La fine del mondo storto
Letteratura italiana
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Il disprezzo dell'uomo
Paladino del ritorno alla natura, alla semplicità, all’umanità, anche con questo racconto l’autore non si smentisce e crea uno scenario che ad una prima lettura sembrerebbe fantascientifico, mentre invece non è così lontano da quella che potrebbe essere una prossima futura realtà. Perché l’impensabile può diventare realtà. Lo stiamo vedendo in questi mesi con la pandemia del coronavirus e tutti i suoi effetti a livello globale. Il racconto ha in sé più elementi davvero terrificanti, ma ci spinge a riflessioni autentiche su quanto è importante il rispetto della natura, perché è da lì che l’uomo ha tutte le risorse per sopravvivere, ma l’autore si spinge oltre. Si spinge ad una forma molto forte di disprezzo per l’uomo, che dimentica (e ri-dimentica, nonostante tutto) la distinzione fra bisogni primari e secondari, riscopre i valori della solidarietà e dell’amicizia, ma solo per opportunismo, ripropone il proprio modello di supremazia che è ciò che sta portante il mondo all’implosione. Vivere è come scolpire, si deve tirare via, togliere, per scoprire ciò che sta sotto. Questo è un pensiero ricorrente nelle espressioni dell’autore ed ha in sé una bellezza straordinaria.
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UN LIBRO STORTO, ANZI STORTISSIMO
Ci ho riprovato: ho dato una seconda possibilitá a Mauro Corona. Peccato, un’altra delusione.
L’autore in quest’opera ipotizza un’improvvisa ed inaspettata fine dei combustibili fossili e le conseguenze che si presenterebbero, raccontate al presente, in contrapposizione al modello sociale precedente dipendente dal petrolio, raccontato al passato. Si tratta di un pretesto per riflettere sulla mancanza di valori propria della nostra societá industriale rispetto alle virtú dell’antica societá contadina.
Un racconto dall’ambientazione post-apocalittica dunque. No, non immaginate una toccante narrazione tipo, per esempio, La Strada di McCarthy. In primo luogo perché, a parte la fame che fa fuori gran parte della popolazione mondiale e a cui si accenna freddamente per dover d’informazione, il cambio di corso é giudicato positivo, é appunto “la fine del mondo storto” e non é certo rappresentato con tono angoscioso e drammatico. In secondo luogo perché McCarthy, se voleva comunicare ad esemprio la sofferenza dei due protagonisti, li faceva parlare con un botta e risposta freddo, asciutto, telegrafico, da cui si doveva (e poteva) intuire il loro stato d’animo; faceva, insomma, della letteratura; Corona, per intenderci, se la sbrigherebbe piú facilmente scrivendo “la gente é triste”, che non chiamerei certo letteratura, bensí cronoca.
La Fine Del Mondo Storto é soprattutto una critica alla condizione e alla natura umana, scritta con l’occhio di chi guarda da una distanza temporale fittizia. Ma nessuno osi paragonarlo nemmeno a Il Signore Delle Mosche! Se quello di Golding era un romanzo allegorico, questo non é nemmeno un romanzo, a prescindere dallo scarto in simbolismo! Giá, perché non vi sono personaggi, non vi sono dialoghi, vi sono solo categorie sociali, o meglio ex-categorie alle prese con il nuovo assetto economico. Entrambe le opere hanno sí la stessa finalitá di comunicare un giudizio sul carattere dell’uomo e su come si organizza, ma l’opera di Golding, a differenza di questa, é artisticamente rilevante proprio perché passa il messaggio in maniera indiretta, con la geniale trovata di raccontare una storia avventurosa ed avvincente.
Qui di avventuroso ed avvincente non v’é proprio nulla, di minimamente interessante riconosco giusto qualche isolato ed impacciato tentativo di satira, come quando si rimproverano i vecchi politici, adattatisi a fare i contadini, di zappare un po’ di qua ed un po’ di lá, chiaro rimando ai cambi di partito per convenienza; ma pure Orwell é, fortunatamente, tutt’altra cosa.
