mi portano a Whistle Stop con facilità. Whistle Stop non è solo un posto qualsiasi attraversato dai binari. Whistle Stop prende vita tra le pagine e non si fatica affatto ad immaginare i personaggi che la popolano (Artis così nero da avere le gengive blu, Sipsey che sotterra le teste di maiale e gallina in giardino, Smookey che si appunta la foto di Ruth nella giacca, il club dei Cetrioli Sottaceto con le gare di panzanate); né si fatica a comprendere gli equilibri che ne regolano la vita quotidiana (i tiri mancini giocati al Reverendo, le demenziali recite annuali, le storie incredibili di Idgie).
Eppure tra la leggerezza (nel senso più positivo di questo termine) e la nostalgia della vita a Whistle Stop si vivono anche tematiche pesanti come le rivendicazioni del Ku Klux Klan, le angherie sociali e giuridiche a cui erano sottoposte le persone di colore nei primi decenni del '900, la violenza dei mariti sulle proprie mogli.
Credo che il pregio più grande del libro sia approfondire cose sul film non hanno trovato spazio, ridando le giuste prospettive a certe relazioni tra i personaggi. Il sospetto che Idgie e Ruth fossero una coppia aveva sempre aleggiato in me, ma leggerlo nero su bianco con tale candore mi ha fatto affezionare ancora di più alle due donne. O come il coraggio di Sipsey nell'affrontare Frank Bennet per proteggere il figlio della sua signora e attuare l'eutanasia per proteggere la sua signora dalla sofferenza.
Lo stile è delizioso. La storia si snoda piacevolmente alternando presente, passato prossimo e passato remoto, mettendo a confronto quattro modi di essere donna.
Un libro sicuramente da leggere.
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Da leggere, da vedere, da gustare.
Non so perché, ma sono settimane che provo a fare la recensione di questo libro, eppure non ci riesco mai, e non è per la mancanza di tempo, ma proprio perché non riesco a trovare le parole per descrivere le fantastiche emozioni che mi ha trasmesso (perché, fidatevi, questo libro una volta che lo avete letto vi cambierà).
Partiamo dall’inizio. Fino ad tre mesi non sapevo neanche dell’esistenza di questo testo in quanto avevo visto solo il film (a dire il vero lo guardo ogni volta che lo passano alla tv, credo sia arrivata l’ora di comprare il dvd) e posso dire che già quest’ultimo è un capolavoro (se non l’avete visto, ne consiglio la visione), pieno di poesia e di spunti per riflettere, ma il libro… Il libro è qualcosa che ti entra dentro e non esce più.
Il racconto è ambientato in diverse epoche: quella degli anni ottanta, in cui le protagoniste assolute sono la graziosissima signora Ninny e l’insicura Evelyn, che ascolterà la storia di Whistle Stop proprio dalle parole di Ninny, assaporandone ogni minimo dettaglio e sapore,
e poi l’epoca degli anni trenta/quaranta che, grazie alla Flagg ed alle sue minuziose descrizioni, sembra di rivivere alla perfezione. A volte, mi è sembrato che nella mia camera, le pareti della stanza si siano trasformate nella stazione di Whistle Stop, e talvolta mi è sembrato di sentire il profumo dei pomodori verdi fritti ed anche quello delle crostate appena sfornate perché quando ci si immerge nel racconto, sembra veramente di far parte di quella grande famiglia, ché i personaggi ti entrano così tanto nel cuore che ogni volta che dovevo chiudere il libro, provavo una stretta dentro.
Vengono trattati temi importanti, come il razzismo, l’eutanasia, la violenza sulle donne e l’omosessualità. Poiché, come già scritto, il film è ambientato in parte anche negli anni trenta/quaranta, è facile capire come la società dell’epoca facesse fatica ad accettare le persone di colore; seppur in via di sviluppo, era ancora piuttosto retrograda e non riusciva a percepire l’idea che non era il colore della pelle a fare una persona. Vi riporto una citazione dal libro, detta dalla grandiosa Idgie: “A volte mi domando che cosa la gente usi al posto del cervello. Pensa a quei ragazzi: hanno paura di sedersi a mangiare vicino a un negro, ma divorano le uova che escono dal culo delle galline.” E come poterle dare torto? La cosa triste è che ancora oggi c’è gente che fa certi tipi di ragionamento eppure è passato tanto di quel tempo!
