Quello che ti meriti
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Opinioni inserite: 5
Tanto fumo...
Questo libro è un illuminante esempio di come alcune buone idee, qualche luogo comune ed una serie infinita di collegamenti ed ipotesi azzardate non possono fare un buon thriller . Siamo in Norvegia, la nazione è terrorizzata da un misterioso psicopatico che rapisce bambini e poi li uccide senza lasciare traccia nè di sè nè del metodo utilizzato. I corpi senza vita dei bambini vengono riconsegnati ai rispettivi genitori con un biglietto agghiacciante "Adesso hai quello che ti meriti".
Un ispettore di polizia segnato da una recente tragedia familiare ed una giovane psicologa criminale indagano per fermare il mostro e soprattutto salvare la prima bambina rapita che non è ancora stata riconsegnata ai genitori e quindi si suppone sia ancora viva. La psicologa sta a sua volta seguendo il caso di un uomo ingiustamente accusato di un efferato delitto molti anni prima e poi inspiegabilmente rilasciato. C'è qualcosa che lega le due storie ? Ovviamente si ma il collegamento è talmente vicino al gioco di prestigio che mi viene da dire : Si e poi ??!! Infatti il finale è parecchio frettoloso e vuole stupire: ah quanto mi irritano gli scrittori quando vogliono stupire e allora tirano fuori tesi degne di un romanzo fantasy o di fantascienza più che di un thriller. La Holt butta li una spiegazione psicologico-filosofica per il comportamento dello psicopatico che spazia dal banale all'inverosmile , tenta di costruire un percorso alla creazione di un mostro dall'infanzia all'età adulta senza convincere e soprattutto senza avvincere... mette tanta carne al fuoco e qualche spunto buono ma poi non approfondisce, gli stessi investigatori protagonisti sono descritti malamente , la trama non decolla mai , in mezzo ad un eccidio di innocenti la prima bambina rapita viene sempre lasciata in vita dallo psicopatico ma la Holt non si sogna mai di spiegarci il perchè...
C'erano una lunga serie di argomenti da trattare e approfondire: il dolore della perdita, la solitudine, la frustrazione dell'innocente ingiustamente perseguitato, le loro relazioni con la mente umana ed il comportamento delle persone , perfino con il comportamento criminale. Nulla ! Tutto accennato, buttato lì a casaccio e via di corsa verso la pagina successiva , alla fine non rimane niente!.
Con tutto questo fumo non pretendevo di trovare l'arrosto, ma qui non ci sono nemmeno le patate di contorno ...
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Il deserto dell'anima
I protagonisti sono due detective: l'investigatore Stubo e la criminolaga Vik. Bel giallo, con una buona sottigliezza psicologica, tipica del giallo inglese. Si legge trattenendo il respiro e la tensione narrativa si sente, la storia ha un buon mordente. E' anche un giallo tecnico, una prova intellettuale. E l'avere a che fare con la mente di un assassino di bambini, dalla mente glaciale e dal freddo autocontrollo, aumenta la partecipazione emotiva del lettore. Lo stile rivela una buona capacità di entrare nella natura umana, rivelando il buio della sua condizione, alla ricerca non solo dell'essenza del crimine ma soprattutto dell'essenza del criminale. E' un'autrice che scadaglia il deserto dell'anima.
Quello che non mi merito
Mi è bastato leggere il primo della “Millenium Trilogy”, e qualche capitolo del secondo, per sentirmi a pieno titolo fan del “Club del romanzo del crimine svedese”.
Anche se, devo ammetterlo, mi oriento con qualche difficoltà in questa galassia di scrittori, più spesso scrittrici, con cognomi inequivocabili: Lackberg, Larsson (Asa e non Stieg), Lindqvist, Mankell, Marklund, e mi fermo alla lettera emme.
Quindi, se metto sul comodino il libro di Anne Holt (che è norvegese e non svedese, ma chissene …), "Quello che ti meriti", già immagino di meritarmi fiordi innevati, atmosfere gelide e cupe, personaggi misteriosi ed inquietanti.
Le premesse, infatti, ci sono tutte e sono interessantissime, uno psicopatico (killer seriale ?) che rapisce i bambini, un investigatore con una terribile esperienza personale alle spalle, una criminologa sensibile ed anticonvenzionale, una storia che promette di essere avvincente, mirabile intreccio di pathos, orrore, e protagonisti, capaci di comprendere le pieghe più oscure dell’animo umano.