A cosa somiglia? Somiglia a Superquark, o Ulisse, o qualunque sia il nome del recente programma di Piero e Alberto Angela. Esatto, ricorda proprio quei documentari in cui gli Angela si “calano” nell’antica Roma, piuttosto che su Marte o nel corpo umano e da lí ci descrivono, con linguaggio chiaro ed informativo, il luogo/tempo in cui si sono artificiosamente catapultati. Il paragone mi sembra azzeccato, da un lato perché qui la trama é inesistente, dall’altro perché lo stile é proprio quello: divulgativo.
Divulgativo si ma distaccato no; traspare infatti l’opinione personale dell’autore e si avverte quanto il tema gli stia a cuore, tanto da farsi scappare pure qualche parolaccia.
Come la pensa dunque Corona? Secondo Corona la montagna e la campagna ci salveranno e la fine dei combustibili fossili é piú che altro lo spunto per far di queste l’elogio, attraverso la descrizione di tecniche, usanze, tradizioni, mestieri tipici.
E’ la rivincita ahimé pretenziosa di contadini e pastori su industriali ed intellettuali, della manualitá sulla professionalitá, della pratica sullo studio. Peccato non riuscire a simpatizzare con i montanari ed i contadini di Corona, dipinti in questo libro come eroi senza macchia salvatori di coloro che furono ricchi, a cui insegnano il mestiere.
A questi santi altruisti delle montagne e delle campagne si contrappongono appunto i ricchi delle cittá che incarnano il male (nella profezia di Corona sono questi i primi a praticare il cannibalismo), ma non solo: in pratica tutte le categorie sociali diverse da contadini, pastori e guide alpine sono umiliate. Proprio cosí, pare ci sia posto per redimere solo tre categorie sociali ed una é proprio la guida alpina, non si sa bene a che titolo! Non si salvano nemmeno gli artisti, tantomeno le opere d’arte, che vengono bruciate per scaldarsi.
Il sogno di Corona é un’economia mossa dal baratto ed una societá fondata sull’uguaglianza, di indubbio stampo socialistico e dove inverosimilmente tutti fanno i contadini; nonostante la vocazione personale di ognuno possa essere altra dall’agricolutra, tutti si scoprono felici.
Era davvero cosí idilliaca la societá contadina? Corona pare concentrarsi solo sugli aspetti del nuovo corso storico favorevoli alla sua tesi: a parte la seccatura della fame, dipinta non tanto negativamente perché miete vittime, quanto positivamente perché pare “avvicini gli uomini”, sembra che non si senta la mancanza di nulla di ció che fu proprio della cosiddetta modernitá.
Nonostante la fine del consumismo abbia condotto la societá alla perfezione propria dell’economia di sussistenza, il sogno si infrange nella pessimistica involuzione del finale, zeppo di sfiducia nell’uomo.
In breve, pochi discutibilissimi contenuti ripetuti e straripetuti all’inverosimile. Questa é forse l’unica analogia con l’altro libro di Corona che ho letto, Come Sasso nella Corrente, ovvero lo sforzo vano che si percepisce nel creare sostanza quando il tutto potrebbe esaurirsi in poche pagine.
Uno scritto prima utopico poi distopico, anarchico, pseudoecologista (qualcuno spieghi a Corona che non vi é da compiacersi nel ritornare a scaldarsi e cucinare bruciando legna anziché gas naturale, dato che la legna inquina decisamente piú del gas), farcito di banalitá, inesattezze, scenari poco plausibili e luoghi comuni.
Un’occasione persa, perché i valori positivi che vuole comunicare, come l’importanza delle doti manuali, del vivere a contatto con la natura e della rinuncia al superfluo, sono appannati da troppa arroganza e presunzione.
Brutto.
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Ecatombe plausibile
Mauro Corona è uno scrittore senza mezzi termini. Non è il tipo che edulcora il proprio linguaggio quando si mette a fare prosa letteraria. Come parla, così scrive, coinvolgendo il lettore nella sua narrazione come se si stesse ad ascoltarlo seduti a un tavolo dopo cena, vicino a un fuoco, con un bicchiere di vino in mano. Le sue storie sono forti, di pancia. La gente si comporta per quello che è, senza fronzoli né affettazioni artefatte.