Veniamo poi al tema dell’omosessualità. C’è da dire che nel film questo argomento è stato proprio omesso (di che cosa aveva paura il regista?), quando invece poteva essere inserito tranquillamente dato che le protagoniste di Whistle Stop (Idgie e Ruth) sono una coppia. Per fortuna che esistono i libri! In tanti anni che ho visto il film non mi sono mai accorta che queste due donne stessero insieme, in quanto sembra che siano delle grandissime amiche, quasi sorelle, ma niente di più. Il loro amore viene trattato con molta delicatezza, la Flagg tocca con la punta delle dita le emozioni più profonde di queste due grandi donne dall’inizio alla fine e coinvolge il lettore ad amarle ed a rispettarle affinché a tutti sia chiaro che l’amore è amore a prescindere dai propri gusti sessuali.
Per quanto riguarda i temi della violenza sulle donne e sull’eutanasia, vorrei non sbilanciarmi troppo a parlarne ché altrimenti rischierei di fare spoiler dato che dovrei citare alcune parti del racconto, la cosa certa è che entrambi sono stati trattati con i dovuti riguardi, così come quelli descritti poc’anzi.
“Pomodori verdi fritti” non è uno di quei romanzi che una volta chiusi si mettono nella libreria e piano piano si dimenticano, no… “Pomodori verdi fritti” è uno di quei libri che quando hai letto l’ultima pagina e girato l’ultima di copertina, è come se avessi perso qualcosa di te, guadagnandoci comunque tanto perché come già scritto ti dona qualcosa di speciale, ma quello che ti lascia è anche tanta nostalgia. Sono pochi i libri che mi hanno fatto piangere e sono anche pochi i libri che rileggerei, ma “Pomodori verdi fritti al Caffé di Whistle Stop” è proprio uno di quelli.
Superfluo dire che il mio consiglio è di leggerlo, ma fatelo in piccole dosi perché veramente merita di essere gustato dall’inizio alla fine e magari procuratevi anche qualche fazzoletto… ;)
Vi lascio con questa citazione:
“A ripensarci, mi sembra che dopo la chiusura del Caffè il cuore della città abbia semplicemente cessato di battere. E’ strano come un posto da nulla come quello riuscisse a tenere unite tante persone. Se non altro ce ne andremo con tanti ricordi, e soprattutto ce ne andremo insieme.”
Vi auguro una buona e fantastica lettura.
A presto
Q.
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Il segreto è nella salsa...
Non leggere questo libro significa privarsi di un grande piacere. Non conoscere la Signora Threadgoode (Ninny) significa non ascoltare le sue indimenticabili storie su quanto succedeva a Whistle Stop negli anni della Grande Depressione, non partecipare alle vicende di Ruth e Idgie, la coppia di amiche che gestiva il Caffè e, soprattutto, non entrare in quell'America difficile ma ancora solidale, di viaggi in treno e di premi in cibo offerti ai vagabondi per i loro lavori, che le multinazionali e la modernità hanno fatto purtroppo scomparire. E non entrare in quest'atmosfera nostalgica, ma sempre fondamentalmente positiva e ottimista, può voler dire non scuotersi di dosso apatia e inerzia che, in modo subdolo, possono attaccare chiunque, ma, in questo caso, hanno colpito la Signora Evelyn Couch, casalinga quasi cinquantenne che si deve recare ogni domenica alla casa di riposo Rose Terrace per incontrare la noiosa e scontrosissima suocera. Ed ecco la singolare genialità della Flagg: questa scrittrice, con la grazia di un'incantatrice d'api, riesce a far emergere una speranza, una possibilità, proprio da un contesto che appare assolutamente privo di attrattiva in questo senso. E invece... Da una fuga nel salottino dei visitatori sul retro, per Evelyn arriva la salvezza... nelle sembianze della vecchia Signora Threadgoode che le dice :" Mi chieda in che anno qualcuno si è sposato, con chi e che cosa indossava la madre della sposa e nove volte su dieci saprò dirglielo, ma, accidenti a me, proprio non saprei dirle quand'è che sono diventata così vecchia!... " Da qui partirà l'indimenticabile racconto che cambierà la vita di Evelyn (e quella di suo marito...) e, senza esagerare, un po' anche quella di chi seguirà le vicende. Non voglio anticipare nulla per non togliere la sorpresa; dirò solo che, qui, argomenti "toccanti" come omosessualità o eutanasia sono trattati in modo talmente aggraziato e delicato che vien da chiedersi come possano invece a volte costituire motivo di interminabili diattribe e polemiche sterili.