Invece, niente. Il libro è lentissimo, la trama principale si intreccia continuamente con un’altra storia, che appare come un cold case insipido. La coppia di investigatori, Vik e Ingvar, rimane, per tutto il tempo dell’indagine, improbabile e strana. Persino l’assassino non riesce ad intrigare, ed il finale non soddisfa, lasciandoti con la sensazione di aver letto una specie di ennesimo caso della Signora in Giallo, che avevi già visto più volte in tv, l’ultima, in replica, dopo le due di notte.
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Quello che ti meriti di Anne Holt
Questo romanzo è un giallo tecnico, una prova intellettuale, scritto da una psicologa criminale, già ministro della giustizia e avvocato la cui scrittura riflette la conoscenza della procedure investigative affinate da una sottigliezza introspettiva non comune. La storia non originale, ma non per questo meno inquietante, smuove nel lettore sensazioni sgradevoli e forti; quando entrare nella mente criminale è come leggerne anfratti che dall’inconscio si tramutano in atti raccapriccianti. Stiamo parlando di un assassino di bambini, il più infame dei crimini, il più sporco dei soprusi, che a mente fredda e con un glaciale controllo come i paesaggi nordici che ne fanno da sfondo (siamo in Norvegia) programma la soppressione di innocenti a vendetta di presunte e pregresse ingiustizie subite. Abituati come siamo ad assistere e spesso in TV a scene del crimine, paradossalmente, a volte, la narrazione di esse supera l’orrore; è questa, la forza del registro verbale di Anne Holt, di trasformare il linguaggio scritto in linguaggio visivo e, la lettura di questo intreccio di personalità e fatti truci, lascia, a parer mio, anche dopo la lettura come delle vibrazioni, delle onde che si ripercuotono nel cervello e non lasciano fino a quando non si sono sedimentate. A mio modesto avviso, la scrittrice non ristagna in luoghi risaputi e sfugge allo stereotipo del giallo per antonomasia; il tratto che contraddistingue questa storia è la capacità di entrare nella natura umana, rivelare il buio della condizione di essa quando può essere socialmente ed emotivamente ferita e diventare malsana; ricercare non tanto l’essenza del crimine, quanto l’essenza del criminale. Un deserto dell’anima attraverso il quale si può uscire attraverso il sogno, l’immaginazione, il pragmatismo, la follia e ..l’atto criminoso. Divenire esploratore dell’inconscio, dell’ignoto è quello che si richiede ad uno scrittore in quanto tale, scavare in profondità e far emergere i lati più oscuri di noi esseri umani. C’è un parallelismo tra carnefici e vittime: i primi scartati e distrutti prima e i secondi merce avariata dopo. L’orrore è inseparabile dall’uomo, l’orrore costruito dal deserto della solitudine che alberga dentro di noi, l’orrore di memoria conradiana è dentro questo libro apparentemente freddo, distante negli accenti, nei toni, nelle parole, spesso sottomesse ai silenzi più grevi di qualsiasi rumore. Questo libro l’ho apprezzato a fronte di tante critiche e pareri discordanti. Mi piace riportare un capoverso tratto da Quello che ti meriti :“I bambini non sanno di dover morire. Non hanno il concetto della morte. Lottano per vivere istintivamente come le lucertole che se minacciate sono pronte a rinunciare alla coda. Tutte le creature sono geneticamente programmate per cercare di sopravvivere. Anche i bambini. Ai bambini fanno paura le cose concrete. Il buio. Gli sconosciuti, forse, essere separati dalla famiglia, il dolore, i rumori spaventosi, la perdita di un oggetto. La morte, invece, è incomprensibile per una mente non ancora matura. I bambini non sanno di dover morire".
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Quello che ti meriti
Non aggiunge decisamente nulla al panorama della letteratura europea, la trama è molto sfruttata ( un serial killer di bambini), lo stile acsiutto anche troppo tanto da risultare, a tratti, noiso e poco scorrevole. Tutti i personaggi risultano solo abbozzati, con risvolti umani o prevedibili o troppo grossolani. Persino le vittime così poco tratteggiate da non lasciare il posto nè a stupore nè a pietà. Troppa la nostalgia per la Cristhie o Conan Doyle