Corona si porta dentro in ogni riga le sue montagne, la sua vita volutamente semplice, le tradizioni, in costante contrasto con la società frenetica e cittadina che caratterizza il mondo di oggi. Il romanzo nasce proprio come critica spietata della società moderna e ne descrive il tanto sospirato (e ovviamente tragico) crollo.
“La fine del mondo storto”, edito da Mondadori, prende il via con l’avverarsi del peggior incubo del mondo moderno: l’esaurimento improvviso delle risorse energetiche naturali. Niente più petrolio, gas, elettricità. Niente computer, satelliti, televisione. La fine di ogni tecnologia, all’improvviso, all’aprirsi di un inverno che promette di rivelarsi il più crudele della Storia.
Gli uomini muoiono a centinaia, a migliaia. A milioni. Chi rimane, dà fondo alle risorse rimaste fino ad arrivare al cannibalismo. Questo, in città. Nelle campagne e sulle montagne il dramma è meno pronunciato, grazie alle abilità pratiche della gente che ancora vi abita e vi lavora.
Solo i più forti, coloro che si rimboccheranno le maniche e torneranno a imparare a sfruttare la terra e le proprie mani per sopravvivere, riusciranno a impedire l’estinzione del genere umano. Il lavoro di gruppo, il bene comune, deve prevalere su tutto il resto.
Così sarà, finchè non si raggiungerà di nuovo un relativo benessere. Allora, come nella natura dell’Uomo, il circolo vizioso dell’avidità e del conflitto ricomincerà daccapo.
La scelta del tema ha un sicuro intento polemico, nient’affatto smorzato e anzi rimarcato costantemente all’interno della narrazione. Corona trova aberrante il modo in cui la società moderna ha affidato le proprie sorti alla tecnologia e alle risorse deperibili, facendo cadere nel dimenticatoio le conoscenze pratiche cresciute con l’Uomo, conoscenze che gli hanno permesso di sopravvivere nei secoli e prosperare nonostante la sua indole autodistruttiva.
Non si può negare che il nostro sistema scolastico privilegia le materie teoriche, il pensiero astratto e le arti ( per quanto la Cultura sia un bene ben poco preservato in Italia) piuttosto che il lavoro pratico, sia esso agricolo, venatorio o artigianale. Prova ne è che moltissimi mestieri sono scomparsi e altri si affidano a macchinari che condizionano pesantemente le competenze manuali di chi svolge ancora talune attività.
Con la carestia mondiale di energia, Corona distrugge alle fondamenta una società che ormai si regge sulla mente e la costringe a tornare al lavoro delle mani, all’attenzione verso la terra, i cicli delle stagioni, la soddisfazione dei bisogni fondamentali. Ci mette di fronte all’ecatombe da cui dovrà nascere l’Uomo nuovo, se non vorrà estinguersi.
Non sono del tutto d’accordo con l’analisi dell’autore riguardo al comportamento dei sopravvissuti una volta compreso che l’inverno in corso potrebbe essere l’ultimo. La cessazione di ogni violenza, ruberia, individualismo; la coscienza del valore del gruppo, il silenzio e la scomparsa di ogni sentimento che non sia mero istinto…Da un lato, a mio avviso, troppo radicale. Dall’altro, utopistico nel pensare che l’Uomo sia davvero in grado di pensare al bene del gruppo senza la presenza di un leader, di qualcuno che conduca in una qualche direzione coloro che non sanno arrangiarsi e hanno bisogno di essere guidati.
Questa visione bucolica e vagamente “comunista” (con grande profusione di parole sull’annullamento del divario tra ricchi e poveri, anche se in realtà Corona attribuisce difetti indifferentemente a entrambe le parti) appare più una speranza di ravvedimento post-tragedia che qualcosa di veramente plausibile. Le insistenze su certi temi rendono la lettura del racconto per certi versi pesante, nonostante l’indubbia maestria di Corona.
Non al livello di altri suoi scritti, utile per riflettere sui livelli di assurdità a cui la nostra società si è arrampicata, danzando in punta di piedi sull’orlo del baratro.
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E SE UN BUONGIORNO.. NON CI FOSSE PIU'?