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Si stava meglio quando si stava peggio
Quando si centellina un libro i motivi sostanzialmente sono soltanto due: o il libro è una colossale ciofeca oppure, ed è questo il caso, si vuole ritardarne la fine.
Ci ho messo molto a leggere questo libro, più del tempo medio che impiego per un libro da 300 pagine o giù di lì, soprattutto per le atmosfere che emana.
La nostalgia è palpabile, la si sente sulla pelle, ma a differenza dei ricordi passati che mettono sempre un pochino di tristezza quando si arriva alla consapevolezza che quei momenti non torneranno più, qui si trovano soltanto ricordi talmente belli che lasciano sì tristezza ma anche un sorriso sulle labbra.
Tutto cambia, il progresso e il guadagno impongono mutamenti inevitabili che dovrebbero portare tutti i componenti di una comunità a vivere meglio…ma sarà davvero così?
Ma non era molto meglio quando, pur avendo pochissimo, si riusciva a stare bene con niente? A ridere e divertirsi semplicemente raccontando bugie colossali o facendo scherzi al prete o ancora stando tutti insieme?
Per certi versi questo libro mi ha ricordato molto “Il buio oltre la siepe” anche se il tema dei neri viene trattato in maniera completamente differente e certe situazioni vengono solo rese note al lettore come se si trattasse di un articolo di giornale, le riflessioni vengono lasciate totalmente al lettore.
Soprattutto questo libro racconta il coraggio: parliamo di un’epoca in cui, in Alabama ma un po’ nel mondo intero, la vita non era per niente facile per molti (neri, donne, poveri), è l’era della Grande Depressione e il Caffè di Whistle Stop è il luogo di ritrovo di un mondo completamente svanito.
Un mondo fatto da uomini e donne che io definisco “di vecchio stampo”, dove la gentilezza spontanea faceva sì che anche uno sconosciuto, dopo aver fatto dei lavoretti, potesse mangiare gratis un buon pranzo completo.
La Signora Ninny, che secondo me è la vera protagonista del libro, è di una dolcezza disarmante.
Mi hanno colpito molto alcune riflessioni fatte da Evelyn (la signora che va sempre a trovare la Signora Ninny) a proposito del fatto che a suo avviso la gente è sempre arrabbiata, con una faccia tirata e annoiata, sempre pronta ad aggredire per sciocchezze…e ho trovato che nonostante siano passati anni e anni le cose non siano affatto cambiate (da qui la conclusione che alla fine cambiano i tempi ma sostanzialmente forse gli uomini restano sempre uguali); poi c’è la domanda che Evelyn si pone: “troverò mai una persona pura e ingenua come la Signora Ninny?” e mi sono chiesta se per essere buoni non sia inevitabilmente necessario essere anche un tantino “ignoranti”…non fraintendetemi, per ignoranti non intendo dire stupidi, intendo che se uno ha una certa esperienza del mondo tende a diventare un pochino meno buono e un tantinello più “sgamato”.
Ma ho pensato anche che a volte, quando meno te lo aspetti, ti capita di incontrare qualcuno o qualcuna così entusiasta della vita da farti tornare un’energia che pensavi persa per sempre e da far sparire la parte “Towandese” (chi ha letto il libro capirà) che inizia a prendere possesso di te…come è successo ad Evelyn con Ninny.
P.S. Se vedete un/una vecchiettino/a scambiate qualche parolina insieme….primo, perché quando si diventa vecchi si tende ad essere accantonati dal resto della gente, secondo perché magari potrebbe essere la vostra ancora di salvezza per quel giorno (andato storto)! ?