Quali sarebbero le conseguenze se gas, petrolio, elettricità e tutte le nostre care comodità sparissero da un giorno all'altro? La risposta si trova proprio in questo libro, quando il tempo delle pance piene, il tempo delle vacche grasse ci abbandona.
Tutto viene bruciato per scaldarsi dal freddo pungente, ma come si fa adesso? Come ci si procura da mangiare? Si muore? Anche.. i primi a patire di più sono vecchi, malati e bambini, ma la verità è che tutti ormai spaesati non sono in grado neanche di accendere un fuoco con dei legnetti, banche diventano latrine (a cosa serve ormai l'oro?), ville utilizzate come perfette stalle.
Procede la lettura e la coscenza umana si lascia alle spalle la frenesia, la fretta e migliora. Questo perchè di fronte alla morte si è tutti uguali e i pochi sopravvissuti si rimboccano le maniche per soppravivvere alla meno peggio. Ora come tornano utili contadini e artigiani.
Ci si mangerebbe le mani perchè forse sarebbe stato meglio investire un po' di più in agricoltura piuttosto che nell'industria. Col tempo si ritrovano valori dimenticati, semplicità, lentezza e si apprezza di nuovo la Natura.
Ma la morte bianca e nera all'uomo non basta, perchè per qualche strana ragione, quando finalmente ritrova l'equilibrio, deve sempre complicarsi la vita e distruggere ciò che con tanta fatica e sudore ha creato.
Spesso un po' ripetitivo, ma ho apprezzato moltissimo il contenuto. Ogni frase ha un suo perchè ed è quasi impossibile non sentirsi chiamato in causa. Sono cose che tutti alla fine sappiamo già ma così, nero su bianco, fa tutto un altro effetto. E fa riflettere!
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La lezione non ci basterà
Quello che esce maggiormente dalla lettura de "La fine del mondo storto" è la rabbia. L'incazzamento del Maestro Mauro Corona contro la civiltà moderna, progredita si nel tempo, ma senza tener conto del motore della vita: la Nautra.
L'autore prevede un cambiamento catastrofico per l'uomo, innescato dalla fine dell'oro nero, il petrolio, e da tutti i suoi fratelli derivati. Da quel giorno in cui ci sveglierà senza più modernità funzionanti, sarà una vera e propria Apocalisse, un susseguirsi di atrocità per l'esistenza. Ma la morte bianca e nera (così la chiama Corona) sarà anche la scintilla di una nuova era, basata sull'uso delle mani e sull'amore per la terra. Crescerà un Uomo nuovo, diverso, più concreto, più corretto, più responsabile ma soprattutto più attivo. Un Uomo in grado di ristabilire la situazione, di riprendere e rilanciare la qualità della vita. Fino a rompere il ritrovato equilibrio e cosicchè una conseguente fine catastrofica ricolpirà le future generazioni.
Libro molto interessante, piacevole (per me) da leggere, sempre ricco di semplicità e parole incisive. L'argomento trattato è certamente impegnativo e capisco quindi le critiche di alcuni lettori.
Più che un libro è una denuncia, una sorta di schiaffo atto a risvegliare gli animi pigri e svogliati di noi tutti.
Nel complesso è forse un po' esagerato, ma comunque profetico è l'aggettivo più consono.
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La fine del mondo storto - Commento di Bruno Elpis
In questo romanzo, premio Bancarella 2011, Mauro Corona porta alle estreme conseguenze un processo – quello di autodistruzione - che oggi è già in stadio avanzato.
Mentre noi speriamo che il processo non sia giunto a un punto di “non ritorno”, Mauro Corona immagina il giorno in cui l’umanità si ritrova senza fonti d’energia: perché petrolio e gas si sono esauriti.
Malauguratamente quest’epoca futuribile – per ironia della sorte - coincide con la stagione più difficile da affrontare in assenza di energia: “L’inverno della morte bianca e nera”.
Ne seguono eventi e riflessioni che consentono di anticipare quello che sarà il destino dell’uomo, se non correrà ai ripari per tempo.
E così scopriamo che “messa alle strette, la gente si accorge che può fare a meno di una montagna di robe”. Quindi, la nuova avventura dell’uomo è riscaldata e illuminata da roghi ove si brucia di tutto: sedie, tavoli, mobili (“La Mondadori è un bosco ceduo …”). Nel nuovo mondo, pericoli e tragedie spianano i contrasti, la morte miete vittime, la società si livella (non esistono più poveri e ricchi), si affermano lavori come il taglialegna, l’artigiano, l’agricoltore e il cacciatore.
Ne conseguono anche nuovi assetti sociali: l’uomo comprende che si è amici solo per paura e tornaconto. E che letteratura, arte e amore sono attività compatibili con uno stomaco pieno. Mentre i lavori inutili (ad esempio il giornalista e il giudice) si estinguono, si afferma il cannibalismo e si ritorna al baratto.
Mauro Corona segue le sorti dell’uomo sino a un nuovo ritrovato sociale e umano: la società perfetta, in equilibrio senza capi, e l’uomo ecologico, che si concentra per prepararsi a un altro inverno. Perché non sia più la stagione “della morte bianca e nera”.
L’immaginazione di Corona si spinge sino alla fine, che non può essere svelata. E che nella conclusione prevalga l’ottimismo o il pessimismo, credo sia un dettaglio letterario. L’importante è che il lettore partecipi in modo attivo, facendo proprie le paure e le visioni di un autore che – per vocazione artistica – diventa coscienza sociale, ammonimento e … stimolo. A non lasciare che si realizzi … la fine del mondo storto. Cercando magari di raddrizzarlo, questo mondo storto.
Bruno Elpis
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Fondamentalismo ecologico
Come reagirebbe l' umanità se un giorno si ritrovasse improvvisamente priva delle più comuni e usate fonti di energia, cioè i carburanti fossili? Come farebbe a funzionare una società ormai totalmente dipendente da macchine e tecnologia senza combustibili e corrente elettrica? Corona prova ad immaginare lo scenario che si verrebbe a creare, quale sarebbe la prima reazione degli uomini, in quale modo la società si potrebbe organizzare per far fronte al problema. Ma soprattutto l' autore sembra chiedersi: gli uomini impareranno finalmente la lezione e capiranno che il pianeta va rispettato, che la semplicità e l' essenzialità sono le chiavi per un mondo migliore, che la ricerca sfrenata dei soldi e del potere portano inevitabilmente alla rovina? Corona parte da un’ idea molto interessante ma non riesce a svilupparla adeguatamente, restando troppo sul vago e non riuscendo ad argomentare per bene le sue pur interessanti idee, facendosi trascinare troppo da un fondamentalismo ecologico che finisce per vanificarne i buoni propositi. L’ idea di fondo infatti è tutto sommato giusta, in quanto l’ autore vuole mettere in guardia l' uomo dai possibili risvolti a cui può portare lo stile di vita che la società attuale conduce, ma lo scenario che crea appare eccessivamente apocalittico e in più infarcisce il libro di retorica e luoghi comuni, spara a zero contro tutto e tutti auspicando un ritorno ad uno stile di vita da età della pietra e torna continuamente sugli stessi concetti rendendo il libro ripetitivo e privo di sostanza. Insomma, un libro ambientalista ma che appare troppo poco scientifico per essere un saggio e lontano dal poter essere definito romanzo per la totale mancanza di personaggi e fatti particolari e troppo pieno di fanatismo ideologico. Sconsigliato, ma se proprio volete leggerlo prendetelo con le pinze, come se si trattasse di una pura e semplice provocazione.
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Ammonimento sottoforma di romanzo
Più che un libro lo definerei un ammonimento sottoforma di romanzo lungo circa 160 pagine.
Una forma nuova di scrittura a mio parere, non c'è un personaggio principale, ma la vita di tutti noi che cambia è l'argomento e il fulcro principale di questo testo.
La trama: improvvisamente agli uomini viene a mancare il petrolio e qualsiasi altra forma di combustibile per produrre energia, ed ecco che le prospettive dei viventi cambiano radicalmente, si ribaltano gerarchie, bisogni, pensieri, opportunità ,situazioni..tutto insomma.
Nelle città vivere è un inferno, già gli abitanti di campagne e montagne se la cavano molto meglio; in questo scenario apocalittico lo scrittore si scatena con similitudini e situazioni che vanno dallo scabroso al grottesco, passando per il sublime e l'ingegnoso.
Corona si sofferma spesso e volentieri su quelle che sono le ideologie e e i valori della società attuale, cioè la corsa al titolo di studio, la voglia di accaparrarsi posti di lavoro prestigiosi ed accumulare denaro; con l'avvento della catastofe energetica descritta nel libro tutti i valori di cui sopra vanno a farsi benedire , e tra gli uomini e nel mondo descritto da Corona conta e ha prestigio solo chi sa potare, mungere, zappare, costruire capanne, seminare etc.
I ricchi che bruciano i loro mobili preziosi per scaldarsi, i preti che bruciano le loro tele e quadri famosi contenuti nelle chiese; i poveri più abituati a soffrire resistoneo di più alle intemperie dell'inverno e della vita grama, tutto un ribaltarsi di situazioni come dicevo.
Gli uomini in questa dura prova capiscono che cmq prima vivevano male affanandosi in corse e ricerche di cose vacue, questa catastofe gli fa capire che i valori veri sono altri e li avevano dimenticati.
Un libro che è un esaltazione anche della vita contadina e della capacità di arrangiarsi in situazioni difficili.
L'animo umano però poi piano piano, anche se depurato e svuotato delle grossolanità dei pseudoagi precedenti, ritorna ad essere così com'è sempre stato, cioè autodistruttivo...non vi dico come.
Molto suggestivo e fantasioso
bello
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da lasciare in libreria
Dopo aver letto quasi tutti i libri di Mauro Corona, questo volumetto ha deluso ogni aspettativa.
L'idea di partenza, che si colloca nel filone apocalittico, può in parte considerarsi interessante, in quanto il tema non parte da una catastrofe di qualsivoglia tipologia, ma dal semplice esaurimento dei combustibili fossili.
Da quest'idea di partenza (possibilità non molto remota) c'erano infiniti modi per sviluppare il tema, dall'analisi sociale agli aspetti più pratici, cosa che in questo volumetto non avviene. I caratteri del testo enormi da libro per bimbi delle elementari, atti ad incrementare il numero di pagine per giustificare un libro che altrimenti sarebbe un fascicolo rendono ancor più ridicola questa opera il cui contenuto, tolti i girotondi di frasi (spesso le stesse si ripresentano più e più volte nell'arco della brevissima lettura, in un cerchio ripetitivo e avvilente) potrebbe ridursi a qualche facciata.
Un buco nell'acqua.
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questo libro m'è andato storto
Mi sono avvicinata a questo libro per caso, anche se Corona lo conosco da un pezzo come scrittore.
La fine del mondo storto sicuramente vuole puntare il dito contro la responsabilità dell'uomo nei confronti del pianeta, mostrando come lo sfrutti a proprio piacimento, avendo perso del tutto la capacità di percepire le cose e la vita e di vivere in armonia.
Sono temi che condivido profondamente e in cui mi rifletto molto, ma questa lettura è di una noia incredibile e secondo me non centra l'obiettivo.
Ripete in ogni capitolo le stesse cose: l'incapacità umana di usare le mani (se non per darsele di santa ragione) e la fondamentale propensione all'avidità dell'uomo.
Posso condividerlo, lo trovo vero, ma non si può costruire una 'storia' ripetendo sempre le stesse cose.
Ad ogni pagina che leggevo mi chiedevo 'ok, e ora?'.
Corona parla di temi ormai trattati in ogni campo, che per essere appetibili sotto forma di romanzo dovrebbero avere un po' più verve o una storia che li tenga in piedi.
Aggiungo, ed è un'opinione strettamente personale ed opinabile, che se fossi il signor Mauro probabilmente avrei cercato una casa editrice diversa, magari più piccola e con un'etica sicuramente meno marcia della Mondadori (sappiamo tutti chi la possieda), per dare il segno che la distruzione del nostro pianeta si può evitare partendo proprio dalle piccole cose.